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Women: Da Greta Garbo a Rita Hayworth… e Hollywood scoprì il sesso

Dalla divina svedese a Katharine Hepburn, passando per Bette & Joan, gli Studios degli albori proposero modelli che rifiutavano una femminilità dirompente. Ma poi arrivò l’atomica Gilda…

Foto: Donaldson Collection/Getty Images

Negli Ultimi fuochi, libro e film, c’è un episodio significativo in una certa prospettiva. Riguarda una diva francese impegnata in una scena di un film della Metro. Alla diva dà corpo e volto Jeanne Moreau. Siamo negli anni Trenta. Il boss dello Studio rimprovera il regista sul set perché non sa valorizzare le grandi possibilità espressive ed erotiche dell’attrice. Dice: “Queste europee hanno davvero qualcosa in più”. Gli ultimi fuochi (1977) era tratto dal libro incompiuto di Francis Scott Fitzgerald, alla regia c’era Elia Kazan. Dunque un doppio, autorevole, decisivo avallo. Che le europee fossero predilette a Hollywood è un dato di fatto. La “giovane” cultura americana nutriva nei confronti di quella europea un’autentica soggezione, anche in quella chiave. E così la prima divina del cinema americano, la leggenda della fase aurea di Hollywood, era una svedese: Greta Garbo.

A contenderle la leadership fu una tedesca: Marlene Dietrich. Con un paradosso che non sembrerebbe credibile, se non ci fosse di mezzo il cinema: i simboli femminili del mondo erano… lesbiche. L’altro paradosso è che … si vede. Voci molto profonde, atteggiamenti che non erano quelli di Marilyn. Greta e Marlene, ormai è notorio, ebbero anche una relazione. Si erano conosciute sul set di un film nel 1925, e lì nacque l’amore. Poi ebbero amanti, tante, e Marlene anche un marito, perché gli Studios volevano almeno difendere una certa parvenza, ma nel tempo le due dive non nascosero più la loro attitudine. Dietrich andava per la sua strada e Garbo si espose diventando il riferimento internazionale del mondo saffico. E già allora si disse: “Sono fatti loro”. Naturalmente si erano conquistate la loro franchigia, chiamiamola così, come fanno i grandi artisti: facendo grandi opere e facendosi giudicare per le opere e non per il privato.

Una donna dal privato importante si stava facendo conoscere in quei primi anni Trenta. Suo padre era un medico molto noto, sua madre un’intellettuale progressista. Lei voleva fare l’attrice, e lo diventò: Katharine Hepburn. Nel 1933, la RKO trovò che questa ragazza di 27 anni, quasi sconosciuta e non proprio bella, potesse avere la personalità giusta per il ruolo di un’americana che lotta per affermarsi. Così Katharine divenne la protagonista di Stella del mattino. Era la storia di una giovane dotata e grintosa che vuole a tutti i costi diventare attrice. Inutile dire che c’era qualcosa di personale nel ruolo. Il soggetto dava alla Hepburn la possibilità di mostrare talento, davvero una chance importante, perché in una sequenza recitava un brano di Amleto. Era fatta: grande successo e primo (di quattro) Oscar. Il cinema americano poteva contare su una diva che poteva competere con le ambigue, importate europee. Magistrale la gestione della carriera di Katharine. Forgiata e perfezionata da George Cukor, il regista delle dive, ebbe al fianco per la prima fase leggera-sofisticata della carriera il modello leggero-sofisticato per eccellenza, Cary Grant. E nella fase successiva, della maturità, ebbe il partner divo-ma-soprattutto-uomo-vero Spencer Tracy. In 62 anni di carriera, Katharine ha vinto quattro Oscar come protagonista. Nessuno come lei. E comunque, la più grande attrice americana e non solo, il modello femminile dei decenni belli di Hollywood, non era… femminile, ancora una volta.

Per rispondere alla RKO due fra le major più importanti, la Warner e la Metro, cercarono modelli che fossero all’altezza. E li trovarono. Erano Bette Davis e Joan Crawford. Ma anche loro facevano parte del carattere “grinta e aggressività”. Non era la sessualità la prima opzione. Simboli sessuali non erano mancati, ma quasi tenuti a margine: Mae West, disegno biondo quasi grottesco, e Jean Harlow, altra bionda prorompente ma di scarsa attitudine artistica che morì giovane, non ebbe tempo per imporsi. I nomi fatti erano quelli di vertice, le leader che si imponevano, che sovrastavano. Poi c’erano decine di attrici a rappresentare vari caratteri. Di un decennio più giovane delle sue omologhe straniere c’era Ingrid Bergman, un’altra svedese adottata e coccolata, attrice dai molti Oscar, brava e carismatica, più brava e carismatica che… sensuale, appunto. Da Londra arrivava in quegli anni Greer Garson, gran dama dai rossi capelli. Divenne la signora della Metro, fece film indimenticabili come La signora Miniver (con Oscar), ma era solo una gran signora, nessuna fantasia erotica che la riguardasse.

Ma nel 1941 una ventitreenne quasi sconosciuta ebbe una parte di rilievo in Sangue e arena. Rita Hayworth riduceva il torero Tyrone Power a un burattino nelle sue mani, e poi, accompagnandosi con la chitarra, cantava Verde luna. E lì le fantasie erotiche prendevano forma. Rita fu il primo sex symbol esplicito, sapeva recitare, cantare e ballare, ma soprattutto aveva sesso. Il personaggio di Gilda le diede una popolarità planetaria. Migliaia di mamme chiamarono Gilda le loro bambine. Rita sposò personaggi certo di rilievo, prima Orson Welles e poi Aly Khan.

(Continua…)

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