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‘TÁR’, la sinfonia caotica di Cate Blanchett

La diva nel ruolo (forse) della vita. Quello della direttora d’orchestra finta-che-però-sembra-vera che potrebbe/dovrebbe darle il terzo Oscar. L’ha voluta a tutti i costi Todd Field in un film imperfetto ma, anche per questo, vivo. La nostra recensione

Foto: Universal Pictures

Cate Blanchett, cioè Lydia Tár, cioè la direttora d’orchestra finta-che-però-sembra-vera, cioè la protagonista di TÁR di Todd Field (in sala dal 9 febbraio, in piena distrazione collettiva da “dirige il maestro…”: un caso?), dice al vero Adam Gopnik nel New Yorker, che la intervista davanti a una folta platea composta dal consueto ceto medio riflessivo, che il principale compito di un direttore d’orchestra è dare forma al tempo. Lo può fermare, lo può allargare, in ogni caso lo manipola, sempre.

Ultimamente mi chiedo spesso: a che serve il cinema oggi? Di più: che cos’è il cinema oggi? Intendendo per cinema quello cosiddetto mainstream, prodotto dagli Studios, che dà da lavorare ai grandi registi e alle grandi star, che dovrebbe attirare grande pubblico e grandi premi (qualunque cosa significhino e valgano). Certo, direte (lo dico pure io), è cambiato tutto: oggi il grande pubblico lo attirano tv e piattaforme, e così i grandi registi e le grandi star, e gli Emmy contano economicamente più degli Oscar, ma appunto lì sta la necessità (scusate) della domanda “che cos’è il cinema oggi?”.

TÁR dà, a modo suo, una risposta precisa, chirurgica: il cinema è diventato, letteralmente, una questione di tempo. Che è saltato, si è allargato, è stato manipolato da un mezzo che, oggi, non risponde più alle regole che si era dato. «Gli ultimi film che ho visto al cinema duravano tutti tre ore», mi diceva un amico l’altro giorno. La durata è la prima regola a saltare. Io dico da un pezzo che son morti tutti i produttori, che non tagliano più niente; ma forse è semplicemente cambiato il tempo, inteso in tutte le accezioni. Oggi tutto è possibile, in termini di durata, perché il cinema deve rinascere (o restare morto) in un’altra forma, puntando a un’altra platea, offrendo un altro tipo di esperienza (scusate).

TÁR dura due ore e quaranta minuti, ma qui non è solo una questione di durata. Il tempo che si dilata, e poi corre, e poi si ferma di nuovo è quello di una narrazione che va dove vuole. Un passo sinfonico che da allegro diventa adagio, e poi scherzo (in senso musicale e, anche qui, letterale), fino al finale che può sballare tutti gli equilibri – e qui di certo accade.

L’allegro di TÁR è quell’intervista che inquadra la protagonista: una specie di Bernstein donna dotatissima e famosissima, che guida la Berliner Philharmoniker (prima donna a ricoprire il ruolo, ovviamente), ha il seguito che si conviene alle dive e pure il carattere difficile, si direbbe da donna con le palle, se oggi non fosse passibile di social-denuncia. Lydia Tár è una donna in posizione di potere, e lesbica, e però tutt’altro che incline alle quote rosa e agli asterischi, non è di quelle che vogliono farsi chiamare “maestra”, anzi mal tollera la nuova ondata woke: la sequenza più bella ed esemplare – e naturalmente più criticata negli USA – è difatti quella in cui si mangia uno studente che liquida Bach come “maschio bianco cis”, rifiutandosi di suonarlo. Lydia Tár quel potere lo esercita professionalmente e privatamente, è una vampira che seduce e scarica le persone a suo piacimento, promuove giovani violoncelliste per seduzione, fa – sembra dirci il film – quello che hanno sempre fatto gli uomini. È un genio, è una stronza, è forse questa la vera parità.

TÁR, si capisce, non esisterebbe senza Cate Blanchett, la più grande attrice vivente (no, actor all’inglese, in generale e senza genere), il ruolo è scritto per lei e lei fin da Venezia (Coppa Volpi) ha vinto qualsiasi premio e ipotecato il terzo Oscar, che forse non le spetterà perché politicamente tocca alla Michelle Yeoh di Everything Everywhere All at Once, per tutti i motivi che potete immaginare (anche per il merito, certo: ma vogliamo davvero paragonarla a Blanchett?). Cate Blanchett è l’unica attrice in grado di mettere insieme tutti i suoi personaggi – Elisabetta I e Carol, la Jasmine di Woody e la prof di Diario di uno scandalo, e poi i mille volti di Manifesto – in uno solo, forse il più pieno, appunto capace di passare per un personaggio reale. Thank you.

Cate Blanchett con Nina Hoss. Foto: Universal Pictures

Cate Blanchett è il motore di un film che non sai mai dove sta andando, e si torna alla domanda: che cos’è il cinema oggi? TÁR è un film mainstream che fino a dieci anni fa, forse pure meno, nessuno Studio avrebbe prodotto. Ha per protagonista un personaggio sgradevolissimo ai più, una (forse) impostora però senza sindrome alcuna, una donna ricchissima che vive in case favolose e severe come lei, per giunta omosessuale; lo sfondo è la musica classica, per metà si parla tedesco, il genere è incatalogabile. Inizia con quella solita mano Seventies à la Cassavetes e poi pare un thriller politico sempre anni ’70 in stile Pakula, fino a svolte quasi horror che ricordano Possession di Żuławski, anche per via della Berlino grigia e fredda, nel senso di guerra, in cui è ambientato. È un film per adulti con bellissima musica (colonna sonora di Hildur Guðnadóttir, e ovviamente tanta musica sinfonica, Elgar, l’impossibile Mahler), bellissimi teatri e bellissimi appartamenti, bellissimo caos che forse non porta da nessuna parte ma ti tiene sempre in attesa, altra cosa che, quando il cinema la fa, io son contento, ieri come oggi, anzi oggi anche di più perché le regole delle serie (pre)fabbricate dall’algoritmo mi hanno sfiancato, viva il cinema anche confuso, anche quand’è imperfetto, anche quando delude – e il finale di TÁR deluderà molti.

Todd Field, nato attore, all’attivo ha due titoli da regista e sceneggiatore (In the Bedroom, sopravvalutato assai, e Little Children, da noi praticamente invisibile). Da sedici anni non girava un film, si è incaponito su questa storia di TÁR e di Cate, ed eccoci qua. Ha fatto un capolavoro? No. Ha fatto una cosa che, comunque e dovunque vada, t’interessa guardare? Sì. Ha fatto un film che ci dice che cos’è il cinema oggi? Nel bene e nel male, totalmente.

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