Poor Things di Yorgos Lanthimos
Per noi a fare la parte del Leone (d’oro) dovrebbe essere Poor Things, la (ri)educazione sentimental-erotica in sala punk firmata da Yorgos Lanthimos, favourite (pardon) di Venezia e – forse – anche della giuria presieduta da Damien Chazelle. Ma in corsa c’è pure il tostissimo dramma d’impegno civile della decana del cinema polacco Agnieszka Holland, Green Border, che, sul confine tra Polonia e Bielorussia, indaga le vite dei rifugiati dal Medio Oriente che cercano di raggiungere l’Unione Europea. E attenzione al premio Oscar Ryūsuke Hamaguchi e al suo bellissimo Evil Does Not Exist.
Green Border di Agnieszka Holland
Chi tra Lanthimos, Holland e Hamaguchi non vincerà il riconoscimento più importante si candida al Gran Premio. Noi vedremmo bene il cinema impegnatissimo di Holland qui, ma non dimentichiamo anche l’altra faccia del cinema sui migranti di Venezia 80: l’odissea della speranza di Io capitano by Matteo Garrone, che un Leone importante se lo meriterebbe.
Evil Does Not Exist di Ryūsuke Hamaguchi
A questo punto potrebbe essere Hamaguchi a portarsi a casa il Leone per la regia: la sua parabola ambientalista e umana ha un tocco misterioso che incanta.
Emma Stone per Poor Things di Yorgos Lanthimos
Emma Stone è ormai la musa ideale del cinema di Lanthimos, una Barbie punk e freak splendida per la bizzarra emancipazione immaginata dal regista greco. Dopo la Coppa Volpi per La La Land nel 2016 e l’Oscar, potrebbe essere la seconda volta per l’attrice. E sarebbe meritatissima. Ma la partita è aperta: se la giocano anche una Carey Mulligan strepitosa nei panni di Felicia Montealegre, moglie del Maestro Leonard Bernstein/Bradley Cooper e un’ottima Jessica Chastain in Memory del messicano Michel Franco.
Caleb Landry Jones per Dogman di Luc Besson
Qui per noi ci sono due veri concorrenti: Caleb Landry Jones, aka il Dogman di Luc Besson, la cui interpretazione dolente di questo Joker devastato da un’infanzia terrificante e, in qualche modo, salvato dalla sua passione per i cani fa il film. E Mads Mikkelsen nei panni del capitano danese di umili origini che vuole coltivare la brughiera dello Jutland per elevare la sua posizione sociale in Bastarden. Ma per noi dovrebbe essere Caleb. Anche se all’ultimo è arrivato Peter Sarsgaard (accanto a Chastain in Memory) a sparigliare le carte…
El Conde di Pablo Larraín o Enea di Pietro Castellitto
El Conde, la satira horror-politica di Pablo Larraín, che ha trasformato Pinochet in un vampiro, un essere che non smette mai di circolare nella Storia, unendo uno spunto da B-movie con l’afflato da auteur più autentico, potrebbe meritarsi il premio alla sceneggiatura. Ma se invece andasse a Enea? Al cinema vivo, spiazzante, all’ambizione anche presuntuosa di guardare a modelli altissimi con una cifra però già personalissima, spassosa e insieme dolorosa? La Mostra deve fare crescere i propri talenti. E, dopo il premio per la sceneggiatura di Orizzonti 2020 a I predatori, Pietro Castellitto dovrebbe replicare, questa volta nel concorso e tra i grandissimi.
Io capitano di Matteo Garrone
Per noi dovrebbe andare a un film italiano. E i migliori due del concorso, pur diversissimi tra loro, sono Enea, ovvero il racconto grottesco e insieme filosofico di una Roma Nord tutta rum e cocaina, e Io capitano, che s’immerge nell’attualità più urgente senza però trascurare la poesia, il lirismo, la magia di un incontro o di un abbraccio.
Seydou Sarr per Io capitano di Matteo Garrone
Il dramma umanistico di Matteo Garrone ha trovato un interprete meraviglioso in Seydou Sarr: nei suoi occhi, nel suo partire ragazzino e arrivare uomo, anzi, “capitano”, c’è tutto. Ma ha possibilità anche Cathalina Geeraerts, la 15enne bullizzata che sviluppa poteri curativi in Holly di Fien Troch.