Alessandro Borghi ha fifa: «No, perché tu ora mi vedi così, qui al Festival di Cannes, con questa giacca verde a fare il figo, ma in realtà io ho paura di tutto. E con l’età va sempre peggio». Due sedie più in là, Luca Marinelli si guarda a sua volta in giro con sguardo albumoso supplicando: «Domande facili, per favore». Quando non arrivano, si sporge verso Borghi e chiede: «Facciamo cambio?». «Ovvio che no» è la risposta sorniona. D’altronde – penserete voi – siamo a Cannes, mica alla sagra della salsiccia, e questi due corrono addirittura per la Palma d’oro con il film italo-belga-francese Le otto montagne, diretto da Felix Van Groeningen e Charlotte Vandermeersch, tratto dal romanzo Premio Strega di Paolo Cognetti, nelle sale in autunno. Vero. Però la sensazione è che gran parte dell’emozione nasca dall’essere a Cannes insieme. Come due Ferragnez (mancati) del cinema. Perché, insomma, diciamocelo: Borghi e Marinelli sono la più bella coppia al maschile in circolazione.
Il primo elegantemente coatto, con tanto di tatuaggio che sbuca dalla scollatura della scarpa e sale lungo il dorso del piede; il secondo più da cinema impegnato. Entrambi sono talentuosissimi e ricercati. I due si sono innamorati, pardon, conosciuti nel 2015 sul set di Non essere cattivo di Claudio Caligari: lì sono diventati grandi amici. Hanno sempre desiderato lavorare di nuovo insieme: «Avevamo mille progetti», confermano in coro. Ma di fatto non si è mai passati al dunque. Fino a oggi. Sette anni – e otto montagne – dopo, eccoli infatti qui, i “Cip e Ciop” Borghi & Marinelli, più affiatati che mai, entusiasti come due ragazzini al primo giorno di scuola. «Siamo sempre rimasti in contatto, l’amicizia non è mai andata persa», conferma Marinelli mentre Borghi annuisce convinto. «Claudio Caligari ci ha regalato questo legame di incredibile amicizia, anzi questa famiglia. Felix e Charlotte ce ne hanno fatto uno nuovo, di regalo, dopo sette anni». E tu pensi: ora Borghi si alza e bacia in bocca Marinelli. Invece non succede. Ma è come se.
I due sono affiatatissimi. Zero invidia, molto bonario cazzeggio e soprattutto un’intesa che buca lo schermo. La rivalità? Non pervenuta. «Non sono competitivo perché mi sento a disagio in qualsiasi momento, anche quando gli eventi mi mettono addosso cose fighe», assicura Borghi, che, come Marinelli, di cose fighe ne ha fatte parecchie. Invece niente: i due si “lovvano”, e in un modo da fare invidia a tutte le donne: da noi la solidarietà e l’amicizia senza scopro di lucro non sono esattamente così frequenti, o almeno non negli ambienti lavorativi. Ma dicevamo. Insieme i due trasformano le interviste in un luna park di battute e dichiarazioni veraci, e i film in capolavori. Se poi la pellicola in questione tratta, come Le otto montagne, il tema dell’amicizia al maschile, capite bene che il successo è garantito. «La storia passa attraverso il filtro della nostra amicizia, e questo è un vantaggio», concordano all’unisono.
I protagonisti delle Otto Montagne sono infatti Pietro (Marinelli), un ragazzo di città, e Bruno (Borghi), l’ultimo bambino di uno sperduto villaggio di montagna. Si conoscono da piccoli, complice una vacanza di Pietro nelle montagne della Valle d’Aosta. Si prendono (quasi) subito in simpatia, in un rapporto fatto di silenzi, affetto viscerale e profonda comprensione umana. La vita li dividerà per poi farli di nuovo incontrare (alzi la mano chi non ci legge una similitudine…). È dunque la storia di una grande amicizia o, per l’appunto, di una grande fratellanza: «Purtroppo viviamo in un momento storico dove i sentimenti sembrano anacronistici: non siamo più abituati a parlare di quello che proviamo o, quando lo facciamo, siamo sempre mossi dall’ego, dal perbenismo o dal qualunquismo. Insomma, non è quasi mai costruttivo. Questo film invece è pieno di cose radicate alla verità e alla realtà», dichiara Borghi.
Poi, in realtà, nelle Otto montagne c’è anche molto altro: uno sguardo sulla montagna «non da turista», come sottolinea Borghi; il fascino del silenzio che mette a tacere tutto per fare parlare solo il cuore; e una visione della natura che aspira a chiamare per nome il creato. «Voi di città dite mi piace la natura, ma la natura è un concetto astratto, come la vostra passione per la montagna», dirà a un certo punto Bruno nel film. «Io invece dico: mi piacciono i pascoli, i prati, la montagna. Non, genericamente, la natura». Greta, scansate.
Nel girare il film, Borghi e Marinelli si sono divertiti da matti. Prima di iniziare le riprese, Marinelli ha insistito per fare un gesto psicomagico: lui e Borghi, insieme ad altre tre persone della produzione, hanno voluto trascorrere la notte nella casa che, nel film, è la dimora costruita da Pietro e Bruno. Praticamente una casetta di pietre, con il tetto in legno, gelida da morire e sperduta a oltre duemila metri. Lì si sono ubriacati, hanno mangiato salsicce («Le ho spellate tutte io», precisa Borghi) e poi sono andati a dormire. Senza riuscirci, ovviamente. Da lì in poi è stato un prosieguo di scarpinate, mungiture di mucche e orizzonti di prati e cielo. Una goduria. E loro se la sono gustata tutta, fino in fondo.