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‘Velvet Goldmine’ ha catturato il glam rock come nessun altro

La costumista premio Oscar Sandy Powell racconta come Bowie e Bolan l'abbiano ispirata nel disegnare i favolosi abiti del cult di Todd Haynes del 1998

Jonathan Rhys Meyers (Brian Slade) in ‘Velvet Goldmine’. Foto: Miramax/Courtesy Everett/Everett Collection

25 anni fa arrivava nei cinema Velvet Goldmine, la fantasia glam rock di Todd Haynes che dava al pubblico uno sguardo su quell’era rock definita da artisti come David Bowie, Marc Bolan e Roxy Music. Raccontato come un’indagine in stile Quarto potere sulla scomparsa della rockstar immaginaria Brian Slade (Jonathan Rhys Meyers), il film ha catturato un’energia e una vivacità estetica senza precedenti. Il cast includeva anche Christian Bale nel ruolo del fan del glam rock diventato giornalista Arthur Stuart, Ewan McGregor in quelli di un rocker in stile Iggy Pop di nome Curt Wild e Toni Collette alias la stravagante moglie di Brian, Mandy.

Prima delle riprese a Londra, la costumista britannica Sandy Powell desiderava fare film del genere. Era cresciuta a Brixton amando quella scena, ma non era abbastanza grande per entrarci a pieno titolo. E così, una volta contattata da Haynes, Powell ha potuto realizzare i suoi sogni d’infanzia disegnando scintillanti costumi glam rock che evocavano i look resi famosi da Bowie, Bolan e Pop.

«È nato da tutto ciò che ho sempre desiderato fare», ricorda Powell, parlando da Londra mentre prepara i costumi per la produzione teatrale del Grande Gatsby. «Tutto quello che avrei voluto avere o indossare, ogni concerto a cui avrei voluto andare, ho potuto viverlo a trent’anni invece che da adolescente. Ricordo che all’epoca c’erano alcune persone che dicevano: “Non era proprio così”. Ma non importa. Era la mia fantasia, ed è così che la ricordavo».

Il film racchiude centinaia di look, sia dei primi anni Settanta che degli anni Ottanta, quando Arthur ripercorre la sua giovinezza. Powell ha reinventato alcuni degli iconici ensemble teatrali di Bowie, ma ha anche preso spunto da altri artisti pop dell’epoca. Ha ingaggiato il designer di scarpe Terry de Havilland per rifare le favolose zeppe che aveva prodotto negli anni Settanta, e ha fatto acquisti nei mercatini delle pulci e nei negozi vintage in giro per la City. Ma molti dei costumi più memorabili sono stati realizzati su misura in sole sei o sette settimane di preparazione.

«La sfida era riuscire a portare a termine tutto in tempo», ricorda Powell. «Non credo che ci fosse un costume più difficile degli altri da realizzare. È stata una sfida in generale, ma molto bella».

Adesso Powell è considerata uno dei più grandi costumisti della storia del cinema, con 15 nomination agli Oscar e tre vittorie per Shakespeare in Love, The Aviator e The Young Victoria. Ha realizzato numerosi film con Haynes e Scorsese e recentemente ha terminato il nuovo Biancaneve, in uscita nei cinema nel 2025.

Insieme a Rolling Powell ha riflettuto sulla realizzazione di Velvet Goldmine, sul lavoro con Haynes e su come ha perso l’Oscar per i migliori costumi contro sé stessa.

Come ci si sente a celebrare il 25esimo anniversario di Velvet Goldmine?
È folle. Avevo 37 anni quando ci ho lavorato, quindi ero nel giro già da circa 12. Stranamente proprio l’altro giorno stavo guardando alcuni costumi, che ci sono ancora. Ero da Angels Costumes per dare un’occhiata, perché farò una mia retrospettiva l’anno prossimo ad Atlanta, in Georgia, e sto cercando di rintracciare tutto. E il motivo per cui esistono ancora è che la casa di costumi Angels, a Londra, mi ha dato la possibilità di realizzarli perché avevo veramente pochi soldi. Hanno creato molti costumi al prezzo di noleggio invece di addebitare effettivamente quello che normalmente faresti per realizzare abiti su misura. E questo significava aumentare le loro scorte di quel tipo di look glam rock. È tutto tenuto piuttosto bene, anche se nel corso degli anni i look sono stati affittati. Non tutti – alcuni sono stati completamente distrutti –, ma ci sono pezzi chiave che hanno tenuto da parte.

