Aldis Hodge: «A noi neri era vietato sognare. ‘Cross’ è il nostro riscatto» | Rolling Stone Italia
Il diritto di contare

Aldis Hodge: «A noi neri era vietato sognare. ‘Cross’ è il nostro riscatto»

Il detective black nato dalla penna di James Patterson e protagonista della nuova serie Prime Video «rappresenta il fatto che si può e si deve fare tutto quello che vogliamo, senza scusarsi o giustificarsi». La rabbia, gli inizi, le passioni e i sogni di un attore pronto a diventare una star

Aldis Hodge: «A noi neri era vietato sognare. ‘Cross’ è il nostro riscatto»

Aldis Hodge è ‘Cross’

Foto: Prime Video

Circa sei anni fa, un Alex Cross ha passato la torcia a un altro. Nel 2018, Aldis Hodge ha avuto il ruolo principale nel film Brian Banks – La partita della vita, storia di un giocatore di football realmente esistito, accusato ingiustamente di stupro al liceo, che ha cercato di sfondare nella NFL dopo essere uscito dal carcere. Il grande Morgan Freeman interpretava il mentore di Banks in prigione, un’esperienza che Hodge descrive come «fantastica». Ma c’è stato un momento che si è particolarmente distinto. «Il signor Freeman si è avvicinato al nostro regista, Tom Shadyac, e ha sussurrato qualcosa», ricorda Hodge. «E poi Tom si è avvicinato a me e ha detto: “Morgan mi ha detto: ‘Questo ragazzo qui ha talento’. E io ho pensato: “Wow”».

Freeman, come saprete, ha interpretato il ruolo di Alex Cross nel 1997 nel Collezionista e lo ha ripreso quattro anni dopo in Nella morsa del ragno. Entrambi non sapevano che Hodge avrebbe avuto la possibilità di vestire i panni dell’amato personaggio dei romanzi polizieschi di James Patterson. Hodge si cala nel ruolo per la nuova serie di Cross, uscita il 14 novembre su Prime Video.

Piuttosto che adattare direttamente le trame dei libri, questa prima stagione firmata Ben Watkins (già creatore di Burn Notice – Duro a morire) racconta un ciclo di nuove storie con protagonista il brillante poliziotto di Washington D.C. mentre dà la caccia a un serial killer, affronta i manifestanti neri che lo definiscono un traditore della sua stessa comunità e viene perseguitato dalla persona che un anno prima ha ucciso sua moglie Maria. Con una seconda stagione già annunciata, potrebbe essere il titolo che finalmente permetterà al pubblico di vedere la portata del talento di Hodge.

Hodge, 38 anni, recita da quando era bambino. Lui e suo fratello maggiore, Edwin, sono apparsi entrambi in Sesame Street all’inizio degli anni Novanta, ed entrambi hanno avuto piccoli ruoli in Die Hard – Duri a morire. Questa è la quarta serie tv in cui ha un ruolo da protagonista, dopo quelli dell’affascinante hacker di Leverage – Consulenze illegali, dello schiavo in fuga di Underground e dell’ambizioso procuratore in City on a Hill. Tra queste serie, parti in film come Il diritto di contare e Quella notte a Miami… e il suo notevole carisma, è sembrato perennemente sull’orlo di un grande successo. Nemmeno l’ingresso nei ranghi dei supereroi cinematografici nel ruolo di Hawkman in Black Adam gli ha però permesso di farcela, visto che il film è stato un flop. Ma la fiducia di Hodge in sé stesso non è stata messa in discussione.

«Il fatto che il signor Freeman abbia condiviso il suo sostegno a me come attore», dice Hodge, «mi ha dato non solo fiducia, ma anche la sicurezza di sentire che stavo facendo le scelte giuste».

CROSS | Trailer Ufficiale | Prime Video

Che cosa ti ha attratto di più di Alex Cross?
La sua bussola morale, per così dire. Questo personaggio rappresenta ciò che ritengo essere una verità sui neri e su di me come uomo di colore, e che non si riflette spesso nei media. Si batte per la vera giustizia. Ama la sua gente, ama la sua cultura, ama la sua famiglia. Fa ciò che deve fare per servire un vero ideale di giustizia, non l’idea perversa di giustizia. Non fa il gioco della politica, non cerca di abusare della sua posizione per fare carriera. Penso che la serie sia scritta in modo brillante. È un’interpretazione sfumata dell’idea di thriller che aspettavo da tempo, realizzata in un modo davvero creativo e all’avanguardia che credo attirerà il pubblico, permettendogli di partecipare e di giocare con noi. Questo è il risultato di una serie di libri con cui la gente ha vissuto per anni, e noi li stiamo invitando ad entrare nel mondo che già conoscono e amano.

