La vedi quella terra laggiù? No, non è La Maddalena: è il Cinema Italiano. Che si fa già mentre aspettiamo il traghetto che da Palau ci porterà al Solinas, il festival più bello di tutti, poi vi spiego, se no leggete qui. Succede, lì sul molo, che io cito, parlando di un film di prossima uscita, il nome di un Giovane Attore ancora poco noto, e un Giovane Produttore accanto a me prende nota, “ah, davvero è bravo, l’avevo sentito nominare ma non ne ero troppo sicuro”, e subito dopo il Giovane Produttore chiama un collega per dirgli “ma sai che forse abbiamo il Tal Attore per il Tal Ruolo?”. È così, dunque, che si fa il Cinema Italiano? Forse, anche.
Sbarcati a Punta Tegge, il Cinema Italiano si fa pure (soprattutto) al Solinas, che tecnicamente, e in estrema sintesi, è “il festival degli sceneggiatori”, ma ci passano un po’ tutti: gli autori certo, vecchi e nuovi, e anche i produttori, qualche regista, film commissioner soprattutto locali, qualche giornalista che con il Cinema Italiano cerca di dialogare (e, dopo vari gin tonic, di cantare – eccomi! – “and I take a deep breath and I get real high / and I scream at the top of my lungs / what’s going on?”: che è anche una Grande Metafora del Cinema Italiano stesso) e chi invece sembra in perenne lotta, forse per via delle illusioni di una carriera di sceneggiatore perdute – favoloso l’intervento di chi, fra i colleghi miei, spiegava agli sceneggiatori che nei film non basta l’idea (qua però si usa l’espressione “high concept”): bisogna saperla raccontare (buuuuu in sala).
Si fa, il Cinema Italiano qui al Solinas, vista mare, anzi proprio nelle acque delle cale, oppure in gita. A Caprera, che fa subito Boris, è stato l’autista Carmelo a decidere chi portare dove, dei rappresentanti del Cinema Italiano in libera uscita tra un panel e l’altro. Alcuni li ha scaricati ai Due Mari, spiaggia bellissima dove hanno (abbiamo) nuotato e bevuto Bloody Mary; altri al museo del mare a vedere i resti del capodoglio qui spiaggiato anni fa; altri ancora alla casa di Garibaldi. Questa escursione a bivi produrrà, nei prossimi anni, i copioni di, rispettivamente, una commedia balneare, un thriller green-sostenibile e un drammone storico? Vedremo.
Il Cinema Italiano si fa mettendo “le storie al centro”, questo il titolo del convegno (qui la parola e la modalità resistono) di quest’anno. Le storie della meglio gioventù (ormai un po’ âgée: non me ne vogliano gli amici in questione) degli sceneggiatori nostrani, quella che ha vissuto la crisi del cinema “da sala” ma anche l’avvio della Peak Tv (quella che ci possiamo permettere) delle pay prima e delle piattaforme poi, fino alla presunta crisi di oggi – sono passati pochi anni e già si sente mormorare allarmatissimi “avete visto quanta gente ha licenziato Disney+?”.
Da un lato gli sceneggiatori senior, dall’altro la nuova aspirante leva che arriva alla finale del Solinas, 38esimo (!) anno, con i suoi progetti, no oggi si dice pitch. Ci sono i soggetti per il cinema per così dire classico, ancora qualcuno ci pensa a farlo (e il premio massimo, il Solinas appunto, è destinato a quelli: ha vinto Angela Norelli, con la storia di due ragazze in una Roma notturna). Poi i documentari, il concorso Experimenta per le serie e, per il secondo anno, la Bottega della Sceneggiatura in collaborazione con Netflix, dove writers di lusso (Rampoldi, Sardo, Gravino, Serino, Pellegrini, Rametta, Colella, Urciuolo, Aguilar, il collettivo GRAMS* fra gli altri) fanno da tutor agli sceneggiatori di domani, in una scuola di formazione a tutti gli effetti. Poi magari il soggetto pur vincitore non verrà mai prodotto (l’anno scorso era una costosissima, almeno sulla carta, serie a sfondo Prima guerra mondiale), ma “il ragazzo che l’ha scritto l’abbiamo chiamato per un paio di progetti nostri”, mi dicono i senior. Funziona, quindi. Il Cinema Italiano si fa per davvero (a partire da) qui.
L’importante è non chiamare i partecipanti al Solinas “ragazzi”, giovani è ammesso ma ragazzi fa troppo lotta, distinzione fra classi anche (soprattutto) economicamente intese. Il ritorno per i romani quest’anno era in nave, sette ore di Olbia-Civitavecchia in cui continuare a “pitchare” tra senior e junior. Un Triangle of Solinas che però, mi hanno rassicurato gli amici una volta sbarcati, non ha conosciuto ribellioni, ammutinamenti, piuttosto una gran fratellanza soprattutto d’intenti: trovare le storie che mancano, quelle mai raccontate, che è l’altro Grande Tema al centro del Grande Dibattito.
“La cosa che mi ha stupito”, mi dice Alessandro Fabbri, altro supersenior che a questo giro ha tenuto una masterclass con tutti i finalisti della Bottega, “è che questi giovani autori (credo abbia detto ‘ragazzi’, lo edito per evitargli rappresaglie, nda) scrivono tutti da soli, e io gliel’ho detto: guardate che scrivere da soli è un casino. Però hanno un grande senso della realtà, che forse a noi mancava”. Quel “noi” sono le writers’ room un po’ autarchiche che loro hanno tirato su un tempo, e che poi sono diventate la prassi della scrittura per la tv (e, in una certa misura, anche per il cinema) pure da noi.
C’è in corso il dibattito sul vizio dei produttori di levare i soldi a pochi giorni dalle riprese (e allora “le scene notturne alla fine si girano di giorno, e se era prevista la pioggia salta perché la pioggia costa troppo”, lamenta chi quelle scene le ha scritte), e quello sul pay gap, e qualcuno butta lì “ma possibile che dall’altra parte dell’oceano c’è uno sciopero in corso e qua facciamo finta di niente?” (sciopero, almeno quello degli sceneggiatori hollywoodiani, revocato subito dopo il Solinas: un caso? Chissà). E però c’è il mare, e anche se tira un po’ di vento chi se ne importa, facciamoci un bagno, l’estate è finita proprio adesso e dobbiamo celebrarla.
E mentre anche a mollo si fa il Cinema Italiano, accanto alla spiaggia passa una camionetta militare, e poi un’altra, e un’altra ancora, è un revival militaresco nostalgico, gippini truccati da carrarmati americani con sopra gente in divisa, sono dieci, venti, cinquanta, vanno verso la punta estrema della cala dove siamo, è una meravigliosa sequenza da Cinema Italiano, e gli sceneggiatori vecchi e nuovi, io li vedo, per un attimo pensano: cazzo, perché questa scena non l’ho scritta io.