Brigitte diceva: “Se hai voglia di fare qualcosa fallo, se ti piace un regalo accettalo, non c’è niente di male. Se hai voglia di fare l’amore fallo, non c’è niente di male”. Alla Bardot, nata nel 1934 come la Loren, apparteneva un’ingenuità che forse era autentica. In Piace a troppi (Et Dieu… créa la femme), del 1956, sposa Trintignant, va a letto con Marquand e si fa corteggiare da Jürgens. Brigitte è un modello importante. Si innamorava tutte le settimane, nei film e nella realtà, e il pubblico non aveva niente da ridire. Il pubblico era stato domato, così come la morale. Com’era possibile che una donna come lei, nella sua strepitosa grazia erotica, potesse essere fedele a un marito? Non era possibile, appunto. La sua trasgressione era dunque legittimata. E molte donne belle assunsero quell’indicazione e si comportarono di conseguenza. Avevi voglia di fare l’amore, con qualcuno che ti piaceva, ebbene: lo dovevi fare. La parola che andrebbe usata sarebbe “sdoganare”. B.B. sdoganò il sesso. Non è poco, in quegli anni.
Brigitte Bardot non fu una delle europee adottate da Hollywood, dalla “puritana” Hollywood, appunto. Ma non le interessava, andava dritta per la sua strada, con regole sue, diverse. Tuttavia gli americani le dedicarono un film. Il carattere Brigitte era talmente prevalente che avrebbe vampirizzato ogni ruolo, così Hollywood scelse l’unico “indiscusso” che le poteva appartenere: sé stessa. Erano gli anni Sessanta, il titolo era Dear Brigitte (1964), criminalmente tradotto in Erasmo il lentigginoso. Vicino a lei un monumento che valeva come legittimazione e “deterrente”, James Stewart. Era la storia di un bambino che vive per conoscere B.B. e il padre lo accompagna a Saint-Tropez per esaudire il sogno. Allora era il sogno un po’ di tutti, soprattutto adulti. Appunto.
Un’europea di qualche anno più grande di Brigitte, Gina Lollobrigida, solo un anno prima di Dear Brigitte era stata protagonista della Donna di paglia. Gina aveva un nome internazionale, erano gli anni del famoso dualismo con la Loren, che comunque si era accreditata al massimo livello con l’Oscar per La ciociara. Anche Gina doveva pagare l’eterno prezzo di un peccato originale casereccio, il ruolo della bersagliera nei due Pane, amore e… Anche se alla Lollobrigida mancò sempre, com’era mancato alla Loren, quel punto per essere una delle grandi straniere adottate da Hollywood, tuttavia il titolo di star non era usurpato. E così fu a lei che pensò l’inglese Basil Dearden come protagonista della Donna di paglia. Gina, star europea appunto, avrebbe legittimato Sean Connery, freschissimo Bond, fuori dall’Inghilterra. Sean aveva immagine e charme per legittimarsi da solo, ma l’“italiana” fece il suo dovere. E per tutta la vita Connery le fu amico. Lollobrigida era arrivata a Connery dopo essere stata partner, fra gli altri, di Burt Lancaster e Tony Curtis in Trapezio, e di Sinatra in Sacro e profano. Nel ’61, per la regia di Robert Mulligan, fu protagonista del delizioso Torna a settembre, accanto a Rock Hudson. È la sua performance migliore. Va rilevato, in chiave di star internazionale ma col limite detto sopra, quel punto in meno che il ruolo di Gina in quei tre film, e in quasi tutti, era quello di un’italiana.
Nel 1961 al Festival di Cannes, sulla Croisette, una ventitreenne sta attirando l’attenzione della stampa specializzata. È Claudia Cardinale, che in Italia si è già fatta un nome. In quel contesto non è ancora “la terza italiana” perché la Loren si gode l’Oscar della Ciociara e la Lollobrigida il successo di Torna a settembre. Ma i francesi adottano Claudia, e il prestigioso magazine Paris Match le dedica la copertina. Il titolo è evocativo e impegnativo: “La chiamano già C.C. È Claudia Cardinale la giovane rivale di B.B.”. Claudia ha attitudini e cultura certamente non “caserecce”. Sarà la terza italiana del cinema del mondo. Ci piace estrarre un solo titolo, ma importante, nella memoria di tutti: La pantera rosa, dove tiene testa al grande David Niven. Sophia, Gina, Claudia. I segnali fuori dai confini arrivano da quelle tre, i segnali riconoscibili naturalmente.
E poi c’è un fenomeno, un unicum, una donna che era qualcosa di più e qualcosa di meno di un’attrice. Anna Magnani dominava, sempre, dovunque fosse. Talento inarrivabile: verità, umanità, naturalezza infinite. Hollywood la tenne d’occhio e la chiamò. Fu protagonista della Rosa tatuata con Burt Lancaster, che le portò un Oscar. Quattro anni dopo, in Pelle di serpente, il suo partner fu nientemeno che Marlon Brando. E lei, Anna, sempre dominava.
Per concludere, una citazione nobile e squisita, diciamo così. Non c’è divismo o mito, non c’è neppure quell’estetica che ci si aspetta nei ruoli di protagonista dei film. Ma c’è classe e c’è attitudine, magnifiche. Era una grande attrice che si affermava per pura bravura, Valentina Cortese. Teatro e cinema la riguardano, soprattutto il teatro. Ma nel 1949 Valentina era a Hollywood a fare la protagonista di Malesia, accanto a due partner che certo avrebbero potuto travolgerla, Spencer Tracy e James Stewart. Ma non la travolsero. Non possedeva l’avvenenza aggressiva delle protagoniste di allora. Ma possedeva una grande classe. E nel ’72 la troviamo fare sé stessa in Effetto notte di Truffaut. Sempre con quella sua personalità esclusiva, che non puoi non ricordare.