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Alice Arcuri, ci pensa la vita

Il suo personaggio «fratturato» nella serie Rai 'Il clandestino', la dottoressa Tedeschi di 'DOC' (che chiude un cerchio familiare), la scherma, la malattia, il teatro. E quel mantra da Beckett: “Ho sbagliato? Bene, sbaglierò meglio”

Make-Up & Hair: Emanuela Di Giammarco; Styling: Allegra Palloni; Look: Federica Tosi

«Questo sarà l’anno dello spirito». Quello prima, invece, era stato all’insegna del corpo. Alice Arcuri ne è sicura perché così ha stabilito il suo «parlamento di amiche»: un giro selezionatissimo di persone, con tanto di senatori a vita (le amiche d’infanzia), con le quali l’attrice mica parla di facezie. Quando si incontrano, fanno dei veri e propri “check up” esistenziali. Del tipo che, a un certo punto, qualcuno si alza in piedi e dice: «Ok, bando alle ciance e apriamo i lavori: come va con quel tuo problema insoluto? Ci stai lavorando? E tu, a che punto sei della vita?». Ed ecco, per l’appunto: il 2024 è – e sarà – l’anno dello spirito per Alice Arcuri. «Ribattezziamo le annate, anche alla luce di quello che ci manca. L’anno scorso ho scoperto di avere l’endometriosi, ed è stato come se il mio corpo mi avesse mandato un segnale. Sono stati dodici mesi ricchissimi, anche lavorativamente, ma allo stesso tempo impegnativi. Adesso vorrei ritrovare delle cose di me, anche in solitudine: tornare a camminare nei boschi, prendermi degli spazi di silenzio». In realtà la sua agenda è parecchio piena: in tv non ha fatto in tempo a togliersi il camice della dottoressa Cecilia Tedeschi in DOC – Nelle tue mani 3 che è già in onda, su Rai 1, con la serie Il clandestino. Qui, accanto a Edoardo Leo, interpreta Carolina, moglie di un politico e madre di un’irrequieta adolescente: una donna che Arcuri non esita a definire «fratturata». Per poi precisare: «Fratturata come me, come te, come ognuno di noi».

Lo dici come se la fragilità non fosse un problema…
Sono sempre stata affascinata da quella zona d’ombra che il nostro sistema neurologico e psichiatrico cerca sempre di nascondere. Mi riferisco a quella parte che, tecnicamente, si trova tra l’Es e l’Ego: sì, sono patita di questi discorsi. Vabbè, facciamola più semplice e diciamo che è quel lato di noi che non ti fa volare, a meno di non affrontarlo e viverlo. Il problema è che tutti siamo fratturati ma facciamo finta di non avere alcuna debolezza. La comunità, le persone che ci stanno intorno, noi stessi dovremmo avere invece il coraggio di aprire l’armadio che nasconde i nostri mostri. So bene che questo implica un percorso lungo e doloroso, ma dietro a quest’esplorazione di sé c’è un mondo magico: le fratture diventano fonte di forza. Io lo ripeto spesso a mio figlio: le cadute, gli errori, le difficoltà sono tutte cose che dovremmo osannare perché è lì che capisci chi sei.

Quindi quanti scheletri hai già fatto fuori dal tuo armadio?
Parecchi. Infatti sono in un momento di grande pace: ho scoperto come fare luce nella mia vita e quali sono le mie risorse.

Alice Arcuri in ‘Il clandestino’. Foto: Loris T. Zambelli

Sei andata in analisi?
Be’, recitare è, di per sé, una costante seduta di analisi: non ci sono posti dove puoi nasconderti se devi diventare un mezzo per esprimere vite ed emozioni. Inoltre, in aggiunta ai “check up” periodici che faccio con il mio parlamento di amiche, ho fatto parecchia fisioterapia.

Ma non stavamo parlando della mente?
Ogni frattura dell’anima coincide con una micro contrattura del corpo. Per esempio, io incanalo la rabbia nel mio complesso mandibolare. Per un po’ ho anche studiato il Metodo Strasberg: una tecnica che ha a che fare con il rilassamento il corpo finalizzata al rilascio delle emozioni. Ecco, quando l’ho sperimentata ho trovato degli inceppi fisici molto forti.

C’è uno scheletro che, più di altri, hai faticato a guardare in faccia?
Sì. Quando ero ragazza, praticavo scherma a livello agonistico. Mi piaceva tantissimo, ma mi sono dovuta fermare a causa di grossi problemi fisici: prima ho avuto un problema alla caviglia, poi al tallone, finché un giorno, mentre uscivo dalla piscina, mi sono cedute le gambe. Ecco, lo scheletro più grosso è stato accettare che la malattia delle gambe sia stata un trauma essa stessa. Trauma che ho poi superato grazie alla recitazione. Mi spiace di non averci lavorato prima ma, al contempo, mi commuovo ogni volta che ripenso a quella piccola ragazzina che, con i suoi mezzi, ha affrontato un mostro così.

Alice Arcuri ed Edoardo Leo in ‘Il clandestino’. Foto: Loris T. Zambelli

Ora sei guarita fisicamente?
Sì, ma è stata una lunga trafila. All’inizio si pensava fosse un problema di asse tibiale, tant’è vero che avrei dovuto sottopormi a un’operazione agghiacciante a Bologna. Per fortuna mio padre, che è medico, ha voluto farmi visitare in America e lì mi hanno diagnosticato una displasia femoro-patellare: è una malattia molto rara, non è colpa di nessuno se non è stata riconosciuta subito. La testa dei femori era inserita male nelle anche. Ho fatto molta fisioterapia in Italia e mi hanno rimessa in piedi. Devo però mantenere sempre i muscoli attivi, per evitare cedimenti scheletrici o dei legamenti, ma poco male: amo lo sport. Ora faccio crossfit a palla…

Hai però dichiarato: “Sono assediata dalle malattie”. Ce ne sono state altre?
Mettiti comoda. In gravidanza mi hanno trovato una lesione all’utero e sono finita sotto i ferri. Mi sono poi dovuta operare anche alla mano, dopodiché mi hanno investita. Nell’anno della pandemia ho avuto un Covid violentissimo, e l’anno scorso mi hanno diagnosticato l’endometriosi.