Ben Watkins ti ha dato molto materiale su cosa significhi essere un poliziotto nero in questo particolare momento della Storia americana.
Viviamo in un mondo in cui Cross non può essere solo un detective e non può essere solo un uomo, perché il mondo lo vede prima come un nero e poi come un detective. Ma quando Cross ha a che fare con la sua comunità, spesso la sua comunità lo vede prima come un detective, a causa dei problemi sociali che si verificano. Cross fa da ponte in questo dibattito molto difficile, spesso conflittuale. Deve calmare le acque e aiutare le persone a capire entrambi i lati della questione. E Ben è la persona perfetta per guidarle in questa conversazione, grazie al suo tatto, al suo punto di vista e al suo rispetto per il pubblico a cui si rivolge.

Conoscevi bene il personaggio, sia dai libri che dai film precedenti?
Lo conoscevo abbastanza, sì. Sapevo cosa faceva e chi era, ma non avevo ancora letto i libri. Il che, per me, è stato un grande vantaggio, perché ho potuto formarmi un’opinione personale basandomi sulle conversazioni con Ben Watkins e poi con James Patterson. Sono stato in grado di capire chi dovesse essere direttamente dalle menti dei creatori e di costruire così un rapporto uno a uno, senza influenze precedenti. Ho iniziato a leggere i libri dopo aver girato [la serie], e sono davvero fantastici. Sono orgoglioso di far parte di questo progetto. Ma è stato bellissimo per me poter iniziare con una lavagna completamente vuota.

Cross è una specie di uomo del Rinascimento. È un poliziotto ma anche uno psicologo, suona il pianoforte… sembra bravo in qualsiasi cosa faccia. Tu reciti, ma sei anche un musicista e un designer di orologi. Ti sei sentito vicino a lui, in questo senso?
Cross mi sembra un essere umano normale. È un geniale savant. Suona il pianoforte molto meglio di me che suono qualsiasi strumento abbia mai avuto tra le mani. È colto, è mondano. E anche se è un savant, anche se è straordinario come essere umano, nell’ambito della cultura nera per me è normale. Voglio dire che tutte le cose che lo rendono figo e talentuoso sono normali per i neri, e noi possiamo finalmente portarle sullo schermo. E lo scopo di tutto ciò non è dimostrare una tesi o dire che siamo grandi o migliori, ma solo mostrare che siamo ugualmente fantastici. E la gente deve riconoscerlo e accettarlo. Quindi lo rappresenta come uno modello assolutamente normale, agli occhi del pubblico numero: ehi, ecco il tuo potenziale; sfruttalo e soddisfalo. Tutto questo è in linea con quello con cui sono cresciuto. Per tanto tempo tante persone hanno cercato di ridimensionare le mie ambizioni e il mio potenziale, perché mi vedevano attraverso la loro lente, non attraverso la mia. Sento che Cross è un’eccezione, ma per tanti rappresenta il fatto che si può e che si deve fare, e non ci si deve scusare o giustificare. Dovete solo essere grandiosi. Ecco, questo è ciò che Cross è per me. Ecco perché mi è piaciuto molto interpretarlo.

Quando dici che le persone cercavano di ridimensionare la tua ambizione e il tuo potenziale, cosa intendi?
Oh, cavolo… quanto tempo abbiamo? Sono cresciuto sulla East Coast, tra New York e il New Jersey, prima di arrivare a L.A. Prendiamo il sistema scolastico, dove non mi è stata insegnata la Storia. La vera Storia, quantomeno. Gli insegnanti con cui ho avuto a che fare spesso mi hanno insegnato a raggiungere meno del mio potenziale a causa di chi e cosa ero, per come mi vedevano, per come vedevano un uomo nero, per come vedevano la cultura nera. Mi hanno insegnato, o volevano insegnarmi, a vivere secondo il loro punto di vista. Mia madre è quella che mi ha detto: “No, tu sei migliore di così. Sei più intelligente di così. Farai meglio, perché è giusto che sia così”. Il motivo per cui disegno orologi è che volevo fare qualcosa che avesse a che fare con l’ingegneria e con l’arte, l’eleganza, la scienza e la tecnologia. Perché è quello che sentivo della mia cultura, cioè che siamo brillanti, fighi, che possiamo stare nel mondo accademico. Tutte queste cose sono normali per noi, ma il mondo mi diceva, soprattutto il mio ambiente, che non potevo, che non dovevo essere così. A casa mia l’istruzione era fondamentale, quindi ho dovuto superare le menzogne del mondo per raggiungere la mia verità, per poter essere all’altezza del mio potenziale, il che è terribilmente riduttivo e difficile per chiunque. I bambini neri, soprattutto in questo Paese, hanno a che fare con questo problema ogni giorno e la gente non capisce quanto possa essere dannoso, soprattutto se non hai una madre come la mia che ti dice: “Al diavolo tutto questo!”. Quindi, tornando a Cross, dovevo essere qualcuno che rappresentasse questa “normalità”. Se fossi il giovane membro di una minoranza che guarda questo personaggio… no, non voglio usare la parola minoranza. Non la sopporto, perché non siamo minori in nessun modo. Ma ecco, se io guardassi questo personaggio, vedrei qualcosa che assomiglia a ciò che posso essere e fare. Io ho dovuto lottare per affermare il mio potenziale. Ho dovuto lottare per la mia istruzione. Ho dovuto lottare per credere in me stesso. Ho dovuto lottare per amarmi a causa di tutto ciò che questo Paese mi diceva di non essere, ed è una cosa durissima. Ancora oggi ci facciamo i conti, ma a prescindere da tutto questo, io resisto grazie al mio carattere e al mio sguardo sulle cose, ed è questo che Cross rappresenta per me.

