Mi chiamo Francesco Totti di Alex Infascelli
Il doc italiano più atteso dell’anno? Quello sul Pupone, che domande. Che – come già aveva fatto nell’autobiografia Un Capitano, scritta insieme al giornalista sportivo Paolo Condò – si mette a nudo, stavolta però di fronte alla macchina da presa di Alex Infascelli. C’è la dimensione pubblica e anche la sfera privata, naturalmente. Dall’infanzia a Trastevere all’esordio nella Lodigiani Roma, e poi la Serie A, lo scudetto del 2001, i Mondiali del 2006, l’affetto dei tifosi e l’amore di Ilary. Sempre e solo come “numero 10”, senza mai abbandonare il team giallorosso. Atteso tanto quanto il film è, sabato 18 ottobre, l’“incontro ravvicinato” con l’ultimo re di Roma, moderato dal romanista doc Pierfrancesco Favino. Il documentario sarà invece nelle sale come evento solo il 19, 20 e 21 ottobre.
Soul di Pete Docter e Kemp Powers
La Festa del cinema è aperta da un film che non andrà al cinema. È l’ennesima notizia-choc per gli esercenti di tutto il mondo, che aspettavano il nuovo film “made in Pixar” come benzina per i loro botteghini, tragicamente in crisi in questo autunno ancora vittima della pandemia. E invece, dopo No Time to Die, anche Soul rinuncia all’uscita in sala. Ma, a differenza di James Bond, non è rimandato al prossimo anno: uscirà direttamente su Disney+ a novembre, com’era già successo con la versione live action di Mulan. Polemiche a parte, l’idea ricorda quella alla base di certi capolavori esistenzialisti per grandi e piccoli come Inside Out (sempre diretto da Pete Docter) e Coco: “soul” sta per anima, ma è anche da intendersi in senso strettamente musicale, visto che il protagonista è un insegnante di musica col sogno di suonare nel migliore jazz club di New York. Finché una caduta (letteralmente) non lo farà finire… di là. Ci sarà da piangere, sicuro.
Stardust di Gabriel Range
Chi era David Bowie prima di diventare David Bowie? La risposta a questo biopic che racconta il “making of” del Duca Bianco, catturato nell’anno cruciale – il 1971 – in cui la futura rockstar si è messa in viaggio per l’America e lì ha trovato l’ispirazione per il suo album Ziggy Stardust (e, dunque, per il suo immortale alter ego). Alla regia c’è l’inglese Gabriel Range, noto soprattutto come documentarista per aver diretto, ormai quattordici anni fa, il film-caso Death of a President, dedicato a George W. Bush. A dare il volto a Bowie c’è invece Johnny Flynn, visto di recente nell’ultimo (splendido) adattamento di Emma di Jane Austen. Attesa alle stelle. Anzi: waiting in the sky.
Un altro giro di Thomas Vinterberg
Nel 1946, Giorni perduti di Billy Wilder è valso un Oscar al protagonista Ray Milland (e anche una statuetta al suo regista). Il prossimo anno, Un altro giro potrebbe vedere trionfare il danese Mads Mikkelsen, alle prese con la sua prova più intensa e acclamata. Come Milland nel capolavoro di Wilder, anche lui è un uomo che lotta contro l’alcolismo: tema che sui membri dell’Academy ha sempre forte presa. Gli accreditati al Toronto Film Festival, dove il film è già stato presentato, lo danno come nome sicuro nella cinquina dei migliori attori. La firma del regista Thomas Vinterberg potrebbe fare il resto: l’ex autore Dogma (Festen – Festa in famiglia, 1998) è già stato nominato agli Oscar sette anni fa con Il sospetto.
Palm Springs – Vivi come se non ci fosse un domani di Max Barbakow
Ricomincio da capo, riveduto e corretto. E in versione ancora più romantica e (soprattutto) cazzona. L’esordiente Max Barbakow firma uno dei titoli più amati dalla stampa internazionale quest’anno, tanto da fare il giro di quasi tutti i festival. Finalmente arriva in Italia (nelle sale il 22 ottobre), a regalare i suoi garbugli ironico-sentimentali da eterno giorno della marmotta: Nyles (Andy Samberg, l’attore cult di Saturday Night Live e Brooklyn Nine-Nine ancora non apprezzato a dovere da noi) e Sarah (la Cristin Milioti di Black Mirror e Modern Love) si conoscono a una festa di nozze e… tornano sempre al punto di partenza. Sviluppi tragicomici e comparsata nel deserto californiano di J.K. Simmons, come sempre di gran classe.
Été 85 di François Ozon
Dopo un pastiche – per alcuni pasticcio e basta – erotico (Doppio amore, 2017) e un drammone a tema “chiesa e pedofilia” (Grazie a Dio, 2019), François Ozon torna ad atmosfere più nostalgico-scanzonate. L’estate dell’85 (in Normandia, per la precisione) è il set su cui si muove l’educazione sentimentale di Alexis, 16 anni, e David, di poco più grande di lui. La loro relazione, apparentemente idilliaca, viene messa in crisi dell’arrivo di Kate, una ragazza alla pari inglese. È uno dei titoli di Roma 2020 con l’“etichetta” del Festival di Cannes mancato causa Covid. E c’è anche la nostra Valeria Bruni Tedeschi, che è sempre un buon motivo per scommettere su un film.
Ammonite di Francis Lee
Avevamo lasciato il british Francis Lee con un altro dramma a tinte LGBTQ (purtroppo rimasto pressoché invisibile): La terra di Dio – God’s Own Country, storia di due ragazzi – uno di loro era Josh O’Connor, poi principe Carlo in The Crown – su sfondo di brughiera. Riecco la natura selvaggia d’Inghilterra e un altro amore gay (però al femminile) in Ammonite, che schiera due delle attrici più brave delle rispettive generazioni: Kate Winslet e Saoirse Ronan. Sono la paleontologa Mary Anning e la geologa Charlotte Murchison, travolte da una cocente passione tra le gelide scogliere del Dorset. Anche per loro già si parla di doppia candidatura agli Oscar 2021: il pedigree di certo non manca.