Il re degli ascolti di Sanremo: cinque edizioni che hanno rivoluzionato la messa laica italiana portando all’attenzione nazional-popolare nuovi generi, trap inclusa, e artisti underdog prima sconosciuti al pubblico televisivo, chiuse in bellezza con un picco del 96% quando consegnava il premio ad Angelina Mango. Poi l’addio alla Rai, una nuova avventura a Discovery con un quiz che ha faticato a decollare e un riedizione della Corrida che sta ottenendo buoni risultati, anche se non paragonabili ai fasti precedenti.
In molti si chiedono come faccia Amadeus a surfare su questa onda che ti porta in alto e poi si spezza: è l’entusiasmo un po’ fanciullesco del dj che ha fatto gavetta in provincia, l’aplomb del conduttore impassibile e sempre sorridente o una resilienza quasi zen? O più semplicemente la ricerca di qualcosa che lo sorprenda sempre, lontanissima da una comfort zone a cui mai si abituerebbe?
Per scoprirlo basta leggere la sua autobiografia – Ama, pubblicata da Piemme – e questa chiacchiera con Rolling Stone di Amedeo-Clark Kent che con un microfono si trasforma in Amadeus-Superman, pronto per la prossima avventura. Potrebbe essere un Sanremo 2026 Warner/Discovery, come si spettegola nelle ultime ore dopo la decisione del TAR della Liguria? Chissà, il conduttore non commenta, rispettoso del suo passato in Rai, forse più di quanto la Rai sia stata rispettosa nei suoi confronti.
Leggendo alcuni aneddoti del tuo libro – quando sei andato a vivere nella casa di Tracy Spencer o quando facevi il pendolare tra Verona e Milano agli inizi di Radio Deejay – sembra di essere nella serie degli 883. L’hai vista?
Sì, l’ho vista. Ce ne sono tante di storie simili a quella di Max Pezzali in quel periodo, compresa la mia. Perché negli anni ’80 e ’90 c’era un sogno che partiva dalla provincia per realizzarsi in città: cantanti che iniziavano nelle balere di paese, conduttori radiofonici che facevano gavetta nelle radio locali, tutti con l’obiettivo di vivere del loro lavoro e realizzarsi.
C’è sempre, sia nel tuo libro che nella serie tv degli 883, un senso di inadeguatezza giovanile: alle feste dove tutti ballavano tu hai deciso di scegliere la musica e fare il dj…
Per provare a essere protagonista, nonostante la timidezza. Da ragazzino non ero bello, avevo gli occhiali fin dai 7 anni anche per giocare a pallone e non la vivevo benissimo. Se li toglievo non vedevo il pallone, non c’erano ancora le lenti a contatto. Allora per vincere questa inadeguatezza si va alla ricerca di qualcosa che ti appassioni e ti renda speciale, che ti porti le attenzioni dagli amici e dalle ragazze che altrimenti non avresti ricevuto. E quando magicamente la trovi – suonando uno strumento o parlando alla radio, cantando una canzone o giocando a tennis – è come indossare un vestito da supereroe. Nella vita di tutti i giorni sei Clark Kent, una persona normale anzi a volte un po’ goffa e inadeguata, e poi quando sali sul paco e indossi il costume sei Superman.
E il tuo costume qual è?
È sempre stato il microfono, o in radio o davanti a una telecamera.
Il tuo superpotere è una sorta di sensibilità che ti permette di riconoscere le canzoni che funzionano, i successi, i pezzi giusti…
È una sensibilità personale, soggettiva, che forse ho sempre avuto o che ho sviluppato nel tempo. Ce l’avevo anche ai tempi della radio. Lavoravo in una piccolissima emittente di Verona e il proprietario affidava a ognuno di noi, giovane deejay, dieci dischi da mandare in onda, ma io ero incuriosito da altri, quindi sostituivo uno dei miei dieci con quello che era appena arrivato e che secondo me sarebbe diventato un successo. All’epoca il proprietario – io avevo 17 anni – si arrabbiava perché facevo di testa mia, ma faceva parte della mia indole e ho continuato così sempre, Sanremo compreso. Parto dalla canzone, mai dal nome in gara, la ascolto molte volte per capire se è adatta a mettere in evidenza il cantante che rappresenta, che sia famoso o che sia sconosciuto. In cinque anni di Sanremo di cantanti sconosciuti al grande pubblico ne ho avuti tantissimi.
Infatti nel libro parli del piacere di scoprire i brani di successo underdog. Fammi un esempio.
Colapesce e Dimartino, Madame, i Pinguini Tattici Nucleari, La Rappresentante di Lista prima che li portassi a Sanremo erano conosciuti solo da una nicchia, ma le loro canzoni mi piacevano e li ho presi fregandomene se avessero o meno copertine sui giornali.
A proposito di underdog, hai chiamato Baby Gang e Simba La Rue al Suzuki Music Party nonostante, per la loro condotta e i guai legali, siano molto divisivi. Perché li hai scelti?
Me ne sono sempre abbastanza fregato se qualcuno era divisivo o meno. Ascolto questa musica, seguo Baby e Simba, conosco le loro storie, capisco anche le cose giuste o sbagliate che possono aver fatto, ma ritengo che siano degli artisti. E che siano dei talenti musicali amatissimi dai giovani.
Sarebbero pronti per Sanremo Baby e Simba?
