Da stamattina sui social gira la foto degli incassi nei cinema italiani ieri, primo giorno dall’attivazione del decreto blocca-tutto. Al primo posto c’è Volevo nascondermi di Giorgio Diritti, con 251 euro in totale. Stando alla media del costo di un biglietto in Italia (7,5 euro), significa 33 spettatori. Non però fisici: con tutta probabilità, è il frutto di ticket che erano già stati venduti online nei giorni precedenti. «I tuoi colleghi che postano, in questo momento, potrebbero semplicemente occuparsi d’altro», mi dice Mario Lorini, presidente dell’Anec, l’Associazione Nazionale Esercenti Cinema. «Questo non è un dato di cui tenere conto oggi. Il decreto del governo ha disposto da ieri la chiusura di tutte le sale cinematografiche in Italia fino al prossimo 3 aprile. Fine. È un provvedimento doloroso, ma necessario. E che, soprattutto, corregge le ambiguità del decreto precedente a proposito delle norme che permettevano di stare comunque aperti. Il cinema si ferma. Punto».
E poi?
E poi, quando sarà consentito, l’intero sistema si risolleverà. Perché la situazione attuale non riguarda solo le sale: ci colpisce tutti, dalla produzione alla distribuzione. Anche tanti set sono sospesi, in questo momento.
Detto brutalmente: è meglio così, allora.
Io dico di sì, e non solo per le sacrosante ragioni sanitarie. Il sistema cinema italiano stava regredendo di giorno in giorno. E ogni regione aveva comportamenti troppo diversi in merito a quel che andava fatto. Il decreto precedente, che lasciava una maggiore libertà agli esercenti, portava anche i singoli comuni ad adottare norme proprie. Anche laddove in teoria era consentito proseguire l’attività, alcuni per paura o per precauzione imponevano comunque chiusura. Era tutto troppo confuso. Perciò, io stesso mi sono messo in contatto diretto con i vertici del Ministero dei Beni Culturali: non c’era più modo di continuare.
Il blocco attuale interrompe un’annata molto positiva.
Nell’ultimo anno e mezzo, il sistema cinema italiano ha dimostrato una grande unità. Il lavoro che abbiamo svolto con il governo e l’Accademia dei David di Donatello ci ha portati a inventarci Moviement, ovvero il rilancio delle uscite cinematografiche nella stagione estiva. È stato il primo passo per risollevarci dalla crisi del 2018. Prima del 20 febbraio, quando l’emergenza coronavirus ha cambiato tutto, il botteghino italiano mostrava un incremento del 25% rispetto ai primi mesi del 2019. Ora siamo di fronte a una situazione mai vista. La supereremo.
Ti sento, tutto sommato, positivo.
Credo nel lavoro di squadra fatto finora, e soprattutto nel pubblico, che ci ha lasciato un messaggio di grande solidarietà prima di questo stop. Fino a sabato scorso, c’erano ancora 1.500 schermi attivi: gli esercenti non stavano di certo aperti per gli incassi, considerata pure la mancanza di titoli nuovi forti, ma per tenere una luce accesa finché, dal punto di vista della sicurezza sanitaria, era consentito. Gli spettatori hanno risposto: per un sentimento di solidarietà verso le sale, appunto.
Ti chiedo se un altro scenario di cui si parla da tempo sarebbe mai possibile: una “piattaforma degli esercenti” attraverso cui distribuire soprattutto quei titoli che fanno fatica a raggiungere i territori del Paese che non sono le grandi città.
È un argomento che non mi sento di commentare, soprattutto in questi giorni. Sarebbe come approfittare di un momento così difficile. I mezzi tecnologici per vedere i film a casa esistono già, ora fermerei qualsiasi altra discussione sulle sale e lo streaming. Mettiamo tutto da parte. È arrivato un virus a dirci che dobbiamo smetterla. Anche, purtroppo, di stare insieme.
Finiremo per vedere i film da soli per sempre?
Non credo. La facilità e la comodità della tecnologia ci hanno portati a sostenere la visione dei film dal divano di casa, senza nessuno intorno. Il paradosso è che, ora che a casa ci dobbiamo stare per forza, ci sentiamo reclusi. Riflettiamo su questo. Io immagino che, quando tutto questo sarà finito, saremo portati naturalmente a far rivivere le sale, che sono prima di tutto luoghi della socialità. Se c’è una cosa che il virus ci sta insegnando, è che cinema e teatro hanno ancora un ruolo fondamentale. Altro che morti.