Nel 1993 Hollywood ha avuto un’opportunità incredibile, l’occasione per cambiare per sempre l’industria cinematografica. C’erano tutti, ma proprio tutti i presupposti: i diritti sul videogioco Nintendo più venduto e un mercato inesplorato avido di più contenuti. Ma il progetto non ha fatto centro. Di più: la freccia non ha nemmeno colpito il tabellone.
Super Mario Bros. doveva essere il primo di molti adattamenti per il grande schermo, ma invece è finito nel dimenticatoio, per essere tirato fuori soltanto quando si parla della maledizione di film tratti da videogiochi come un dato di fatto. «Un film come Super Mario Bros. nel 1993 aveva gara dura. Nessuno sapeva come potesse o dovesse essere l’adattamento di un videogame. E i giochi originali sono stati creati per un gameplay divertente e vivace, non pensando alla coerenza narrativa», afferma il professore dell’Università di York e autore di Gooey Media Nick Jones.
Per tre decenni Tinseltown ha cercato disperatamente di accaparrarsi un pezzo dell’industria dei videogiochi come ha fatto con l’editoria. Hollywood ha costruito un solidissimo canale di comunicazione dal libro al film, assicurandosi di mandare sempre e rapidamente i romanzi più venduti in produzione, vedi Gone Girl, Twilight e Fight Club. Se con Lara Croft: Tomb Raider, Resident Evil e il recente Uncharted l’adattamento cinematografico dei videogiochi ha avuto un certo successo, non si può dire che i film abbiano incontrato anche il favore della critica. E comunque si tratta di eccezioni, non certo della regola quando parliamo di guadagni al botteghino.
Sembra che il sogno di Hollywood e dei videogame sia stato un complicato work in progress, fino ad ora. The Last of Us è stato presentato in anteprima con recensioni entusiastiche e come il secondo titolo con il più alto numero di spettatori nella storia di HBO (dopo House of the Dragon), cosa che non era mai accaduta in passato per questo tipo di adattamenti. Se Sonic – Il film 2 ha incassato oltre 400 milioni di dollari, non è stato però esattamente lodato dai critici. The Last of Us invece ha spaccato su tutta la linea. La serie è basata sull’omonimo videogioco: i giocatori si immergevano in un’America post-apocalittica mentre guidavano Joel, un contrabbandiere incaricato di scortare un’adolescente, Ellie, in un mondo fatiscente pieno di zombie.
The Last of Us è stato rilasciato nel 2013 dalla società Naughty Dog. Da allora il gioco ha venduto 20 milioni di copie ed è ampiamente considerato uno dei videogiochi più cinematografici mai creati. «Ci sono stati molti adattamenti poco brillanti da videogame, ma si potrebbe dire lo stesso di qualsiasi genere di film o serie», spiega Raj Patel, Senior Brand Lead di Relic Entertainment, che è uno studio targato SEGA. «Penso che ci sia molto potenziale nell’adattare i giochi ad altri media, ma l’operazione richiede un certo livello di rischio creativo. Devi anche trovare un equilibrio rispetto al materiale originale e a come approcciare la fanbase già esistente. È per loro o per un pubblico nuovo? Fino a che punto ci si può allontanare dal nucleo originario? Va preso molto sul serio o ci si può divertire un po’ in modo creativo? È un bilanciamento che può essere difficile da realizzare, anche se ultimamente stiamo vedendo un sacco di persone che ce l’hanno fatta». E aggiunge: «The Last of Us è il tipo di gioco che nasce già molto simile a un film, che racconta una storia allo stesso modo. Sembra una scelta naturale per l’adattamento, soprattutto rispetto ad altri giochi che potrebbero richiedere un pensiero più fuori dagli schemi, come Super Mario ad esempio».
Hollywood ha tentato l’approccio all’industria dei giochi con un po’ di esitazione, ma ora sembra che sia pronta per buttarcisi a capofitto con quasi 60 adattamenti in arrivo nei prossimi anni. Parliamo di più contenuto di quello che è stato prodotto negli ultimi trent’anni. Possiamo aspettarci God of War su Prime Video, dallo showrunner della Ruota del tempo Rafe Judkins; la serie Fallout sempre di Prime, per gentile concessione del duo di Westworld Lisa Joy e Jonathan Nolan; un film di Borderlands, co-scritto dal Craig Mazin di The Last of Us; la serie Twisted Metal by Peacock, con Anthony Mackie; Sonic – Il film 3; il lungometraggio BioShock di Netflix, diretto da Francis Lawrence (Hunger Games – La ragazza di fuoco); e adattamenti cinematografici di Duke Nukem, Minecraft, Space Invaders, Splinter Cell e Streets of Rage.
