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I magnifici 7 che hanno innovato la Mostra di Venezia

Dai direttori che hanno cambiato il festival più antico del mondo agli autori ‘esotici’ che hanno rivoluzionato il cinema, fino all’onda latina che ha definito il panorama di oggi: i ‘game changer’ che hanno fatto la storia del Lido
Photo by Vittorio Zunino Celotto/Getty Images.

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In principio fu il conte Volpi

Oggi la cancel culture lo metterebbe al bando per le sue simpatie (è un eufemismo) fasciste. Non piacciono neanche a noi, ma non siamo qua a riscrivere la storia. Si può invece raccontare ancora oggi l’acume – quantomeno cinematografico – di Giuseppe Volpi conte di Misurata, il vero promotore della prima Mostra del cinema di Venezia nel 1932, correva il Ventennio. Ministro di Mussolini, governatore della Tripolitania (non è un Paese di Topolino), presidente di Confindustria e quindi della Biennale, ha un’intuizione: una “Expo” del cinema nella città più bella del mondo. Quello di Venezia è il primo festival internazionale di quella statura, e da allora tutti lo imitano. Il potere del conte di Misurata era smisurato (pardon), tanto da venire ribattezzato “l’ultimo doge”, come il titolo del documentario a lui dedicato. Oggi il suo nome resta sulla Coppa Volpi, il premio assegnato ogni anno al miglior attore e alla migliore attrice: i primi a vincerla sono stati gli americani Wallace Beery per Viva Villa! e Katharine Hepburn per Piccole donne.

Gli autori più veri del vero

La guerra è appena finita, e un’altra sta per iniziare sul grande schermo. Quella al linguaggio tradizionale, che verrà spazzato via (e ricodificato) per sempre. Il merito va al cosiddetto Neorealismo, ondata estetica (ed etica) che nasce in Italia e che proprio alla Mostra di Venezia si impone a livello globale. L’autore che cambia le regole del gioco è Roberto Rossellini nel 1946 con Paisà, proiettato durante la prima edizione del festival dopo tre anni di stop causa conflitto. Ma il primo premio (che allora non era ancora il Leone d’oro, bensì la Coppa Mussolini) andò all’Uomo del Sud di Jean Renoir. È uno dei grandi scandali della Mostra. Dei tanti capolavori neorealisti presentati al Lido – tra gli altri anche Caccia tragica di Giuseppe De Santis (1947), Senza pietà di Alberto Lattuada (1948) e La terra trema di Luchino Visconti (1948) – nessuno è tornato a casa con il massimo trofeo.

Lizzani, direttore “stellare”

Dopo tanti direttori insieme rivoluzionari e contestati (da Gian Luigi Rondi a Giacomo Gambetti), spetta al regista Carlo Lizzani il compito di rilanciare l’immagine della Mostra un po’ appannata negli anni ’70. Dal 1979, anno in cui entra in carica, innova non solo il pool di esperti chiamati a selezionare i film (tra cui il superscrittore Alberto Moravia), ma anche lo sguardo verso un cinema sempre più larger than life. E, soprattutto, than Italy. Il dibattito Gli anni ’80 al cinema, che segue il successo nelle sale del primo Guerre stellari, dà il via a una serie di riflessioni sulle nuove tecnologie applicate alla Settima Arte. Tanto che, proprio nel 1980, il secondo episodio di Star Wars, L’Impero colpisce ancora, verrà invitato nel cartellone ufficiale. Seguiranno tanti altri blockbuster pop: dai Predatori dell’arca perduta (1981) a E.T. l’extra-terrestre (1982), entrambi del “giovane” Steven Spielberg. La vocazione di Venezia è ormai cambiata.

