Impresa ardua, quella di incontrarla telefonicamente. Giorni avvolti nel mistero, concitazione, scadenze saltate, ma dov’è Alma? Non si sa, non si capisce, ma il film sta per uscire. Poi, colpo di scena, lei si palesa un momento prima che salti tutto e come se niente fosse. Così mi tolgo insieme lo sfizio e il sassolino: «Come mai questa fuga dall’intervista?». «Fammi il cazziatone, è giusto», ride lei, poi torna seria: «Scusami se non mi hai trovata subito, anche io spesso fatico a trovarmi. Purtroppo fa parte del mio essere».
Cara Alma, al contrario delle apparenze questa non è una presentazione sadica né il ritratto di una capricciosa diva in erba. Con l’immagine onesta di te, che a vent’anni ti cerchi ma fatichi a trovarti, m’hai fregata. Ho capito che sei come molti di noi – come me di sicuro – che collezioni messaggi mai letti e hai poca voglia di perderti in chiacchiere con la prima che passa, perché sei distratta dalla scoperta del mondo. Meritavamo l’era delle lettere e non quella dell’iperconnessione, ma tant’è.
Ecco dunque la ragazza dagli occhi pece e il nome afrodisiaco e malinconico che mi racconta della sua «inspiegabile tristezza» mentre cita una commedia anni Sessanta di Blake Edwards. Nel 2012 Dario Argento l’ha voluta nel suo Dracula 3D, poi per Muccino è diventata la versione adolescente di Micaela Ramazzotti negli Anni più belli, mentre nelle case degli italiani ci è entrata a fianco del nazionalpopolarissimo Gianni Morandi, con L’isola di Pietro. Oggi però è Wilma Labate a decretare il suo debutto al cinema da protagonista, affidandole il ruolo di Nadia nel film La ragazza ha volato, scritto dai Fratelli d’Innocenzo, presentato a Venezia 78 e finalmente in sala dal 23 giugno. «Sono stata molto combattuta nei confronti di questo titolo. Non sono mai riuscita a capire se fosse un volo positivo o negativo. A un certo punto Nadia fluttua nell’aria come un fantasma. È lì, tra il celeste e il terreno».
Pochi attimi prima che succeda l’irreparabile (una scena di violenza senza sconti: ci torneremo su presto), la regia di Wilma Labate si concede un tempo immobile sul suo primo piano. La macchina da presa respira, Alma invece trattiene il fiato. Non dice una parola: pensa. Ed è come sentirla pensare ad alta voce. Le opzioni che vaglia, gli scenari possibili, lo stomaco contratto, il terrore, la scelta. L’istinto di sopravvivenza che passa nel lampo di uno sguardo. Il talento conturbante di Alma Noce.
Ne è passato di tempo da quando avete girato il film, poi è stato presentato a Venezia e ora è arrivato in sala a distanza di un anno. Cos’è successo nel mentre?
Io non mi sono mai staccata veramente da questo film. In questo lungo periodo lo abbiamo portato in giro per i festival più piccoli, in Spagna, in Francia… ho avuto la fortuna di vedere come viene percepito dal pubblico, tantissime persone provenienti dai posti più diversi. Il film è impegnativo e duro come l’argomento di cui parla. Dopo la visione in sala percepisco sempre una sorta di angoscia, ma la parte che preferisco e che non mi aspettavo – perché il film è piccolo e io non sono nessuno – è il dibattito che segue. Capita di andare avanti anche per un’ora con le domande e gli scambi d’opinione.
Sono curiosa. Il film riesce a non essere mai giudicante nei confronti dei personaggi, il pubblico invece? Giudica?
Be’, c’è chi giudica soprattutto Nadia. Ho assistito a delle scenate molto interessanti, persone infervorate che avevano provato fastidio verso le scelte del mio personaggio. È affascinante anche questo, vedere come ci sia chi ha il coraggio di attaccare una ragazzina e una situazione del genere. Ma è il bello della sala, no? Nello stesso cinema dello stesso paese ci possono essere opinioni completamente diverse. Il cinema serve a questo, a stimolare la discussione.
Hai detto che è un film a cui tieni molto. Non credo dipenda solo dal fatto che è il tuo debutto da protagonista…
Ci tengo perché racconta una storia a cui sono legata, provo una grande empatia per Nadia perché credo che quello che capita a lei succeda a tutte, almeno una volta nella vita, in forme più o meno pesanti. Questa storia è universale, ha ragione Wilma. Sentivo il bisogno di raccontarla dalla prima volta in cui ho letto la sceneggiatura e ammiro molto il fatto che poi lei non abbia spettacolarizzato le vicende. Qui nulla è troppo spinto né troppo asciutto, mentre spesso mi sembra di vedere che le violenze vengano descritte in maniera aggressiva, crudele, carnale.
