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‘Under Paris’ è o non è una ca*ata pazzesca?

L’horror estivo di Netflix starring Bérénice Bejo (!) sullo squalo che sguazza nella Senna è l’apoteosi del ‘second screen’ (ora vi spieghiamo cos’è), ma alla fine stai lì a guardarlo. Una recensione semiseria

Foto: Netflix

Sì, lo sappiamo, ormai aprire Netflix è come mettere su Canale 5, vedi il titolo che ti sparano in grande, in barba a qualsiasi algoritmo personalizzato, e vabbè che devi fare, lo metti su e a Los Gatos son contenti. Così io con Under Paris, numero 1 al momento tra i film più visti, e poi le breaking news di Variety che mi arrivano in mail che strillano “Ci sarà un sequel?”, e vabbè che devi fare, lo metti su, è anche finalmente estate, e per colpa di quello là non c’è estate senza un horror con gli squali.

Però quello che mi stupisce ogni volta, ancor più dell’algoritmo che non c’è, è che io che sono sempre informatissimo su tutto, pure troppo, di questi film che tutti guardano non so mai niente, nessuno forse sa niente, non ci sono passaggi ai festival ovviamente, ma nemmeno dei comunicati stampa, o una campagna poster/teaser/trailer nei mesi precedenti, e quindi tutte le volte è una sorpresa. Per esempio: metto su ’sto Under Paris, che credo essere una cagata pazzesca, e nella prima scena c’è Bérénice Bejo, e mi chiedo “sarà un cameo?”, e invece scoprirò che è la protagonista del film. Ma come Bérénice Bejo!, ma non era una somma cagata estiva? E ok, il mutuo lo dobbiamo pagare tutti, ma ecco, prima sorpresa.

Quindi, mentre alla povera Bejo si spacca il timpano perché trascinata da uno squalo sotto la monnezza del Pacifico, inizio a googlare, e vedo su Wikipedia che il regista, tale Xavier Gans, aveva diretto cent’anni fa questo Frontière[s] di cui s’era un po’ parlato, poi il solito saltino a Hollywood, e dopo ancora altre robe mai viste, almeno da me, ma forse solo perché ancora non c’era l’algoritmo. Scopro anche, sempre su Wikipedia, che era stato aiuto regista di Frankenheimer sul set di Ronin, uno dei massimi film non parigini girati a Parigi, dunque aumenta il mio sospetto che ormai è quasi sgomento: dunque NON è una cagata pazzesca? Devo mettermi a guardarlo seriamente?

Un amico americano che scrive per la Tv e le piattaforme e insomma i telefonini mi diceva che adesso i dirigenti delle Tv e delle piattaforme e insomma dei telefonini chiedono solo cose second screen, quelle cioè che puoi vedere distrattamente mentre sul first screen (Instagram, TikTok, eccetera) fai altro. E credevo che questo Under Paris fosse l’apoteosi del second screen, pure third o fourth; che avrei potuto vederlo con l’occhio sinistro mentre scrollavo i reel di Chiara Ferragni. Tempo fa ho fatto un fioretto: quando guardo un film la sera – i film che guardo di giorno, solitamente italiani e che conosco solo io nel mondo, valgono come podcast – metto il cellulare lontano, per far finta di riuscire ancora a seguire una storia per intero senza distrazioni digitali. Per Under Paris ero pronto a fare un’eccezione. E invece.

Allora, dicevo: a Bérénice si spacca il timpano, ma intanto lo squalo che stavano tracciando alle Hawaii e che avevano ribattezzato Lilith (!) aveva già fatto strage di tutto il suo team di ricerca, marito compreso. Tre anni dopo, senza troppe spiegazioni logiche se non una vaga supercazzola ambientalista del tipo “non ci sono più le mezze stagioni” (solo che qui suona, più o meno: abbiamo fatto saltare tutti gli equilibri naturali quindi pure i peggio squali vengono a sguazzare nei nostri torrenti), Bérénice è tornata a Parigi e Lilith è arrivata nella Senna (!), il beep beep del tracciamento è sempre più forte e vicino, dei regazzini del genere #FridaysForFuture vorrebbero salvarla ma si rischia la carneficina vista Notre-Dame. Seguono altre supercazzole che mischiano horror, climate change, politica, mélo, qualsiasi cosa.

Scrivevo l’altro giorno, a proposito del bel The Animal Kingdom ora nelle sale, che i francesi non si rifugiano nel genere come fuga dalla realtà, ma anzi piegano il racconto al genere proprio per raccontarla meglio, la realtà. Ecco, con Under Paris tutto si fa ancora più complesso (vabbè), perché è un oggetto davvero abbastanza inclassificabile. Per dire: c’è tutta una sottotrama di satira politica che prende per il culo l’attuale sindaca di Parigi, contestatissima su ogni rive e qui non più mora come la vera Hidalgo ma biondissima amministratrice-bitch senza scrupolo alcuno (è del resto interpretata dalla cattiva di Dix pour cent) che, pur di farsi pubblicità, non cancella il triathlon pre-olimpico nella Senna anche se è piena di squali. Ecco, dei francesi mi piace sempre questo mettere, anche dentro quello che dovrebbe essere il Jaws che oggi ci meritiamo, tutti questi detour sulla stretta cronaca: le Olimpiadi imminenti, appunto, e l’annosa questione della balneabilità della Senna di cui i parigini, effettivamente, parlano da anni bisticciando come solo loro sanno fare.

Tra acque tinte di rosso shocking, primi piani intensissimi di Bérénice, piccole Grete Thunberg nemiche delle guardie e amiche degli squali (finirà naturalmente malissimo), lezioni di urbanistica (grande mistero anche per la polizia cittadina: “Lilith non potrà mai arrivare lì, non c’è una via possibile!”; due secondi dopo: “Ah, no, un canale c’è”), alla fine mi son pure divertito, e incredibilmente non ho mai guardato il telefono. Quindi, Netflix, caccia fuori il sequel anche subito, così chi ancora non ha visto Under Paris può fare second screen con il sequel mentre guarda il primo: è una bella idea, Ted Sarandos, no?

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