Probabilmente Xavier Dolan è arcistufo di sentirsi chiamare enfant prodige (o terrible), soprattutto ora che ha 31 anni e che il suo nome è ormai uscito dalla nicchia cinéphile per diventare quasi oggetto di fanatismo. Ma uno che esordisce a vent’anni con tre premi alle Quinzaine des Réalisateurs di Cannes e che, prima dei 24, presenta i suoi tre film successivi di nuovo sulla Croisette e al Lido, come lo definisci? Il grande pubblico ha iniziato ad accorgersi di lui con Mommy e con È solo la fine del mondo, rispettivamente Premio della giuria e Grand Prix nel palmarès 2014 e 2016. La consacrazione definitiva ad autore pop è arrivata con la regia del video dei record di Adele, Hello, e il primo passo falso con La mia vita con John F. Donovan, starring Jon Snow, primo film in inglese dell’enfant. In attesa di vedere Dolan che torna alle sue atmosfere più intime e meno americane con Matthias & Maxime, Amazon Prime Video ha messo in catalogo i primi quattro film del regista canadese, dove c’è già tutta l’anticonvenzionalità, il furore, la capacità di scrittura e di messa in scena che poi sono esplosi con Mommy. Un consiglio: non perdeteli.
J’ai tué ma mère (2009)
Esordio urgentissimo, quasi furente: non a caso il titolo è Ho ucciso mia madre. Scritto a 16 anni, girato, interpretato e auto prodotto quando Dolan ne aveva 19, senza aver mai frequentato mezza scuola di cinema: “Ho dovuto investire in quel progetto tutti i miei soldi. Sentivo la necessità iniziare la mia vita come artista e, visto che nessuno me lo permetteva, me lo sono permesso da solo”. Una storia straziante di amore-odio assoluti tra una madre e un figlio adolescente scritta con profondità e vitalismo e girata con quell’originalità e quella forza visiva che poi usciranno dallo schermo in Mommy. L’attrice che interpreta la mamma è la stessa: Anne Dorval. Ma qui il figlio, manco a dirlo, è Dolan, tra semi-autobiografia e finzione. Il cinema, quello vero, oltre le imperfezioni e il low-budget. È nato un autore.
Les amours imaginaires (2010)
Un triangolo amoroso nel solco della Nouvelle Vague e di Bertolucci (almeno idealmente), ma messo in scena da un millennial che racconta l’amore nei vent’anni dell’incertezza, tra un marshmallow, una petite madeleine e una sigaretta. Francis (lo stesso Dolan) e Marie sono molto amici, almeno finché non si invaghiscono dello stesso ragazzo, che si diverte crudelmente a civettare con entrambi. Il nostro prova a fare incursione nei temi della commedia post-teen sentimentale, ma con la sua sensibilità mélo, il suo erotismo pop e la sua estetica da videoclip, vedi Bang Bang di Dalida insistente sfondo musicale dei ralenti. Sicuramente è il film più leggero di Dolan, che qualcuno ha bollato anche come pretenzioso, soprattutto per le citazioni letterarie. Ma lo spunto resta potente: un ménage à trois disastroso e illusorio, che diventa riflessione sulla percezione dell’amore da parte degli innamorati.
Laurence Anyways e il desiderio di una donna… (2012)
Il film di transizione di Dolan è un’opera che racconta una transizione: quella di Laurence, brillante professore di letteratura e scrittore trentenne che si è sempre sentito una donna e ha deciso di cambiare sesso. La sua compagna Fred, dopo lo shock iniziale, cerca di rimanergli accanto, ma il resto del mondo non ha nessuna intenzione di rendere la vita facile alla coppia. “La società ha un problema con le persone che cercano di vivere la loro vita in modo autentico e vero, mettendo gli altri davanti alla loro falsità”, ha spiegato Dolan. “I miei protagonisti sono pieni di speranza e hanno uno scopo, sono anime che lottano: non sempre vincono, ma non sono mai dei perdenti”. Dolan costruisce tutta la storia partire da una domanda: un sentimento può essere così alto da andare oltre le differenze di genere? È l’amore il filtro attraverso il quale il regista racconta con delicatezza e partecipazione, ma anche ironia, la scelta di Laurance. Altro che The Danish Girl.
Tom à la ferme (2013)
Dolan sostiene di aver trovato la sua strada con Tom à la ferme: “È lì che ho iniziato a capire davvero me stesso”. Nello stesso tempo però, anche lui fatica a definirlo: “È un dramma? Un thriller psicologico? Era qualcosa che non avevo mai fatto prima… c’è suspence, tensione”. Il regista stesso interpreta Tom, che raggiunge la fattoria della famiglia del compagno Guillaume per il suo funerale. Ma nessuno sa che Guillaume era gay, tranne il fratello Francis, attratto e insieme turbato da Tom e deciso a instaurare con lui un perverso gioco al massacro per evitare la verità. Storia di bullismo omofobo e di violenza quotidiana che diventa melodramma, thriller quasi hitchcockiano e persino horror alla Kubrick. Tra le prime sperimentazioni con i formati, che vedremo compiute in Mommy, e un inizio meraviglioso.