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Hans Zimmer e l’utopia sonora di ‘Dune – Parte due’

«Ho continuato a scrivere anche dopo aver finito il primo film, forse Villeneuve pensava che fossi matto. Ma, conoscendo la storia, sapevo già cosa sarebbe successo», spiega il compositore, per il quale la costruzione messianica è l’elemento fondante del secondo capitolo

Foto: Warner Bros. Pictures

Nel sistema solare che suddivide i pianeti in corpi celesti non esiste suono. Il suono è trasportato da atomi e molecole. Nello spazio, senza atomi o molecole che trasportino un’onda sonora, non c’è suono. Non c’è niente che possa farcelo arrivare, nessun elemento che lo porti a viaggiare nel tempo e nello spazio. Ma, sommando l’insieme delle galassie, se ne può percepire un ritmo primitivo che arriva dalla pancia dell’universo. È proprio su questo aspetto che si fonda l’utopia sonora di Dune.

Fin dalla creazione della prima parte, Denis Villeneuve e il “master of sound” Hans Zimmer volevano coinvolgere lo spettatore in un’esperienza sonora unica, che desse la sensazione di ascoltare nitidamente la spezia di Arrakis muoversi sotto i propri piedi, attraversando le infinite dune desertiche. Dune è pieno di quei suoni intelligenti e segreti, derivati interamente ​​dalla vita reale: dei 3.200 creati su misura per il film, solo quattro sono stati realizzati esclusivamente con apparecchiature apposite e sintetizzatori. Thomas Green, sound designer di Dune, sottolinea come in molti film di fantascienza e fantasy ci fosse la tendenza a indicare gli elementi sci-fi utilizzando suoni che non si erano mai sentiti prima: «Ma la visione di Denis era che questo film dovesse suonare familiare quanto certe aree del pianeta Terra. Non vi trasporteremo in un film di fantascienza, vivrete in un documentario sugli abitanti di Arrakis e sulle loro credenze. Con Denis si sperimenta una nuova forma di cinema».

Questo aspetto non ha mai spaventato Hans Zimmer quando, all’inizio del 2020, ha scelto di tradurre in musica ciò che più l’aveva segnato e formato in età adolescenziale, come l’opera di Frank Herbert. Nella sua composizione convivono perennemente molti elementi che ne fanno sicuramente il lavoro più ambizioso del compositore due volte premio Oscar. Dal lavoro sulle voci che raffigura il senso biblico della storia e del destino a cui non potrà sfuggire Paul Atreides (Timothée Chalamet) fino alla sua figura di eroe/antieroe, ogni sezione della musica composta costruisce ciascuno strato del sistema solare in cui si delineerà una guerra santa in suo nome.

Era sicuramente dal primo episodio dell’epopea di Star Wars che non si assisteva alla creazione di un mondo sonoro a sé stante, capace di racchiudere tutti gli stilemi di un kolossal destinato ad entrare nella storia del cinema contemporaneo. Sin dalla prima sequenza della seconda parte, infatti, si ha la sensazione di non aver mai lasciato Arrakis, ci si fonde da subito con la cultura Fremen e con ciò che ne deriverà per lo stesso futuro messia, il Kwisatz Haderach. La costruzione messianica per Hans Zimmer è l’elemento fondante su cui erigere la musica del secondo movimento: lo vediamo prendere forma, comprendere il potere insito nelle sue mani, lo scorrere della storia e il futuro dettato dalle sacre scritture: «Non ho mai abbandonato il mondo di Dune», spiega Zimmer. «In effetti credo che Denis pensasse che fossi matto, perché ho continuato a scrivere anche dopo aver finito il primo film. Ma, conoscendo la storia, sapevo già cosa sarebbe successo. E infatti molti dei temi principali di questo secondo film sono stati scritti alla fine del primo, ancor prima che Denis iniziasse le riprese. Mi è sembrato importante continuare a scrivere quando eravamo ancora in quel mood, nello stesso stato d’animo».

L’elemento primitivo e tribale della musica che Zimmer ha studiato per i Fremen si scontra fisicamente con le altre casate. Se i movimenti coreografici per sfuggire a Shai Ulud, il verme delle sabbie, ideati dal direttore del balletto dell’Opéra di Parigi Benjamin Millepied, sono sinuosi ed eleganti nella loro forma più alta, sul pianeta Giedi Primo esce il lato sonoro primordiale metal industrial, confermando come la violenza e la sete di potere regnino sovrane in quel luogo oscuro, così come nella conformazione dell’esercito imperiale Sardaukar, dove il canto che prepara i soldati alla guerra si manifesta come una sinfonia ronzante di vocalizzazioni grezze e gutturali, prive di anima, nella ricerca spietata della vittoria sul campo di battaglia. «Volevo creare un paesaggio sonoro diverso per ogni mondo: quello Harkonnen è brutale, industriale. È come se fossimo in una fonderia. Per quello dei Fremen, invece, ho fatto cantare le loro canzoni dal vento attraverso il deserto, con la bellezza e la semplicità della natura. Ci sono molti suoni del legno e molta sabbia nella partitura. Inoltre ci sono le voci delle Bene Gesserit, le voci femminili, e tutto questo permette di insinuarsi in differenti trame. C’è l’imperatore, per il quale ho cercato di far capire che sotto il suo contegno sofisticato nasconde un serpente che ti ucciderà quando gli volti le spalle».

