L’ultima settimana di giugno è tornata in classifica la ristampa di T’appartengo di Ambra. Lanciato da Non è la Rai che andava in onda tutti i pomeriggi (e chiuse i battenti il 30 giugno 1995), l’album fu triplo disco di platino nel 1995 ed ebbe successo pure in Sudamerica. E Ambra che dice? Ma soprattutto, dov’è adesso? La incontro sul litorale di Fregene tra i caravan del cinema, mentre aspetta di girare l’ultima scena di La verità vi spiego sull’amore di Max Croci. Fa la parte di una tizia mollata dal marito con due figli dopo sette anni di matrimonio. Scende la sera. «Della ristampa del disco», dice, «l’ho saputo da Facebook, tramite amici e vecchi fan. Mi hanno scritto: ma che bello, esce T’appartengo in vinile. E poi mi è arrivato il disco dalla Sony, con un biglietto di saluti».
Che poi mica era in vinile quand’è uscito…
Vuoi dire che l’hanno fatto diventare piùvintage del vintage?
Credo di sì. Ma prima c’era stata la giornata dedicata a Non è la Rai su Mediaset Extra, a 25 anni dalla prima puntata. Nemmeno lì eri stata coinvolta?
No. Ma neanche allora ero coinvolta!
In fondo era la tua qualità migliore…
Sono rimasta coerente: vivo, faccio altre cose,e intanto rispuntano quei fantasmi. Il disco è tornato in classifica e io sono esterrefatta. Non perché fosse così brutto, per l’epoca andava benissimo.
Aveva una sua eleganza.
Gira quest’idea che io voglia dimenticare tutto: il disco, il programma… Chissà perché. Magari non organizzo ritrovi di fan, però due anni fa a Milano a Capodanno ho cantato e ballato tutto T’appartengo, e sotto c’era un oceano di gente felice che cantava e ballava con me. Dico sempre grazie al popolo gay di esistere, perché io esisto ancora grazie a loro… Comunque siccome sono ancora lucida, mi stupisco. Mica è un disco dei Clash o dei Doors, sono io. Se adesso per trecento o tremila copie vendute ritorna in classifica vuol dire che nell’immaginario dell’inizio degli anni ’90… ecco, che la gente ha nostalgia degli inizi. Piacciono più della fine.
Nell’album sono coinvolti autori di Non è la Rai: Stefano Acqua e Stefano Magnanensi, che già arrangiavano le vostre canzoni, Peppi Nocera…
Poi c’erano i figli di Migliacci, Ernesto e Francesco.
E lo stesso Franco Migliacci, l’autore di Modugno e di Morandi.
È andata così: dopo le varie compilation di Non è la Rai, Boncompagni decide di fare dei singoli a ognuna di noi ragazze. Mi danno dei pezzi da cantare. Uno, ricordo, era della Bertè. Ma non ero una cantante e certe cose proprio non riuscivo ad acchiapparle. Finché mi fanno sentire T’appartengo. Dico: mi piace, sembra divertente. Proviamoci. Quella prova, di notte, è il disco: buona la prima.
Lo schiaffo di capelli su “giura”, che non lo so più rifare perché ho la cervicale, funzionava
Siccome non sapevi cantare ti eri arrangiata recitando le parole. Un po’ trip-hop, diciamo. Idea tua?
Dove non arrivavo con la voce ci mettevo del mio per forza. Barattavo parlati e soffiati tipo “giura”, in cambio di note. Era un brevetto mio. Anche lo schiaffo di capelli su “giura”, che non lo so più rifare perché ho la cervicale, funzionava. Comunque non è stato remunerativo, questo si può dire.
Il tuo nome non c’è tra gli autori delle canzoni.
Avevo un contratto per la tv e basta: 5 milioni di lire in tutto.
Poi te l’hanno fatta cantare anche in spagnolo.
Andò benissimo. Con il testo in spagnolo scoprimmo che era primo in classifica dopo una settimana in Spagna, Colombia, Brasile, Perù, Cile…
E sei partita per il Sudamerica
No, sono stata soltanto in Cile. Ho fatto il Festival di Viña del Mar, il loro Sanremo, come superospite.
Però…
Lì avevamo venduto quasi più che in Italia. Io come al solito ero un po’ stupita, ma il mio karma è “vai a vedere”. Appena scesa dall’aereo mi ricordo questa folla oceanica di ragazzi che urlavano: “Ambar! Ambar!”. Era il mio fan club. Lì non c’era neanche il programma, un miracolo. Giravo con delle giacche muccate, maculate insomma, e per tutti i giornali ero “la ragazza con la giacca di mucca”. Ero famosa così, pensa che beffa.
I giornali sudamericani che volevano sapere da te?
Dell’amore, di come avevo iniziato a cantare, del mio successo… Io rispondevo come facevo in Italia, dove però sapevano che c’era dietro un gioco ironico di cose dette e smentite come mi aveva insegnato Boncompagni. Invece loro erano serissimi. Tant’è che a Viña del Mar ero superospite insieme a Eros Ramazzotti e forse a Shakira o una che si calava sul palco dal cielo. Feci decine di interviste in albergo con Luca Tommassini, uno dei miei ballerini, che girava mezzo nudo per la stanza…
Come in A letto con Madonna…
Boncompagni mi aveva detto: tu pensa a una che ti piace e fai come lei. Quando mi chiedevano di fare qualcosa io pensavo: “Madonna direbbe sì o no?”. E così ho fatto un sacco di cazzate, perché non ero Madonna.
Questo genere di miracoli dice qualcosa dello spirito dell’epoca. Niente internet, niente Facebook, mancavano tutta una serie di collegamenti. Però capitava che Ambra cantasse alla tv cilena.