Aldis Hodge in una scena della serie. Foto: Prime Video

Come vi siete avvicinati alla recitazione tu e tuo fratello da bambini? Era qualcosa che volevate fare o qualcosa che vi è capitato?
Quando aveva tre anni lui e io due, continuava a dire a nostra madre che voleva essere nella “scatola”, che era il modo in cui chiamavamo la televisione, perché guardava I Robinson e voleva essere uno dei bambini. Mia madre era una Marine e quando si è congedata dal servizio ci siamo trasferiti dalle Hawaii al New Jersey, e lei gli ha fatto fare dei lavori da comparsa nelle pubblicità. E anch’io mi sono messo a farli, quando avevo tre anni. Volevo essere come mio fratello. Ma poi, dopo aver fatto il mio primo lavoro, mia madre mi ha regalato un giocattolo di Batman per essermi comportato bene e la mia mente di bambino di tre anni ha pensato: “Lo trasformerò in un’attività, perché voglio altri Batman”. Quindi sì, volevo fare più provini, più spot e cose del genere. Spesso mi chiedo: “Come facevo a saperlo a tre anni?”. Ma ora ho un bambino di tre anni e lo capisco. Sono piccoli esseri intelligenti e maliziosi.

Quindi ti ritrovi a recitare in Sesame Street, interpreti il nipote di Samuel L. Jackson in Die Hard e nel frattempo torni a scuola. Com’è stato per te?
L’adolescenza per me non è stata un periodo facile. Sono cresciuto a Clifton, nel New Jersey. Alcuni ragazzi erano simpatici, altri facevano a botte. Quando è uscito Die Hard, ho fatto sicuramente a botte a scuola, perché tanti miei compagni erano invidiosi. Vivevamo in una città piena di razzismo. Mia madre ci ha tolto da scuola per motivi di sicurezza, perché spesso venivamo presi di mira. Così ho studiato a casa da, non so, otto anni fino a quando ho iniziato l’università a 14 anni.

Hai iniziato l’università a 14 anni?
Come ti ho detto, siamo cresciuti in un contesto difficile, ma l’istruzione era la nostra via d’uscita da tutto. Siamo cresciuti in povertà, siamo cresciuti in mezzo a un sacco di razzismo e di violenza, e mia madre ci ha sempre protetto e si è assicurata che avessimo la spinta e la mentalità giusta per vivere una vita al di là di tutto questo. Diceva: “Recitare è un privilegio, mai una priorità”, cioè dovevamo guadagnarcelo. E poi: “Puoi avere decine di contratti, ma se non sai come leggerli non varranno nulla, perché ci sarà sempre qualcuno che cercherà di fregarti. Devi sapere cosa c’è in quei contratti. Devi sapere come gestire i tuoi soldi”. Quindi non ha cresciuto due attori. Ha cresciuto due imprenditori, due uomini d’affari. Per quanto riguarda la mia istruzione, eravamo all’avanguardia. Tornavamo a casa da scuola e facevamo studiavamo ancora. La scuola pubblica era troppo poco per noi, gli insegnanti dicevano a mia madre: “Sta facendo troppo”, capite? Perché mia madre ci dava lezioni a casa. Studiare a casa era davvero una questione di sicurezza e protezione, ma anche di autonomia per continuare a recitare, e quando abbiamo avuto l’opportunità di bruciare alcune tappe, l’abbiamo sfruttata. Ho fatto l’esame di ammissione all’università e ho saltato tutte le superiori. Sono stato ammesso subito, insieme a mio fratello. All’epoca lui aveva 15 anni, io 14. Quella era la nostra normalità. Ho iniziato a frequentare alcuni college comunitari, come il West L.A. College, il Santa Monica College, e sono finito all’ArtCenter College of Design, che ha avuto un grande impatto su di me. Mi ha spianato la strada per costruire la mia azienda di orologi. L’arte ha sempre fatto parte della mia vita, e in modo molto rilevante. È il modo in cui mi esprimo, è il modo in cui ho trovato la fiducia in me stesso, il modo in cui comunico con il mondo circostante da sempre. Sono stata fortunato a passare da una scuola all’altra e a trovare il mio percorso in modo naturale.

Ti è mai capitato, in un film o in una serie, di indossare uno degli orologi che hai progettato?
Durante le riprese di Black Adam stavo lavorando a un modello di orologio che non ho ancora ultimato. Siamo in fase di sviluppo da anni, il che è normale. Per quel film però ho realizzato un modello fittizio apposta per Carter Hall. Volevo indossare il modello definitivo nella serie, ma non è ancora pronto. Siamo molto, molto vicini alla produzione, spero di riuscire a farlo nelle prossime stagioni.

Da Rolling Stone US

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