Sandy Powell e Todd Haynes all’anteprima di ‘May December’ al BFI London Film Festival. Foto: Getty Images

Qualcuno dei costumi è apparso anche in altri film?
Probabilmente sì, ma nessuno me l’ha fatto notare. Anzi, sicuramente, perché erano sempre fuori dal magazzino. Magari li avranno indossati delle comparse e non dei personaggi principali. Sono sicura che qualcuno li avrebbe riconosciuti e me li avrebbe inviati, se avesse riconosciuto qualcosa addosso al protagonista di un film.

È vero che ti sei proposta tu quando hai sentito che stavano girando un film sul glam rock?
Sì, volevo davvero farlo. Appena ho sentito che girava questa voce – tipo, un mio amico mi ha detto che qualcuno stava girando un film che parlava vagamente di Marc Bolan e dell’era glam rock – ho pensato: “Oh Dio, devo farlo!”. Adesso ho 63 anni, quindi all’inizio degli anni Settanta avevo 11, 12, 13 anni e adoravo pazzamente i vestiti. Amavo travestirmi, amavo la moda e amavo la musica. Fu allora che sentii per la prima volta David Bowie alla radio, intorno al 1971. Da adolescente, ovviamente, non potevo permettermi di comprare abiti, quindi me li creavo da sola. E volevo essere abbastanza grande per andare ai concerti, ma non lo ero. Quindi desideravo davvero lavorare al film, perché quello è stato un momento molto significativo e di grande ispirazione per me: il movimento, la musica, la moda, il mondo, tutto in quella prima metà degli anni Settanta era rilevantissimo. Dovevo riuscirsi. Poi ho scoperto che alcuni miei amici erano amici di Todd Haynes, e così mi hanno presentato a lui. E questo è tutto.

Tu e Todd siete andati subito d’accordo?
Assolutamente sì, sapevamo di essere l’accoppiata giusta.

Quando si tratta di un film con questa portata visiva, quanto c’è nella sceneggiatura e quanto invece ti devi immaginare?
Todd è uno di quei registi super preparati, fa tantissima ricerca. I vestiti non erano descritti nella sceneggiatura: questo di solito non accade, a meno che non si tratti di un outfit significativo che deve fare o dire qualcosa. Raramente vengono descritti da chi scrive. Ma le scene sì, così come i personaggi, e poi Todd aveva anche molto materiale di riferimento visivo. Ho semplicemente seguito ciò che era nella sceneggiatura come ispirazione e come punto di partenza.

Brian Slade è sempre stato pensato come un David Bowie immaginario?
Sì. Non avrebbe mai dovuto essere David Bowie, ma è un personaggio che ha elementi di David Bowie, ma non tutto. Ovviamente Bowie era il riferimento principale, senza che fosse realmente Bowie o somigliasse a lui.

Ma ti sei ispirata a Bowie per i costumi di Jonathan?
Certo, assolutamente. Anche i primi look, quando era vestito in modo più hippie e poi inizia a indossare camicette da donna e capi d’abbigliamento femminile, cosa che facevano tutti. Ha attraversato diverse fasi, perciò ho usato elementi di tutto il percorso. Avevo centinaia di immagini di Bowie ovunque. E ho realizzato le mie versioni delle cose che indossava, invece di provare a copiarle. Dovevamo creare la versione Brian Slade di Bowie.

Deve essere stato divertentissimo
Non mi sono mai più divertita così tanto in un film. Probabilmente lo dico in chiave retrospettiva, ma è stato davvero bellissimo. E poi è stato anche un incubo perché, anche se abbiamo avuto molto aiuto, eravamo in difficoltà con il budget. E quindi lavoravamo per ore e ore solo per riuscire a chiudere tutto. Ma non è mai stato un problema perché ce la godevamo, eravamo molto appassionati.

Ricordi quanti costumi hai realizzato per il film?
Mi piacerebbe saperlo! Sono sicura che sono stati centinaia. E poi ovviamente abbiamo anche comprato un sacco. C’erano anche i costumi delle società di noleggio, ma abbiamo fatto un sacco di acquisti. Ogni fine settimana andavamo ai mercatini delle pulci, a caccia. Questo è successo 25 anni fa, era un periodo più semplice in questo senso. Nei negozi e nei mercatini vintage adesso gli anni Settanta sono considerati troppo vecchi, non riesci a trovare niente. Ora sei fortunato se trovi pezzi degli anni Novanta.

Christian Bale (Arthur Stuart) in ‘Velvet Goldmine’

C’erano delle considerazioni che dovevi fare, sapendo che gli attori avrebbero fatto dei concerti indossando quei costumi?
Sì, sai che li devi disegnare tenendo presente che sono pensati per una messa in scena. Ma poi, ovviamente, il punto centrale di tutti quei look era che le persone apparissero teatrali anche fuori dal palco. Non c’era molta differenza. Quello che indossavano mentre suonavano live era probabilmente solo un pochino più luccicante di quello che indossavano in studio.

