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C’è un attore che ha contribuito a costruire la cultura pop del cinema di fine ’900 più di Harrison Ford? Dallo Star Wars primigenio a Indiana Jones passando per Blade Runner, il divo consacrato dalla premiata ditta Lucas & Spielberg è stato l’action hero ribelle di fine ’900. Ma anche l’ordinary man in cui tanti americani (e non solo) hanno saputo riconoscersi. Una carrellata dei suoi otto ruoli cult. Ah: happy birthday!
Dopo una piccola partecipazione ad American Graffiti, è sempre Lucas a dargli “il” ruolo che è subito definitivo: quello di Han Solo, il ribelle della galassia (lontana lontana) tra lotta e amore (per la principessa Leia: serve dirlo?). Sarà nei successivi due capitoli della saga, e poi nella grande rentrée costituita dal Risveglio della Forza (2015). Che molti hanno contestato: noi no.
Altro giro, altra saga iconica. Quella archeo-avventurosa by Spielberg che lo porta tra serpenti, indimenticabili duelli, e pure i soliti sviluppi in rosa. Cappello e frusta d’ordinanza, Harrison diventa subito il prototipo dell’eroe dell’avventura. Si attende il capitolo 5 dopo il (criticato) Indiana Jones e il regno del teschio di cristallo del 2008.
E dire che Ford non fu felicissimo di questo film. Che, invece, tra la regia di Scott, le musiche di Vangelis e l’epopea del detective Rick Deckard a caccia/innamorato dei replicanti, ha riplasmato la fantascienza moderna. Grazie anche al suo protagonista, eroe solitario che ricalca i grandi volti del noir classico, diventando però anche lui una cosa inedita e modernissima. La ripresa del ruolo cinque anni fa in Blade Runner 2049 di Denis Villeneuve: doppio cult.
Dopo tanti ruoli bigger than life, arriva per il nostro il primo vero ruolo drammatico da protagonista. E anche la prima (e unica) nomination agli Oscar come miglior attore. Nelle mani sapienti di Weir, Harrison riesce quasi a “scomparire”, in questo ritratto umano (ma sempre tinto di thriller) della comunità Amish. Un grande colpaccio d’autore.
Altro grande autore che “ripensa” Ford in un’altra chiave è Mike Nichols, che lo (ri)lancia come eroe romantico. Capace di “fare un passo indietro” (cit. sanremese) per lasciare posto alle favolose Melanie Griffith e Sigourney Weaver. Altre rom com sarebbero venute (vedi il pasticciato remake di Sabrina), ma questa resta un caposaldo.
Un altro grande auteur si affaccia nella filmografia del nostro. Con uno dei thriller più belli nella carriera di entrambi. Quasi un saggio sul cinema di Hitchcock, insieme omaggiato e riaggiornato. E Harrison è il perfetto “ordinary man” in fuga, tra intrighi e femme fatale (Emmanuelle Seigner). (Foto: Warner Bros.)
Tra i (neo)classici del cinema d’azione, un campione d’incassi dal ritmo inarrestabile. Non l’opera di un maestro, ma un titolo perfetto nel suo genere, con una coppia d’attori (Ford più Tommy Lee Jones) semplicemente portentosa. Corri, Harrison, corri! Ah, no: quella era un’altra storia.
In annate di action drama di grande fortuna (Sotto il segno del pericolo, L’ombra del diavolo, Le verità nascoste) è forse questo thriller politico a restare più impresso nella memoria. Quante volte l’avete rivisto su Italia 1? Ecco, tanto basta a definirne lo status di cult. E Harrison Ford è il Presidente che tutta l’America (e non solo) avrebbe voluto per davvero.
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