La performance di Jennifer Lopez e Shakira al Super Bowl del 2020 è diventata uno degli show più indimenticabili della storia recente (nonché il sesto nella classifica di Rolling Stone sui migliori halftime show di sempre). Due anni dopo, J.Lo riflette su quella serata iconica nel suo nuovo documentario, Halftime, dal 14 giugno su Netflix.
Il film ci accompagna dentro il processo creativo di Lopez, non solo rispetto alla sua performance al Super Bowl, ma anche per quel che riguarda Le ragazze di Wall Street, uno degli ultimi titoli da lei prodotti e interpretati: «Hollywood è guidata da uomini. Hanno le loro idee su quel che può “vendere” e quello che non funziona. Noi stiamo cercando di cambiare le cose», dice Lopez.
Più di tutto, il documentario fa scoprire il lato umano di una donna – spesso oscurata dai resoconti da tabloid sulla sua vita privata – che continua a giocare un ruolo cruciale su scala globale grazie alla sua durissima etica del lavoro e alla sua capacità di rivolgersi a qualsiasi tipo di platea. Halftime è lo sguardo ravvicinato su una star latina che ha raggiunto lo status di icona.
«Non credo che avrei potuto fare il Super Bowl cinque o dieci anni fa… non ero pronta. Non capivo del tutto chi fossi. Stavo ancora cercando di scoprirlo», dice nel documentario. Per aggiungere poco dopo: «Ci sono ancora tantissime cose che voglio fare. Tantissime cose che voglio dire. Non finisce qui, nemmeno per sogno».
Ecco sette passaggi-chiave del film. Sette cose che abbiamo imparato su J.Lo, dalle sue origini al gossip, dalle posizioni politiche alla sconfitta ai Golden Globe.
Chiamare due superstar per il Super Bowl «è stata l’idea peggiore del mondo»
«Più sappiamo quello che ha in mente l’altra, più questa collaborazione sarà facile», dice Lopez prima di “incontrare” Shakira su FaceTime per parlare dello show. «Mi hanno confermato che avremo un minuto o due in più rispetto al tempo concesso di solito, quindi dovremmo arrivare a 13-14 minuti in totale», dice poco dopo alla collega. «Ma se vogliono due star, di minuti dovrebbero darcene 20. Questo dovrebbero fare, cazzo!».
La frustrazione di Lopez per il fatto di dover condividere con un’altra cantante l’halftime show prosegue per l’intero documentario. «È stato offensivo suggerire che ci volessero due star latine per fare quello che storicamente aveva sempre fatto una sola persona», sostiene il manager di Lopez, Benny Medina.
L’ira di J.Lo non è contro Shakira, ma contro il fatto che la sua esibizione sia stata notevolmente ridotta: «30 secondi per ogni canzone… se fosse stato un minuto per ciascuna, sarebbe andata bene. Certe canzoni vanno cantate per più di qualche secondo, non siamo in una cazzo di discoteca!», urla Lopez in un’accesa discussione con la music director Kim Burse. «Chiedere a due persone di fare lo show del Super Bowl è l’idea peggiore del mondo».
«È una questione di diritti umani»: J.Lo e la politica
La performance di Lopez è arrivata in un momento molto caldo: Donald Trump stava per iniziare il suo ultimo anno da presidente, e insieme lanciare la campagna elettorale del 2020. Il dibattito era accesissimo dopo che molte famiglie di profughi erano state divise al confine tra USA e Messico. E nella NFL era appena scoppiato il caso Colin Kaepernick. «Non potevo credere a quello che avevo davanti agli occhi», dice Lopez a proposito delle immagini di bambini latini messi dietro le sbarre. «Non puoi portare via un figlio ai suoi genitori. Ci sono cose che, da essere umano, non puoi fare… ho capito che era mia responsabilità non stare zitta, che non potevo lasciare la politica sempre agli altri».
Lopez confessa di non essere mai stata troppo «interessata alla politica», ma in quel momento ha sentito il bisogno di far sentire la sua voce. «Le nuove generazioni non devono essere represse come lo è stata la mia… è un argomento molto delicato, ma se riusciamo a veicolare questo messaggio nel modo giusto, molte più persone lo potranno recepire».