Eri sul set per le performance?
C’ero sempre. Di solito non mi fermo durante le riprese, mi annoio perché devi passare molto tempo ad aspettare e normalmente ho cose più importanti da fare, tipo prepararmi per il giorno successivo o la settimana dopo. Nel caso di questo film sono riuscita a stare sul set tutto il tempo, soprattutto durante le scene dei concerti. Eravamo tutti coinvolti. Facevamo tutti parte del pubblico. E ogni volta che c’era una scena di festa, stavamo tutti lì.

In costume?
Sì! In pratica l’abbiamo vissuto per davvero.

Quando Ewan si esibisce al festival musicale, si toglie completamente i pantaloni di pelle. Li hai creati sapendo che sarebbe successo?
Dovevo. Sapevamo che tutta la sua performance era in qualche modo basata su Iggy Pop, e sapevo cosa avrebbe fatto Iggy Pop. L’avevo visto. Quindi sì, in un certo senso lo sapevamo, ma sono anche sicura che Ewan abbia fatto molte cose spontaneamente.

Le performance sembrano davvero naturali, pare che tutti si siano lanciati senza paracadute.
Ed era proprio così. Era uno di quei film in cui tutti vivevano quello che stavamo facendo. Ci siamo fatti molte nottate insieme. Abbiamo girato in un posto a Brixton, Londra, dove vivo: la Brixton Academy, che è un grande locale musicale. Abbiamo lavorato lì per un paio di giorni, e poi sono venuti tutti a casa mia per festeggiare, ovviamente quando il giorno dopo dovevamo alzarci presto per tornare sul set. In realtà vivevamo tutti quello stile di vita folle ed edonistico. Todd era più ragionevole, non voglio farlo sembrare irresponsabile. Penso che sarebbe davvero andato a casa a dormire.

Toni Collette e Jonathan Rhys Meyers in ‘Velvet Goldmine’.

Hai un costume o una scena preferita del film?
È davvero difficile scegliere, dovrei vederlo di nuovo. Ma forse la mia parte preferita sono i titoli di testa. Li adoro, con tutti i ragazzini e le comparse che corrono emozionati per arrivare a un concerto con indosso quei look. Anche tutti i miei amici e io eravamo così a scuola, vestiti con pezzi low budget. È una versione glam rock per ragazzi che non possono permettersi cifre esagerate, ed è tutto fatto in casa. Adoro quella sequenza con la musica di Brian Eno sparata. È davvero una delle mie sequenze di titoli di testa preferite di sempre.

L’anno dopo l’uscita sei stata nominata all’Oscar per questo film e per Shakespeare in Love. Praticamente hai perso contro te stessa. Continuo a pensare che avresti dovuto vincere per Velvet Goldmine.
Avevo due candidature anche ai BAFTA, e lì ho vinto per Velvet Goldmine. Uno per uno. E sì, hai ragione, ovviamente mi sarebbe piaciuto vincere per Velvet Goldmine. Non so se dovrei parlarne, ma entrambi i film sono stati prodotti da Harvey Weinstein. Ai tempi era noto per le sue campagne Oscar aggressive e aveva scommesso su Shakespeare in Love. Ho iniziato a dare interviste per entrambi, e poi all’improvviso non ne ho più fatte per Velvet Goldmine, ma ce ne sono state parecchie per Shakespeare in Love.

Quando ripensi a Velvet Goldmine, di cosa sei più orgogliosa?
Di avercela fatta. E quando ripenso ai lookbook di Todd, alle sue immagini e ai suoi riferimenti, mi sembra di aver davvero dato vita alla sua visione. So per certo che ci siamo riusciti e lui ne era felice, ma quello di cui sono più orgogliosa è che ci siamo divertiti. Molto spesso puoi fare un lavoro straordinario e passare dei momenti terribili facendo un lavoro straordinario, e poi il film è un enorme successo. Se ti diverti, molto spesso pensi: “Oh, il film non è così bello”. È stata una fortuna collaborare a un bel film e, al tempo stesso, lavorare sodo. È uno di quei titoli il cui seguito è effettivamente cresciuto, no? Non fu un grandissimo successo all’epoca. Ma poi è cresciuto e ha continuato a crescere. Fino a reggere benissimo 25 anni dopo.

Ci sono altri ricordi delle riprese che vuoi condividere?
Ci sono tante cose, sì, che però non puoi scrivere. E quindi non te le dirò.

Da Rolling Stone US

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