Mesdames et messieurs, che gli Hunger Games abbiano inizio. Al giorno uno del Festival di Cannes, abbiamo capito (solo) questo: sarà un gran casino. E di quelli che piacerebbero tanto a Darwin. La Cannes pandemica (o post-pandemica, come sostiene quel buontempone del direttore Thierry Frémaux) è praticamente la versione sadica del già sadicissimo festival francese. Roba, insomma, da non uscirne vivi. Esagerati? Giudicate voi. Ecco cosa è successo a Cannes nel giro di sole 24 ore. E ne restano ancora 264…
Il tampone-sputacchiera
Appena metti piedi a Cannes, ti dicono: «Se vuoi entrare nel tempio dorato dove tutto si compie (tradotto: il Palais des festivals), devi farti un tampone». Bene. «Ogni 48 ore», aggiungono. E a te già girano le scatole, ma poi pensi al numero sterminato di arzille vecchiette che potresti sterminare con uno starnuto, e dunque accetti. Siamo gente responsabile, noialtri. «Ma niente test antigienico: serve il tampone salivare». Insomma, roba forte, o almeno così ti fanno credere. Quando infatti ti rechi nell’imponente centro vaccinale, con tanto di bandiere bianche al vento e bodyguard all’entrata, ti ritrovi con un kit fai-da-te per le mani e un tizio che, sorridendo, ti dice di sputarci dentro. Silenzio. Lui evidentemente ci è abituato e, senza smettere di sorridere, ribadisce il concetto: bisogna andare in una delle cabine predisposte laggiù (la privacy prima di tutto), aprire l’aggeggio e sputarci dentro. E con forza. Affinché il campione sia utile, è infatti cruciale che la sputazzata non sia discreta e composta: bisogna darci dentro per arrivare fino alla tacca 2 ml. Praticamente un po’ più di un dito: uno schifo. Ma, di nuovo, tu pensi alle vecchie che potresti sterminare, a noi italiani brava gente, e ti avvii ubbidientemente verso il loculo. Quando sei lì, realizzi almeno tre cose: il tizio che ti ha detto “sputa qui” avrà sì e no vent’anni e probabilmente lo hanno preso tra gli stagisti che il McDonald’s ha scartato; il banchetto del loculo potrebbe essere zuppo delle sputacchiate altrui, meglio non appoggiarsi; la saliva, quando è tanta, fa le bollicine.
Meglio le code?
Quando arrivi a Cannes, pensi che nessuno ti negherà una grande gioia: per entrare nelle sale bisognerà anche fare 3450 tamponi, ma le leggendarie code di tre-quattro ore, quelle non esisteranno più. Con il Covid non si può. Stavolta sarà tutto facilissimo-bellissimo-velocissimo: con un clic, si prenoterà il posto online e addio file interminabili. In fondo, a Venezia l’anno scorso aveva funzionato benissimo. Ecco, appunto: a Venezia. Perché qui a Cannes il sistema va in crash ogni santissimo giorno. A quanto pare, a gestire la piattaforma ci sarebbero dei ragazzini – altri stagisti rubati al McDonald’s – che hanno avuto la brillante idea di fissare alle ore 7 l’apertura di tutte le prenotazioni giornaliere, senza scaglionarle tra loro. Così, ogni mattina, 18mila persone si alzano all’alba, smanettano furiosamente sul sito e lo mandano in crash. Kaputt. Ma c’è di più. Esisterebbe addirittura un deep web. Quello che vedete online non è infatti tutto il programma. Ne esiste un altro, segretissimo, riservato a pochissimi eletti: gli unti di Frémaux. Loro hanno un super pass aggiuntivo che schiude le porte di un’altra piattaforma, che comprende riservatissime proiezioni aggiuntive al mattino. E non va mai in crash. Darwin l’aveva detto: solo i più forti possono sopravvivere.
Il distanziamento, questo sconosciuto
Ma tu resisti. Perché, in fondo, è giusto così: il crash mattutino, la frustrazione tecnologica, i test con lo sputo sono tutti sacrifici necessari per permettere un festival Covid-free. Questo finché non metti piedi nelle sale. Lì, all’ingresso, nessuno ti chiede del tampone: «Non serve», spiegano. «Ma come? Io ho sputato, e pure 2 ml!». «Non serve». All’ultimo momento, il team di Frémaux ha infatti deciso di non imporre i tamponi nelle due mega sale del Palais: la Lumière e la Debussy, ovvero quelle frequentate anche dal pubblico. Pubblico che, del Covid, se ne frega alquanto. La sala è strapiena, tutti si siedono vicino, non c’è l’alternanza tra i posti, che peraltro non sono nemmeno assegnati. Della serie: se saltasse fuori un positivo, il tracciamento sarebbe impossibile. Per carità, l’ipotesi è remota, se non fosse che becchi subito qualcuno sfilarsi candidamente la mascherina. Reazione: zero. Nessuno dice nulla. L’importante, infatti, è che alla proiezione serale delle ore 19 e qualcosa si rispetti il dress code. Il resto non conta e, in fondo, ha senso: se finisci in ospedale, almeno sei già in ordine. Ti viene allora da pensare che le persone sono fatte così: c’è sempre lo zoticone di turno. Poi però esci, vai alla mega conferenza con la giuria di Cannes, e ti ritrovi il presidente Spike Lee senza mascherina, che abbraccia stretto stretto la gente scattandosi selfie. Qualcosa decisamente non funziona.
Aperi-party
E così arriva la sera e realizzi che ti hanno tolto l’unica vera gioia di Cannes: le feste. Con il Covid non si può e tu, a quel punto, inizi a pensare che “italiani brava gente” è una grandissima fregatura. Ma tant’è. Calato il sole, Cannes diventa ancora più vuota di quanto non lo sia già di giorno. Giusto qualche ufficio stampa organizza degli aperitivi, ma, diciamocelo, non è la stessa cosa, e comunque serve un invito. Il clima generale è molto da “vorrei ma non posso”: siamo felici di essere tornati a Cannes, ma abbiamo anche una strizza boia. Ed è solo il primo giorno…