Lopez è riuscita a portare simbolicamente sul campo della NFL delle gabbie dentro cui i ballerini danzavano sulle note di Let’s Get Loud e della springsteeniana Born in the USA. In quel momento c’è stato anche l’assolo di sua figlia Emme. «Volevo che Emme si sedesse in quella gabbia. Le ho detto: “Guarda dritto in camera e di’ a tutte le ragazzine del mondo di gridare, di non cedere mai all’ingiustizia”», rivela la diva tra le lacrime. «È stata una scelta molto importante per me. Dopo quel momento, ho voluto rientrare in scena avvolta da una bandiera americana, perché sono fiera di esserlo… e poi l’ho girata e ho mostrato una bandiera portoricana».
Durante le prove finali, uno dei pezzi grossi della NFL ha chiamato J.Lo. «La NFL era seriamente preoccupata per questa presa di posizione a favore dell’immigrazione durante lo show», ricorda Medina. «Non volevano quelle gabbie sul palco per nessun motivo». Ma Lopez è stata irremovibile: «Per me non è mai stata una questione politica. È una questione di diritti umani. Questo è un punto di svolta della mia vita. Sto per esibirmi sul palcoscenico più grande del mondo… togliere quelle gabbie vorrebbe dire sacrificare quello in cui credo. Sarebbe come non essere mai salita su quel palco».
Le origini ‘from the Block’
Il documentario ci riporta anche all’infanzia nel Bronx della protagonista: le cose non sono mai state solo rosa e fiori, per “Jenny from the Block”. «È stata molto severa con noi», dice Lopez a proposito della madre Lupe durante una festa di Ringraziamento. «Tutto quello che ho fatto, l’ho fatto nel loro interesse», afferma Lupe.
Lopez rivela anche di essere sempre passata, tra i membri della famiglia, per quella che non sapeva cantare; ma Rita Moreno in West Side Story («Da sempre un mio punto di riferimento») l’ha ispirata e l’ha convinta a puntare su tutto: ballare, recitare e cantare, tutto insieme. «Quand’ero bambina, mi è sempre stato detto che non sarei mai diventata una cantante. Mia sorella era la cantante, l’altra più grande era quella intelligente. Io ero l’atleta, la ballerina… quando mi chiedevano “Sai cantare?”, rispondevo “No”».
Jennifer e l’Oscar mancato: «Ho deluso tutti»
Uno dei momenti più “umani” di Halftime è quando vediamo Lopez reagire alle voci secondo cui avrebbe vinto un Golden Globe e sarebbe stata nominata all’Oscar per la sua performance nelle Ragazze di Wall Street… per poi restare senza statuetta né candidatura.
Lopez voleva riscattare con Le ragazze di Wall Street la mancata vittoria di un Globe per Selena, il film che l’aveva consacrata nel 1997. Ma la seconda volta è stata sconfitta da Laura Dern, trionfatrice con Storia di un matrimonio (per il quale avrebbe successivamente vinto anche l’Oscar, ndt). «Pensavo davvero di avere una possibilità», confessa Jennifer. «Ho pensato di aver deluso tutti. Il mio team credeva così tanto in me, sarebbe stato il riconoscimento di tutto il loro lavoro. La maggior parte di loro è con me da vent’anni, proprio dai tempi di Selena».
Dopo i Gloden Globe e alla vigilia del Super Bowl, le voci di una possibile candidatura all’Oscar si facevano sempre più insistenti. La notte precedente alla scoperta della nomination mancata, J.Lo ha fatto un sogno in cui veniva candidata agli Academy Award. Ma poi si è svegliata e il messaggio di un amico le ha rivelato che non ce l’aveva fatta. «Avevo davvero iniziato a pensare che sarei stata nominata. Ci credevo perché tantissime persone mi dicevano che sarebbe successo… e poi invece non è successo. Mi sono chiesta: cosa significa tutto questo? E mi sono detta: non ho mai lavorato per essere premiata. Non voglio essere la migliore performer del mondo. Faccio questo mestiere per raccontare delle storie, per connettermi con le persone e le loro emozioni, e per cambiare le cose. Voglio contribuire, nel mio piccolo, a rendere il mondo un posto migliore».