Nostalgia e una sorta di familiarità sono le droghe con cui Hollywood sta dopando il pubblico. È una strategia collaudata che spesso funziona: «L’industry cinematografica è diventata sempre più dipendente da marchi riconoscibili, che si tratti di un personaggio dei fumetti o di un reboot», afferma Jones. Hollywood ha vinto tutto quando ha investito miliardi nei film Marvel e DC, lanciando un universo di supereroi e cattivi con contenuti che possono durare all’infinito e oltre. Ora per trovare materiale sta scavando nel settore dei videogame, che è cresciuto fino a 3,07 miliardi di utenti attivi: «Le persone sono disposte a pagare un sacco di soldi per console, giochi e abbonamenti, e penso che Hollywood voglia capire perché è così, quando può essere difficile convincere queste stesse persone ad andare al cinema per una sera», continua Jones.
La pandemia ha soltanto aggravato il problema. «Il cinema sta iniziando a rivolgersi sempre di più all’industria dei giochi perché il transmedia è diventato molto popolare, dato che consente alle persone di sperimentare la finzione attraverso più piattaforme», spiega Patel. «Se ti piace il film, forse ti piacerà anche il gioco, o la graphic novel, o il podcast, per esempio. È un ottimo modo per creare esperienze più ampie con fanbase affermate e già molto interessate». La familiarità di una persona con i videogiochi può rivelarsi molto personale, dal momento che giocare a un gioco di sopravvivenza intensissimo come The Last of Us e controllare i personaggi fa sentire gli utenti come se fossero “dentro”, grazie alla sua natura immersiva.
«I giochi ti fanno vivere un’esperienza più profonda e personale, puoi essere una foglia al vento. Quando controlli il blocco Tetris, sei il blocco Tetris», dice Harry Steele del podcast Games on Film, che celebra proprio i film tratti da videogame. Il fratello e co-conduttore di Steele, Rory, aggiunge che l’interattività dei giochi consente lo sviluppo di emozioni più profonde. Hollywood può sfruttare quella connessione emotiva e convertirla in cash. E sembra aver imparato qualcosa dagli errori passati.
The Last of Us funziona così bene perché è una collaborazione tra il creatore del videogioco, Neil Druckmann, e lo sceneggiatore Craig Mazin (quello della miniserie Chernobyl). In passato i nomi legati al videogioco e quelli responsabili dell’adattamento non hanno mai lavorato insieme: «Non hanno semplicemente preso il gioco per la sua fama con l’idea di creare qualcosa che c’entri poco nel tono e nell’approccio», sostiene Jones. «Questo indica rispetto per coloro che hanno giocato al videogame come pubblico potenziale e, data la popolarità di questo gioco, parliamo di una platea enorme».
Rory e Harry Steele spiegano a Rolling Stone che i film sui videogiochi sono un modo per accedere a queste storie da parte di coloro che magari non possono permettersi di acquistare console, giochi e abbonamenti. Il gaming può essere un hobby costoso ma, trasformando questi giochi in film o serie, si consente a più persone di divertirsi con i videogiochi senza spendere una fortuna: «L’accesso a queste storie a volte dipende non solo dalla console che possiedi, ma anche proprio dal fatto di possederne una o meno», dice Rory Steele.
Tira fuori The Super Mario Bros. Movie, un film d’animazione in uscita il 7 aprile con le voci di Chris Pratt (Mario), Anya Taylor-Joy (Principessa Peach), Charlie Day (Luigi) e Jack Black (Bowser): «È interessante notare che, quando arriverà questa nuova versione cartoon, saranno trascorsi trent’anni dal live-action di Super Mario Bros. Quindi sembra che tutti gli adattamenti da videogiochi abbiano cercato di costruire qualcosa fin qui», afferma Rory Steele. Harry Steele spera che questa relazione favorisca una maggiore considerazione per l’arte del gioco: «Hollywood non è certo perfetta, ma ha un rispetto per i videogame di cui solitamente questi non godono. Quindi spero che, attraverso questa connessione, il riguardo che c’è per i film si ripercuota sui giochi», dichiara.
Patel osserva che ci sono aspetti positivi e negativi in una relazione tanto stretta tra il cinema e l’industria dei giochi. «In futuro mi aspetto che il rapporto tra Hollywood e i videogame si rafforzi ancora e includa anche diversi altri media», dice. «Non sarei sorpreso di vedere queste relazioni cementarsi, in modo che i giochi beneficino maggiormente di una maggiore integrazione con film e serie, condividendo in una certa misura creativi, cast e chi prende decisioni a più livelli». Ma si affretta ad aggiungere: «Gli aspetti negativi potrebbero essere che un fallimento può potenzialmente affondare più progetti, quindi nell’approccio transmediale ci possono essere rischi aggiuntivi. Il lato positivo però è che un flop può anche essere attutito da altri prodotti che sono buoni e riescono a diminuirne l’impatto. Può andare in un senso o nell’altro».