Non ricordo quando ho visto Mean Girls per la prima volta, so solo che da allora, ogni anno, il 3 ottobre organizzo un rewatch con i miei amici. La data non è casuale, if you know you know. Potete chiamarla ossessione o potete chiamarlo film ben riuscito, vedete voi. Oggi comunque sono passati esattamente vent’anni dall’uscita e possiamo piuttosto tranquillamente dire che il film di Mark Waters che debuttava nei cinema americani il 30 aprile 2004 è ancora il più bello tra quelli ambientati nei licei americani. Lo diciamo senza dimenticare i vari American Pie, 10 cose che odio di te, Schegge di follia e tutte le pellicole che hanno riempito i nostri schermi di quarterback, cheerleader e armadietti metallici che sbattono fortissimo quando un bullo qualsiasi vi ci sbatte contro.
Vent’anni sono tanti, sì, eppure è un po’ come se Mean Girls fosse uscito ieri, cristallizzandosi nelle cultura pop come qualcosa che, nonostante il tempo che passa, non perderà mai lo smalto (rosa). Non a caso è appena uscito un musical al cinema con l’intento di avvicinare pure la Gen Z alle mura della North Shore High School. Pare l’intento sia riuscito (a differenza del sequel, con attrici diverse, presto dimenticato da fan e non: guardatelo e capirete perché. Anzi, non fatelo: la vita è troppo breve).
Tra i meriti di Mean Girls, forse il maggiore è quello di essere pieno zeppo di battute che sono diventate citazionismo puro per i millennial. Dal classico «i mercoledì ci vestiamo di rosa» al più raffinato «i soldi le escono dal culo perché il padre ha inventato lo scaldamerendine». Dietro ai testi c’è la penna di Tina Fey, autrice televisiva e comica statunitense (SNL e 30 Rock, per citarne due) che nel film interpreta l’insegnante ma che del film è soprattutto la sceneggiatrice. Ma mettendo da parte le battute, e vi giuro che è difficile, Mean Girls è diventato così popolare perché ci ha fatto vedere che anche le donne possono essere delle vere stronze (esiste qualcosa di più femminista?). Anche qui, però, siamo ancora lontani dal mettere insieme tutti i meriti di questa pellicola.
Mean Girls è un film che racconta in maniera spietata le dinamiche horror che tutti, chi più chi meno, hanno vissuto a scuola. Il gruppo di bulli (in questo caso di bulle), i giochi di potere, le fragilità. L’idea originale venne a Tina Fey dopo aver letto un libro intitolato Queen Bees and Wannabes, una sorta di guida per genitori uscita nel 2002 che spiegava come aiutare i figli a navigare in quel mare burrascoso chiamato scuola superiore. Tina riuscì a trovarne il lato divertente, et voilà. Nel film c’è tutto quello che succede in quegli anni: le amicizie tossiche, le prime relazioni, la sensazione di non essere mai “giusti”, il voler cambiare per piacere agli altri. Tutto lì, sbattuto sullo schermo. E nonostante siano tutte cose brutte, nel film vengono raccontate con ironia e con molta più sensibilità di quello che ci si aspetti. Anche la regina delle stronze, non a caso chiamata Regina George, che durante il film detesti con tutto te stesso, alla fine viene fuori che ha dei sentimenti, e che deve solo imparare a gestirli.
Ma Mean Girls è un film che più di tutti fa capire che quello che succede a scuola per fortuna rimane a scuola, che non importa se sei seduto al tavolo dei secchioni o a quello delle belle fighe: visti da fuori, sono tutti sfigati alla stessa maniera. In mezzo ci siamo noi, che nell’età in cui non sei grande ma non sei neanche piccolo proviamo a capire dove infilarci, credendo che l’appartenenza a un qualsiasi gruppo ci salverà. L’avventura che intraprenderà Cady (una Lindsay Lohan all’apice della carriera) la porterà infatti a capire che non si salva nessuno. Men che meno gli insegnanti (anche qui raccontati come persone, e che come persone hanno una vita incasinatissima), i giocatori delle squadre di football o i genitori (vedi quello che abbiamo scritto per gli insegnanti).
Non si può scrivere questo pezzo senza una menzione al casting director. Per i ruoli furono scelte quattro giovani attrici che ancora ringraziano. Lindsay Lohan, all’acme della sua popolarità da teen star, Amanda Seyfried (la sua Karen Smith è così babbea che non ci si crede), Rachel McAdams e Lacey Chabert. Quattro donne a cui il film ha portato benissimo (un po’ meno a Lacey, ma tanto suo padre aveva già inventato lo scaldamerendine). Quattro amiche/nemiche vestite come l’incubo di ogni ragazza negli anni 2000, tra abitini succinti colori pastello, minigonne e scarpe sempre con i tacchi, anche per andare alle lezioni di scienze. Un trionfo di outfit, slogan e cultura pop. E poi, appunto, la vera protagonista del film: la cattiveria. Quella che, bene o male che ti andrà, troverai tra le porte di un qualsiasi istituto scolastico (o istituto punto). Il tutto, altra cosa da notare, con i maschi che sono sempre e solo personaggi secondari, di contorno (e torniamo al femminismo, se ne dobbiamo parlare visti i tempi).
Non è un caso se negli anni i tributi al film si sono sprecati. Tra gli ultimi anche un video di Ariana Grande (Thank U, Next). E poi i nuovi spot Walmart usciti quest’anno con le attrici originali, ma pure Mariah Carey che nel suo brano Obsessed apre proprio con una citazione di Regina (“Why u’re so obsessed with me?“).
Tutto si carica fino al finale, che poteva essere scemissimo e invece è un’altra lezione adulta: il liceo finisce, le protagoniste trovano il loro spazio nel mondo e tutte le cose che sembravano importantissime tra i banchi di scuola diventano immediatamente così idiote che non ci si crede. Resta da snocciolare un tema caro alla Gen Z: nel film ci sono battute invecchiate male? Forse (e dico forse, d’altronde sono un millennial). Tenete conto che sono passati vent’anni. Ma oggi, nel giorno dell’anniversario, vale la pena riguardarlo tutto. Anche se non è il 3 ottobre e anche se l’avete già visto tantissime volte. Come direbbe Cady/Lindsay, “the limit does not exist“.