Un viaggetto a Lourdes, quando?
Eh, hai ragione.

Però sembri serena. Com’è possibile?
Sono cresciuta in una famiglia di medici: mio padre faceva 15/16 ore di interventi di trapianti d’organo, anche sui bambini, mio fratello è un maxillo-facciale pediatrico. So quindi cos’è la malattia: è sempre stato un argomento in casa, così come la morte. Le mie non sono malattie invalidanti, e anche quando ho dovuto fermare la mia vita per un problema fisico è sempre stata un’occasione per guardarmi dentro. Il regalo più grande che mi ha fatto il dolore è l’empatia: anche da attrice, credo che sia quella la mia grande skill.

A Belve, parlando del suo tumore, Fedez ha detto che non è vero che dalla malattia si esce sempre migliori. Cosa ne pensi?
Ho visto la puntata e secondo me Fedez era ironico. Detto questo, a mio avviso tutto dipende da come vedi il mondo. Ogni mattina abbiamo la libertà di alzarci lamentandoci per quello che non abbiamo, che vorremmo avere e che non avremo mai. Personalmente io cerco di trovare sempre l’aspetto positivo, l’altra faccia della medaglia, ma non giudico nessuno: ognuno può scegliere cosa fare delle proprie fratture.

È vero che non volevi diventare attrice?
Non era decisamente nei miei piani. I miei genitori mi portavano a vedere i concerti e le opere liriche e io mi addormentavo. Quando a scuola andavamo a teatro, passavo il tempo a chiacchierare con le amichette. Dopo lo stop con la scherma, è stata mia mamma a iscrivermi a un corso di recitazione: io nemmeno ci pensavo. Poi però, quando sul palco ci sono salita io, è cambiato tutto: volevo fare quello. Punto. Ricordo che un giorno un amico di mio padre mi disse: “Ora ti sei messa in testa questa idea, ma fino a quando pensi di provarci?”. E io: “Fino a quando non ci riuscirò. Prima o poi la vita mi batterà dei cinque”.

Foto: Fabrizio Cestari; Make-Up & Hair: Emanuela Di Giammarco; Styling: Allegra Palloni; Look: Caterina Moro

Hai fatto scherma a livello agonistico, poi hai trasformato in un mestiere il tuo interesse per la recitazione. Sbaglio o sei una donna dalle passioni radicali?
Sì, totalmente. Sono assalita da passioni perniciose ed estenuanti: scopro la panificazione? Mi butto sul lievito madre e imparo il più possibile. Inizio crossfit? Faccio le gare e alzo l’asticella.

L’imperfezione, questa sconosciuta?
No, no! Al contrario: smarmello in continuazione. Alcune cose mi vengono malissimo ma, semplicemente, ci riprovo. C’è una frase di Beckett che adoro perché dice: “Ho sbagliato? Bene, sbaglierò meglio”. Ecco, questo è il mio mantra, anche perché io sono nata imperfetta, tutta un po’ storta: non potrei non accogliere le imperfezioni.

Però una battuta d’arresto ce l’hai avuta: quando è morto il tuo mentore hai lasciato il teatro e hai fatto solo tv.
È stato un grosso lutto. Sono sempre stata legata al Teatro di Genova, che mi ha regalato dei ruoli bellissimi. Quando però se n’è andato il mio maestro Marco Sciaccaluga è come se non mi fossi più riconosciuta in quel luogo lì: era come una casa, amatissima, che la tua famiglia ha deciso di vendere. Per più di due anni non ci sono nemmeno passata davanti, figurarsi entrare. Sai come si dice? “Non c’è nulla di peggio che tornare nei posti dove si è stati felici”.

Ora però sei tornata?
Sì, ho superato il blocco. Mi hanno proposto un lavoro bellissimo su Bergman. Ritornare su quel palco è stato esorcizzante. Avevo probabilmente bisogno di quella pausa per digerire alcune cose, aprire l’armadio della mia vita e guardare i mostri. Con quello spettacolo, però, si è chiuso un cerchio.

Alice Arcuri nei panni di Cecilia Tedeschi in ‘DOC – Nelle tue mani’. Foto: Rai

A proposito di cerchi chiusi, grazie a DOC possiamo dire che sei anche diventata medico?
Esatto. Era tra i miei desideri di bambina. A mio papà ho detto: “Hai visto? Ci sono arrivata anch’io”. E lui: “Sì, ma senza studiare 15 anni”. Tra l’altro devi sapere che sul set mi sono divertita un sacco, perché sono appassionata dei nomi dei farmaci: mi fa impazzire leggere le molecole e il bugiardino.

Sei come Verdone che dispensa diagnosi e ci azzecca?
Sì, di brutto! Durante una tournée teatrale, un mio collega si era fatto male, accusava un dolore al braccio e io gli ripetevo: “Vai a fare una radiografia perché secondo me ti sei rotto il radio”. Lui non mi dava retta, poi alla fine si è arreso e… indovina? Si era rotto il radio.

Ti rivedremo in DOC 4?
È ancora presto per saperlo: hanno appena iniziato a scrivere la nuova stagione.

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