Il Leone è donna

Ci sono voluti quasi cinquant’anni, ma il primo Leone d’oro a una regista donna finalmente arriva. È il 1981, e a segnare il primato è la tedesca (della Germania Ovest, of course) Margarethe von Trotta con il politico-generazionale Anni di piombo, storia di due sorelle divise dalla lotta armata. Il muro – quello del gender, non quello di Berlino – è abbattuto, ma negli anni successivi quel ruggito al femminile si sentirà pochissime altre volte. Tre, per la precisione: Agnès Varda (premiata nel 1985 per Senza tetto né legge), Mira Nair (Monsoon Wedding – Matrimonio indiano, 2001) e Sofia Coppola (Somewhere, 2010). Quest’anno i film diretti da registe donne sono 8 sui 18 del concorso ufficiale: tra questi anche gli italiani Miss Marx di Susanna Nicchiarelli e Le sorelle Macaluso di Emma Dante. Vedremo una quinta Leonessa?

Dall’Oriente con furore

Passano gli anni, passano i direttori. Ma tutti – da Gillo Pontecorvo ad Alberto Barbera (prima reggenza), fino al sinologo per eccellenza Marco Müller – condividono un altro dei tratti più distintivi (e “moderni”) della Mostra: l’attenzione verso il cinema che viene dall’Oriente. È al Lido che si impongono su scala mondiale autori come il cinese Zhang Yimou e il giapponese Takeshi Kitano, che vincono rispettivamente con La storia di Qiu Ju (1992) e Hana-bi – Fiori di fuoco (1997). Negli anni ’90 (e non solo) i Leoni ai film che vengono dall’Asia rappresentano la maggioranza: da Vive l’amour del taiwanese Tsai Ming-liang (1994) a Cyclo del vietnamita Tran Anh Hung (1995); fino a Non uno di meno, con cui nel 1999 Zhang Yimou strappa il suo secondo Leone. L’ultimo trofeo viene assegnato nel 2016 al fluviale The Woman Who Left – La donna che se ne è andata (3 ore e 46 minuti) del filippino Lav Diaz, quest’anno presente nella sezione Orizzonti con il “brevissimo” Genus Pan: 2 ore e mezza appena.

Barbera e champagne

Già direttore dal 1999 al 2001, Alberto Barbera torna alla guida nella Mostra nel 2012. E, anno dopo anno, fa tornare la Mostra ai fasti glamour di un tempo, anzi: di più. Basti come esempio il red carpet passato alla storia di Lady Gaga e Bradley Cooper per A Star Is Born (2018). Ma anche l’apertura ai grandi titoli americani che poi diventeranno i protagonisti della Awards Season: da Birdman di Alejandro González Iñárritu (2014) a La La Land di Damien Chazelle (2016), fino a Joker di Todd Philipps, che l’anno scorso cambia tutto, come primo “cinecomic da Leoni” (d’oro) della storia. Tra le altre mosse vincenti (e übercontemporanee) di Barbera, l’introduzione della sezione Virtual Reality e l’apertura alle nuove piattaforme come Netflix, che nel 2018 acciuffa la sua prima meritatissima (e importantissima) vittoria con Roma di Alfonso Cuarón. Cheers!

E alla fine arrivano i latinos

Alejandro González Iñárritu, Alfonso Cuarón, Guillermo del Toro. L’onda latina travolge anche Venezia: è proprio al Lido che viene consacrata come in nessun altro festival cinematografico al mondo. Gli ultimi due registi vinceranno anche il Leone d’oro (il primo nel 2018 con Roma, il secondo l’anno prima con La forma dell’acqua – The Shape of Water), il collega lascia il segno grazie a titoli come 21 grammi (2003) e Birdman (2014). Senza contare i più “piccoli”: vedi il caso Lorenzo Vigas, il venezuelano che cinque anni fa vinse a sorpresa il Leone con la sua opera prima, Ti guardo. Fino al 2019, quando sempre il grande Guillermo, stavolta nelle vesti di presidente di giuria, fa un colpo da maestro: dare il massimo premio a Joker. Scrivendo una pagina di storia non solo veneziana che ancora oggi non si dimentica.

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