Credo dipenda dal fatto che le scene di violenza sessuale contengono due elementi attrattivi: l’azione e il dramma. Parlavi di sceneggiatura… da interprete come hai vissuto l’incontro tra la scrittura dei D’Innocenzo e la regia di Wilma Labate?
Loro hanno scritto una sceneggiatura bellissima e Wilma ha saputo raccontarla a modo suo. Credo sarebbero stati due film completamente diversi, se l’avessero diretto loro. Ma è una cosa a cui non ho mai pensato davvero, perché alla fine la mia regista era Wilma. Io le voglio veramente bene, trovo che sia una donna stupenda. Le ho sempre creduto. Per ogni informazione, ogni direzione che mi dava, io le ho sempre creduto. Invece capita di lavorare con qualcuno che non ha quel potere su di te, che prova a convincerti senza riuscirci.
«Capita» perché a te è già capitato?
Mi è capitato, qualche anno fa… (ride)
Escludo che si tratti di Muccino.
Muccino è convincente a prescindere, ha un’energia che lo circonda e che non so spiegare. Anche nel suo caso, se mi chiedesse di camminare a testa in giù sulle mani, io gli direi: «Hai ragione, lo faccio subito». Per il resto, tu non indagare troppo.
Tu sostieni il legame tra attore e regista con un approccio quasi radicale, ovvero credi che un regista possa incidere sulla prova attoriale anche più delle capacità dell’attore stesso. Wilma Labate come ha inciso su di te?
La verità è che la prima volta che ho incontrato Wilma io non sapevo niente del film, mi hanno quasi mandata a un appuntamento al buio. Ero in una fase particolare della mia vita, ero trattenuta e non riuscivo ad esprimere nessun tipo di emozione, infatti anche i provini mi andavano tutti male. Ero un pezzo di legno, c’era qualcosa che non funzionava in me. L’ho incontrata il giorno del mio compleanno, e non lo so… siamo state due ore a parlare e io non ho fatto altro che piangere e ridere.
Sei esplosa?
Sì, non è una stronzata. Mi sono trovata davanti una persona di cui ho sentito di potermi fidare, le ho raccontato tanto di me, lei era materna e propensa all’ascolto senza nessun tipo di giudizio. Aveva una dolcezza e una comprensione di cui io avevo estremamente bisogno. Così sono esplosa, e poi uscita da lì ho pensato che non mi avrebbero chiamata mai più.
Una connessione umana, più che professionale?
Sì, ma per me nel cinema è obbligatorio che ci sia umanità. Perché il cinema è quello, sono le storie che raccontiamo. E se non c’è nessun tipo di emozione e di legame tra le persone, è difficile che poi venga fuori una cosa bella alla quale la gente possa credere. Vanno bene anche legami negativi, purché si trasformino a vantaggio del film.
Parlavi del tuo essere trattenuta, da dove arriva?
Ho avuto qualche anno un po’ sfortunato. Ma dopotutto, vedendo come sono riuscita ad uscirne, penso quasi di essere stata estremamente fortunata.
Credo che il più grande nemico di Nadia sia la sua incapacità di comunicare, ma in fondo ha 16 anni. Tu avevi 16 anni fino a poco fa.
La cosa che mi dispiace molto del silenzio di Nadia, del suo non chiedere aiuto, è il fatto che derivi dalla sua famiglia. Non è che lei sia una pazza furiosa che non parla con nessuno perché non ne ha voglia. È che non le è stato dato nessun tipo di educazione sia al dialogo che al sentimento, per cui non ha mai imparato a comunicare. Penso che questo sia presente in molte famiglie, troppe. Un’altra cosa bella di questo film è che i genitori di Nadia non sono cattive persone, non è che il padre sia un pazzo o un picchiatore, che lei abbia paura di parlare perché sennò l’ammazzano di botte. Semplicemente è una famiglia in cui nessuno si conosce.
La scena dello stupro è molto dura da guardare. Fa male non per la sua brutalità, ma per il suo realismo. La sequenza dell’atto carnale in sé dura 3 minuti e 5 secondi, la camera rimane sempre fissa su di te. Sei più riuscita a riguardarti?
Non è stato facile. Vedere questo film è stato complicato in generale, sono uscita dalla prima proiezione a Venezia che mi girava la testa. Una sala piena, 1200 posti. Sono sprofondata nel sedile un paio di volte. Nelle sale senti sempre un giudizio da parte di tutti, non puoi evitarlo, ed è anche giusto che ci sia. Avevo una strana sensazione di colpa, ero così legata alla storia e al personaggio che avevo paura di aver commesso un’ingiustizia verso chiunque avesse subìto violenza.
Tuttavia Wilma non è stata subito soddisfatta di quella giornata di riprese, come mai?