Zimmer continua: «Uno dei pensieri centrali che avevo durante la composizione della musica originale era che l’unica cosa che sopravviverà attraverso i secoli e attraverso le galassie sarà probabilmente la voce umana. E il resto, inventiamolo. Quindi abbiamo creato ritmi strani, che sono impossibili da suonare per gli esseri umani. Abbiamo inventato strumenti, ne abbiamo costruiti di nuovi per andare a creare questo nuovo mondo sonoro».

Ogni pianeta ha un suo linguaggio universale che si riflette nel destino di ogni membro della casata di appartenenza. I canti sospingono il fato che non può attendere. Le Bene Gesserit tessono la tela del campione che dovrà guidare la galassia. Sarà Paul Maud’Dib Usul? Feyd-Rautha (Austin Butler), nipote del barone Vladimir Harkonnen (Stellan Skarsgård)? Oppure la principessa Irulan (Florence Pugh)? Le sacre scritture hanno già individuato il loro prescelto.

La funzione della voce per Zimmer non si mostra soltanto come l’unico elemento che potrà sopravvivere alla fine dell’universo, ma è il principio sacro del destino che si sta compiendo. Uno dei pilastri su cui si fonda l’epica di Dune è il rapporto tra religione e potere e come conseguentemente questi due aspetti si alimentino a vicenda. Paul Atreides vorrebbe scongiurare una guerra santa, ma le profezie delle Bene Gesserit e di sua madre, Lady Jessica (Rebecca Ferguson), la nuova Reverenda Madre, spingeranno i Fremen, che lo riconoscono come loro unico dio, a combattere in suo nome. Ed è in questo caso che la musica diventa biblica.

Musica e religione sono fortemente legate in vari modi. Antropologi e psicologi si chiedono da tempo perché la musica svolga un ruolo così importante in tutte le tradizioni religiose. La teoria psicoanalitica di Oberhoff sostiene che il forte legame tra musica e religione emerga dall’esperienza primordiale del bambino nel grembo materno: “L’esperienza di una madre suprema onnipotente da parte del nascituro porta più tardi alla credenza in un potere supremo onnipotente; il tono della voce della madre modella il gusto musicale del bambino già prima della nascita. Pertanto, la radice comune della religiosità e della musica risiede nell’ascolto prenatale della voce della madre”. Le persone possono affrontare la paura esistenziale identificandosi con questi due simboli culturali, musica e religione, poiché rappresentano gli unici elementi in cui credere oltre i limiti della propria esistenza. Nella voce risiede il potere così come l’amore nella visione di Chani (Zandaya), che, scettica nei confronti del messia che salverà i Fremen dal loro destino, guida Paul alla comprensione della propria cultura: «Per questo film non volevo un “tema d’amore” tra Chani e Paul. La loro love story è atipica, ma sta pur sempre al centro. Volevo che fosse lei a mostrargli come amare questo pianeta arido e, attraverso ciò, mostrare la propria forza», spiega il compositore.

Dall’aspetto più spirituale sino alla spettacolarizzazione delle scene di guerra, in cui gioca letteralmente in casa, Zimmer arriva alla concezione di un nuovo modo di intendere la musica per il cinema, sicuramente molto più introspettiva e caratterizzante che fastidiosamente pomposa, nel tentativo di rimarcare sonorità standardizzate ma ampiamente superate. «Questo non è un sequel: è una continuazione. Quindi, al momento di scrivere il primo, ero molto consapevole che avrei dovuto continuare a sviluppare ulteriormente i temi musicali, che non dovevo semplicemente scartarli per scriverne di nuovi. Doveva esserci una progressione, ponti e collegamenti attraverso… non so nemmeno quanti anni. Con Ryan Rubin, uno dei nostri supervisori al montaggio musicale, esaminavamo l’intera partitura e cercavamo di capire dove eravamo convenzionali o troppo cauti, dove potevamo apportare dei miglioramenti o inventare suoni migliori. Un compositore “normale” scrive su carta, o qualsiasi altra cosa, e dà la partitura all’orchestra. I musicisti si siedono, suonano i loro strumenti e poi tornano a casa. Noi no, non lavoriamo così. Diciamo: “Okay, qual è il sound che ci serve? Inventiamolo, e costruiamo lo strumento in grado di crearlo”».

La macchina sonora di Denis Villeneuve, composta anche dai sound designer premi Oscar Mark Mangini e Theo Green, codifica lo spazio acustico di un intero universo. Dalle voci delle Bene Gesserit (una, come già rivelato, è quella di Marianne Faithfull) alla formazione delle varie caratteristiche sonore e naturalistiche dei singoli pianeti, la colonna sonora produce nello spettatore un’esperienza uditiva realistica in cui la composizione musicale percussiva e il sound design pervasivo si adattano perfettamente alla saga di una civiltà futuristica e intergalattica, arrivando alla conformazione di una musica ultraterrena.

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