Ricordate che: l’inverno scorso c’hanno privati del film annuale di Woody Allen, cioè quello che esce adesso con imperdonabile ritardo, Un giorno di pioggia a New York; quell’“hanno” è riferito ai nuovi censori che vogliono piazzare il regista, due volte scagionato dalle accuse di molestie ai danni della figlia Dylan, nell’onda MeToo su cui surfano spericolati Ronan Farrow e mamma Mia; quell’inverno senza Woody non ce lo ridarà nessuno. Ma che noia che barba che barba che noia, basta con queste storie, ora il film è arrivato, pensiamo a quello.
La premessa però c’entra perché, in quest’operetta nuovayorkese, c’è un’universitaria (Elle Fanning, radiosissima nei suoi golfini pastello) che deve intervistare un regista (Liev Schreiber, fighissimo con occhialetti fumé) e che di quel regista s’invaghisce. Perciò, nella caccia alle streghe anche solo presunte dell’altr’anno, era tutt’un: «Woody risponde alle accuse!», anzi no: «Woody li percula tutti!», e via così. E forse è vero, forse no. Perché Ashleigh, questo il nome della ragazza, del regista s’incapriccia, è vero, ma poi in campo arriva un altro tizio (più giovane: Diego Luna), e in più c’è sempre il fidanzatino Gatsby (Timothée Chalamet, che alleneggia a briglia sciolta), rampollo Upper East Side che l’ha accompagnata in città per riscoprirla, quella città – e scoprire, in definitiva, se stesso. Si capisce presto che non c’entrano i proclami, perché questa è una ronde sentimentale, mica un comizio.
Davanti al fuggi fuggi dei suoi attori – i pavidi Chalamet e Rebecca Hall, la fu Vicky a Barcellona qui in una piccola parte, hanno devoluto il loro cachet sindacale alla causa femminista – Woody Allen fa spallucce (e fa causa ad Amazon, che produceva e poi se l’è altrettanto pavidamente svignata) e pensa a quello che gli riesce meglio: scrivere e girare una commedia romantica perfetta. In Un giorno di pioggia a New York sono tutti adorabili e stupidissimi, non solo i ventenni poser o incolti ma in ogni caso con ben poco carattere (tranne la Chan di Selena Gomez: an actress is born!), ma pure gli adulti che adulti lo sono assai poco, si sposano a caso, sono viziatissimi, si annoiano disperatamente per mantenere vite rispettabili: sono molto più interessanti, invece, quelle precedenti che nessuno deve conoscere (splendido il monologo della splendida Cherry Jones, alias la mamma di Chalamet). Ed è stupida New York, sempre uguale, forse banale, epperò così irrinunciabile. Gli impressionisti al Met, i loft con le colonne déco a Tribeca, gli affreschi di Bemelman al bar del Carlyle. E, nel deliziosissimo finale, il Delacorte Clock a Central Park. Che poi è una giostrina di animali. Un’altra ronde. Gli animaletti – stupidi, infantili, innamorati, adorabili – sono Ashleigh, e Gatsby, e tutti gli altri. E siamo noi.