Era una scena di cui avevamo tutti talmente paura che nessuno ne voleva effettivamente parlare né pensarci. Abbiamo preferito non fare alcuna prova. Quel giorno sul set provavamo una sensazione di forte inadeguatezza, abbiamo iniziato a girare ma a Wilma non andava bene. E non andava bene neanche a me e a Luka (Zunic, un altro bel talento, nel film accanto ad Alma, nda). Dovevamo capire che voleva lei da quella scena, mancava la cosa più importante.
E cos’era?
Parlarne. Ognuno ha un’idea diversa di quello che è la violenza, anche se pensiamo a uno stupro o a un omicidio abbiamo percezioni e opinioni differenti. Ma quando giri un film bisogna che si sia tutti d’accordo, e tutti in linea con la visione del regista. Nel mio percorso avevo girato una sola scena di sesso, tutta coreografata, mentre qui era una cosa diversa.
Nadia è descritta come una ragazza «attraente», va di sua spontanea volontà a casa del ragazzo che abuserà di lei. Senza girarci intorno: siamo immersi con tutte le scarpe nel fango del tormentone “se l’è cercata”.
Ci ho ragionato molto. Se penso ai miei 16 anni, io ero ancora una bambina che non aveva idea dei pericoli, arrogante nella sua ingenuità. Una volta che Nadia si ritrova in quella situazione non è che abbia molte opportunità, rimane paralizzata.
Viene anche definita un’adolescente «scomoda», che pare un concetto imparentato al “se l’è cercata”.
Penso che sia scomodo il mondo in cui vive, in cui viviamo noi. Spesso quando c’è timidezza o incapacità di comunicare si viene percepiti come persone scomode, a cui non frega niente di niente. Molti ragazzi giovani sembrano così astiosi e invece semplicemente non sono ancora in grado di navigare il mondo.
Sembri ferrata sull’argomento. Sei stata scomoda anche tu?
Io sono stata molto scomoda in passato. Con i miei 16 anni ho fatto penare mia mamma e tanta altra gente. Purtroppo, forse, qualche volta mi capita di esserlo ancora nei momenti di insicurezza o di tristezza. Sai quella tristezza che ogni tanto arriva senza motivo?
Uh, che te lo dico a fare. È per questo che non ti senti affine alla commedia?
(Ride) Per questa cosa sono stata bullizzata da morire, per anni mi hanno detto: “Si vede proprio che sei di Torino, non hai senso dell’umorismo”. Io ho sempre pensato di averne parecchio, invece a quanto pare o non ce l’ho o funziona solo a Torino. Poi ai provini mi dicono sempre che ho un’aria molto malinconica, e la commedia mi spaventa perché ha una quantità di ritmi interni che se ne sbagli uno crolla l’intera battuta. Vabbè, anche qui ci sono le belle commedie e quelle fatte tanto per…
Ti sei appena tirata un autogol: quindi se dovessi fare una commedia, a quale regista diresti di sì?
Queste sono domande cattivissime (ride). Se penso alla commedia, mi viene subito in mente Hollywood Party di Blake Edwards. Quando l’ho visto non riuscivo a smettere di ridere, perciò se dovessi scegliere mi piacerebbe farne una del genere… ma la vedo improbabile. Blake Edwards è morto.
E che non si dica più che non hai senso dell’umorismo. A proposito di gusti, tu citi sempre bella roba: Fassbinder, Bergman, Żuławski, Fellini, Wenders, Ferrara…
Io sono pazza di quel tipo di cinema lì. Essendo film d’altri tempi e ormai fuori promozione, molte di queste perle sfuggono ai giovani. Io ho la fortuna di conoscerli facendo questo lavoro, capita che mentre sei sul set qualcuno dica: “Ma tu l’hai visto questo film?”. Individuo sempre persone che sanno qualcosa che io ancora non so, e poi vado da loro: “Senti, non è che c’hai qualche bel film o qualche regista da consigliarmi?”.
Mi piace questa tua fame di scoperta.
Sennò non vado da nessuna parte. Io non ho mai studiato recitazione né cinema, quindi devo recuperare le esperienze accademiche che ho perso andando in giro e affidandomi agli altri. Anche per questo pubblico su Instagram molti dei film che scopro, sperando che arrivino ai miei coetanei. Tutti quelli che mi circondano possono essere dei buoni maestri per me, ed è anche comodo perché non li devo pagare… (ride)
Altra ottima battuta. Senti, ma quindi dov’è che ti eri cacciata in questi giorni di latitanza?
Sto preparando un altro film molto impegnativo… e molto legato alla mia infanzia.
Attenzione: stai girando il tuo film da regista, Alma?
Sfortunatamente non ancora. È un nuovo film per il cinema con un regista con cui non avevo ancora mai lavorato. Sono chiusa in un seminterrato da giorni a fare ricerche e studiare.
Ancora cinema, allora possiamo ufficialmente dire che sei partita. Stai volando, ragazza.
Sto volando.