«Ero una troia col culone»
Lopez riflette su cosa ha significato per lei diventare un’attrice in tempi in cui «l’ideale di bellezza era essere bionda, alta e con moltissime curve». E cosa ha voluto dire essere il bersaglio di molte battute a proposito del suo fisico: «Dicevano che ero una troia col culone. Sono cresciuta in mezzo a donne dai fisici morbidi, non mi sono mai vergognata delle mie curve. Quelle battute mi hanno molto ferita».
Il documentario mostra anche delle immagini inedite sulla nascita del jungle dress di Versace diventato uno dei suoi look più iconici, e sulla scelta di indossarlo di nuovo in passerella nel 2019 dopo un incontro con Donatella Versace. «Il tuo corpo è più bello ora», dice la designer, «è incredibile». Nel film si vede anche la direttrice di Vogue America Anna Wintour. «Durante le sfilate, Anna è famosa per restare sempre composta e in silenzio, con i suoi occhiali da sole che non lasciano trasparire nulla», dice Lopez. «Quando sono uscita io in passerella, mi ha invece battuto le mani».
La guerra dei tabloid: J.Lo e il gossip
I tabloid dei primi anni 2000 sono stati una vera e propria fogna, per celebs come Lopez. Che accusa oggi di essere sempre stata raccontata per le sue storie d’amore e non per i risultati che raggiungeva di volta in volta: «Non importava quello che avevo ottenuto, la mia vita sentimentale oscurava sempre tutto il resto. La mia autostima ha toccato livelli davvero bassissimi. Ho iniziato a credere a quello che scrivevano quei giornali: che, in fondo, non ero così brava, o quantomeno che non fosse quella la cosa importante».
Per J.Lo, il suo rapporto con la stampa è sempre stato «una relazione tossica e disfunzionale». Il doc mostra anche una scena piuttosto razzista di South Park che la descrive come un’artista senza talento, e che la riduce a una caricatura di cui si evidenziano solo le curve e il suo essere latina. La maggior parte del gossip che l’ha riguardata all’inizio dei 2000 coinvolgeva naturalmente anche Ben Affleck. «Una volta le ho detto: “Non ti dà fastidio tutto questo?”», osserva Affleck durante la sua breve partecipazione al documentario. «Lei mi ha risposto: “Sono una donna. Sono latina. Mi aspetto che tutto questo accada. Sei tu che non te lo aspetti. Tu sai che sarai sempre trattato nel modo corretto”».
Negli ultimi anni la diva ha cambiato il suo approccio nei confronti dei commenti negativi: «Non voglio più che condizionino il mio percorso. Ho imparato che non bisogna guardare agli altri, ma solo a sé stessi. Non devi lasciare che siano qualcun altro a dirti chi sei, devi essere tu a costruirti il tuo mondo».
La svolta di American Idol: «Le persone hanno visto chi sono realmente»
Superati i quarant’anni, Lopez ha avuto difficoltà a ridefinirsi come artista. «Avevo perso un po’ di quello che ero stata nel tentativo di costruire una famiglia perfetta», dice Lopez mentre riflette sul matrimonio e il successivo divorzio da Marc Anthony. «Ero una madre single con due bambini piccoli. A 42 anni, i ruoli che il cinema ti propone iniziano a scarseggiare. Dovevo tornare a lavorare, ma non capivo più quale fosse il mio valore».
Ma poi è arrivato American Idol, ed è stato «la cosa giusta per me». Secondo Lopez, «le persone hanno potuto vedermi per quello che ero realmente, il che ha cambiato tutto. Ho imparato moltissimo su me stessa. Avevo finalmente uno scopo, ho pensato che avrei dovuto recitare di più, cantare di più, impegnarmi di più. Dovevo essere migliore di quello che ero stata, in ogni campo».