Be’, io ho detto che avrei portato a Sanremo Baby Gang se l’anno scorso non avesse avuto quel guaio giudiziario che non gli permetteva di essere in gara… pur consapevole delle polemiche che ci sarebbero state. Ma non ho mai composto il cast pensando a non creare problemi o polemiche. L’ho fatto pensando sempre esclusivamente al brano.
Cosa ne pensi davvero della trap? Sei “responsabile” di averla sdoganata a Sanremo…
È un fenomeno musicale che ha un grande successo tra i ragazzi. Non è paragonabile minimamente ad altri generi, tipo a quello che canta Bocelli, ma non puoi dire che non è musica ed emarginarla, negandole un palco importante e tenendola così nelle cantine, nei ghetti. La stessa cosa vale per il rap, è un modo per protestare contro qualcuno o qualcosa. E così deve rimanere.
Avrai visto quello che è successo al Corvetto a Milano. I ragazzi che ascoltano soprattutto trap hanno manifestato mettendo a ferro e fuoco il quartiere. Conosci bene i gusti del pubblico giovane, come ti spieghi la loro rabbia?
Perché è una società che li mette in grande difficoltà, e dove ci sono rabbia e frustrazione c’è chiaramente una protesta. Gli adulti si picchiano allo stadio per una partita di calcio e noi ci lamentiamo se un diciottenne in un quartiere periferico, magari disoccupato e con una famiglia disagiata, a sua volta disoccupata, fa qualcosa di assolutamente sbagliato e non giustificabile? La sua rabbia probabilmente ha radici più profonde rispetto a due che si picchiano allo stadio…
Che radici ha quella rabbia?
Esistono dei quartieri, delle zone e dei giovani che hanno un disagio e non hanno né futuro né presente. Bisognerebbe occuparsi un po’ più di loro prima di prima di accusarli di qualcosa dal nostro bell’appartamento. Tante volte le persone, e la politica in primis, si girano dall’altra parte.
Torniamo alla tv. Passare dal 74% di share della finale di Sanremo con Angelina Mango al 3% per cento del quiz Chissà chi è è già di per sé eroico, mantenendo il tuo aplomb. Mi viene in mente il film L’odio: quando cadi da cento piani il problema non è la caduta, è l’atterraggio. Hai imparato a cadere bene?
Sì, forse perché andavo a cavallo. Mio padre mi diceva sempre: quando cadi devi saper cadere e soprattutto ti devi rialzare e risalire subito a cavallo. Questa cosa mi è sempre rimasta dall’età di 10 anni. Credo che ognuno di noi abbia una forma di destino, di karma, sia in positivo che in negativo, e io nella vita ho avuto picchi di grandissimo successo e momenti di grande buio. A volte me li sono andati anche a cercare perché inseguo delle sfide come questa.
Sei andato via dalla Rai…
Nessuno mi ha mandato via dalla Rai. E se qualcuno pensa che io sia andato via per soldi, non è così. In quel momento sentivo dentro di me che un ciclo si era chiuso, e volevo aprirne uno nuovo assumendone i rischi. Alla conferenza stampa di Discovery dissi “Speriamo di ripartire dal 3%” (il programma che lo precedeva faceva appunto il 3% di share, nda) e nessuno fece caso alla mia affermazione, pensando fosse o una battuta o un atto di modestia, ma in realtà sapevo che sarebbe accaduto perché è una rete che non ha un vero e proprio palinsesto, non ha l’informazione, non ha ancora un tessuto da generalista, e il pubblico del quiz è abitudinario.
Perché ti sei assunto questi rischi di cui parli?
Sono fatto così. Forse dovrei cominciare a modificare la mia testa e cercare una comfort zone per arrivare alla vecchiaia, ma so già che non sarei contento.
Nel tuo primo Sanremo hai esordito così in conferenza stampa: “Ho scelto Francesca non per la bellezza ma perché rispetto a Valentino Rossi, che è un grande motociclista, sa stare un passo indietro”. In quel caso ti diedero del sessista e ci furono molte polemiche. Arrivando a oggi, credi – come dicono alcuni – che il patriarcato sia estinto o c’è ancora molto da fare?
C’è parecchio da fare su tante cose: sul patriarcato, sul razzismo, sulla libertà… Poi nascondiamo tutto dietro un’apparenza, pubbliche virtù e vizi privati. Togliere la libertà a qualcuno è una cosa che è per me inaccettabile: i ragazzi devono avere la libertà di sognare e noi adulti abbiamo il dovere di aiutarli a realizzare i loro sogni. Ci vuole un’educazione civica che torni nelle scuole come era ai miei tempi. Ci vuole un sistema che capisca che stiamo veramente vivendo una situazione di difficoltà. Per quanto riguarda il famoso passo indietro, ripetei soltanto le parole di Francesca Sofia Novello. Anche io posso fare un passo indietro rispetto a mia moglie. A volte lei può fare un passo indietro rispetto a me e tutti e due siamo sempre al fianco, non vuol dire che uno è più debole o sottomesso all’altro.
La tua carriera è più vicina a quella di un concorrente della Corrida o di un cantante in gara a Sanremo?
Sono due mondi completamente diversi. Il concorrente della Corrida è un dilettante allo sbaraglio che si vuole semplicemente divertire, mentre il cantante di Sanremo è un professionista che cerca un’affermazione o una conferma. Ho l’entusiasmo dell’uno e il professionismo dell’altro.