Io ero diventata la sigla di una telenovelas loro, molto famosa, che si chiamava Bastarda. La canzone era Lunes Martes – in italiano Lunedì Martedì. Insomma, per loro ero una cantante.
Beh, cantavi.
Ti assumi la responsabilità di quel che dici. Comunque ho fatto dei live pazzeschi. La buttavo sul ballo, più che sul canto. Mi portavo dietro Luca Tommassini e Kevin: a Viña del Mar con la solita ironia stavamo sul palco dentro una vasca da bagno piena di schiuma e io cantavo Necesito amarte. Per T’appartengo avevo una coreografia con bastone e cappello, di fronte a 30mila persone in piedi che cantavano. Nel frattempo la mia faccia diceva: porcoggiuda, ma davvero? Perché io il porcoggiuda ce l’avevo scritto in faccia. Era uno show che sarebbe andato benissimo per Britney Spears se fosse nata come me a Palmarola, borgata di Roma.
Ma Britney Spears è nata a Palmarola, nel Mississippi! È diventata famosa qualche anno dopo di te e aveva fatto il Mickey Mouse Show che grosso modo era un po’ come Non è la Rai.
Beh, noi però avevamo diversi livelli di lettura…
"T'Appartengo" in TV di Ambra Angiolini… di endri-gil1
In effetti il Disney Show aveva soltanto una doppia lettura: una sexy e l’altra no.
Tra topolini e topoline, si sa…
Dopo la fine di Non è la Rai e due album, ne fai anche un terzo. È differente dagli altri: va meno bene, però ha qualche pretesa in più. È così?
Dentro c’era un pezzo di Riccardo Sinigallia, Io, te, Francesca e Davide, che ebbe pure un videoclip di Alex Infascelli. Il fatto è questo: finita Non è la Rai sono entrata nel trip degli adolescenti che si ribellano. Tipico. Cercavo qualcosa che mi assomigliasse di più e avevo incontrato Sinigallia, poi Stefano Borzi che lavorava con Niccolò Fabi e tutto il giro che frequentava il “Locale”, un posto che frequentavo anch’io.
Era un posto in pieno centro a Roma aperto fino a notte fonda. Non esattamente uno studio Mediaset.
Beh, finalmente potevo uscire da sola. Lì c’era gente che mi piaceva e faceva cose che ammiravo: Lara Martelli, Daniele Silvestri, Max Gazzè, che era il bassista di Silvestri e ogni notte ci faceva ascoltare le sue cose, stavano tutti lì. C’era anche un giro di attori, mi ricordo Daniele Liotti e Valerio Mastandrea, ma non potevo nemmeno immaginare che un domani anch’io avrei fatto cinema. Insomma in queste notti vengono fuori delle canzoni, ci giochiamo sopra, scriviamo i testi. Mi dava una mano Danilo Pao che poi ha lavorato con gli Zero Assoluto. Emanuela, che era la batterista di Zucchero, mi insegna a suonare la batteria. Ci divertiamo.
E tu quella volta c’eri, cioè stavi facendo la tua cosa.
Ma io non è che avessi tutta st’ambizione di diventare una rockstar, perciò è andata come è andata. Se mi invitavano al Festivalbar ero in imbarazzo, non volevo salire sul palco, mi vergognavo. Finché una sera, durante una data di Viva la voce a Riccione, un gruppo di ragazzi mi fischia e mi tira una bottiglietta. In quel momento, mentre Bonolis mi viene a ringraziare, dico a tutto il mondo che sparisco per sempre. Me ne vado. Non perché ci ero rimasta male della bottiglietta, è che mi ero rotta i coglioni di tutto.
Nonostante avessi preso finalmente in mano il tuo destino.
Mi sembrava energia sprecata dover continuare a convincere gli altri che qualcosa di me poteva funzionare. Io ero in mezzo a tutto, ero in un non luogo.
Sparisci. Come Kurt Cobain. Metaforicamente, dico.
Diciamo che posso capire quell’amarezza, quell’inquietudine, ma non mi sono spinta così oltre.
Finiscono i tuoi anni ’90.
Chiuso. Fine. Stavo di merda. Non potevo neppure andare in giro di notte rasata a zero e senza mutande nei peggiori bar di Caracas.
Come Britney Spears.
Io non ce l’ho fatta. Fin lì mi ero divertita senza pensarci troppo. Tutto veniva da Gianni Boncompagni, che non si prende mai sul serio grazie a Dio, me l’ha insegnato lui ed è quello che mi ha evitato conseguenze peggiori. Ho mollato, perché lo strascico era troppo pesante: ero cambiata, anche fisicamente, ero diventata cicciona, tutta un’altra storia rispetto a prima. Quale storia fossi diventata io non lo sapevo. E mi sono fatta le mie esperienze.
Vent’anni dopo, che senso ha tutto questo?
Che gli anni ’90 sono stati quando si cominciava a far lavorare quelli che non sapevano lavorare, e io sono stata la prima tra tutti. Con noi inizia il ciclo che oggi continua con i talent: vai e inizia.
Appunto, inizia. Ma una vera fine non è prevista. Da zero puoi diventare qualcuno e ok. Il resto, tipo invecchiare serenamente, non è contemplato.
Tipo il posto fisso e la pensione, dici? Beh, no, ma quel tipo di ambizione nasce proprio negli anni ’90. L’importante è iniziare. Dopo c’è una sola possibilità: quella di farti riscoprire ogni volta. Io sono una regina delle riscoperte. Infatti, in tutti i premi che ho a casa sono una “rivelazione”. In genere una rivelazione più per gli altri che per me, ma vabbè.
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