Un filo di voce sottilissimo. Quasi un distillato di timidezza. Dall’altro capo del telefono, la voce di Ambrosia Caldarelli arriva come un sussurro, fragilissimo, e tu pensi: “Questa ragazza se la mangiano viva nel mondo del cinema”. Invece datele una macchina da presa e sarà lei a sbranarvi nel giro di un paio d’inquadrature. L’attrice – giovanissima, 23 anni da compiere a dicembre – ha esordito come protagonista assoluta di una serie tv nientemeno che nel ruolo di Donatella Colasanti. Esatto, quella Colasanti: l’unica sopravvissuta al massacro del Circeo, consumatosi negli anni ’70 a Roma. La serie in questione si chiama, per l’appunto, Circeo: se ve la siete persa su Paramount+, potete recuperarla da martedì in prima serata su Rai 1. Ebbene, le puntate arrivano come un pugno allo stomaco, e a prenderci a cazzotti a suon di ingiustizie, violenza carnale e discriminazioni sono proprio le sequenze – strazianti – con Caldarelli.
Praticamente la lucina verde della cinepresa è il suo booster: fino a 30 secondi prima è agitata, pensa di non essere in grado, poi qualcuno grida “ciak” e lei si trasforma all’istante. La fragilità diventa profondità di sguardo, e a farsi strada è una forza di carattere che buca lo schermo. Poi, non appena il regista urla “stop”, la nostra ripiomba in modalità ansia-panico-ansia. «Se sbagliavo una battuta andavo in confusione, chiedevo scusa, tant’è vero che il consiglio principale di Greta Scarano, che è protagonista con me di Circeo, era sempre: “Non agitarti”», ricorda Caldarelli. Che poi mica finisce qui. Lo stesso battesimo di fuoco l’attende pure sul grande schermo: Edoardo Leo l’ha scelta come protagonista del suo nuovo film da regista, Non sono quello che sono, presentato all’ultimo Festival di Locarno e nelle sale il prossimo anno: una rilettura dell’Otello shakespeariano dove Ambrosia interpreta Desdemona. Dunque, anche qui, una certa dose di femminicidi e drammi.
Di’ la verità: rimpiangi di non essere nata nell’era di Un medico in famiglia, quando il ruolo più complesso per un ventenne era diventare il miliardesimo figlio di Lele?
Vedevo sempre Un medico in famiglia: hanno girato così tante stagioni che, pur essendo nata nel 2000, ho fatto in tempo a crescere in compagnia di Lino Banfi, Lele, Annuccia… Al netto quindi della mia passione per la serie, no: non rimpiango nulla. È stato sicuramente tosto interpretare Donatella Colasanti, ma è l’esordio che qualsiasi giovane attrice sognerebbe: non solo sono protagonista, ma interpreto un personaggio di quella statura, sfumato e attualissimo.
La cosa più inquietante?
Sicuramente le scene al Circeo. Essere lì, vedere quei luoghi, immaginarmi cos’era successo, riproporlo… è stato disturbante. Ma più di tutto mi ha sconvolta accorgermi che alcune dichiarazioni, come per esempio “Se fosse rimasta a casa, non sarebbe successo nulla”, non sono certo sparite. I personaggi della serie indossano vestiti diversi dai nostri ma, alla fine, i comportamenti sono gli stessi. Purtroppo la storia si ripete, e a dircelo sono i giornali: negli ultimi tempi ho letto una quantità di notizie allucinanti che vedono dei ragazzini protagonisti di stupri, violenze, abusi. D’altronde è un problema di educazione: se tra gli adulti ci sono ancora sacche di patriarcato, perché dovremmo aspettarci che i bambini non emulino chi hanno davanti?
Tu hai paura?
Eh, bella domanda. Oggi ti rispondo: sì, ma solo alla sera. Mi fa paura girare da sola per strada, quando è buio.
Prima invece cosa mi avresti risposto?
Fino a qualche tempo fa avevo sempre paura. Anche di giorno. Se mi si avvicinava un uomo, mi sentivo costantemente in pericolo. Nelle relazioni il confine della rabbia è sempre molto sottile, e questo mi spaventa. Anche perché, soprattutto nei rapporti di coppia, si tende a essere abbastanza ciechi. Oggi va meglio perché a un certo punto mi sono detta: “Ok, i pericoli ci sono, ma bisogna anche vivere. Se succede qualcosa, posso reagire”.
Certo che, con queste premesse, una serie come Circeo non dev’essere stata una passeggiata…
Per niente, però ne è valsa la pena. Donatella Colasanti ha avuto una forza pazzesca: all’epoca aveva solo 17 anni, era una ragazzina, e ha subìto un processo dopo l’altro. Non ne ha fatto solo uno: è andata avanti fino al 2005, quando è morta. Inoltre, era di un’integrità e di una lucidità morale pazzesche: non accettò i soldi da parte dei genitori dei ragazzi, ha lottato per cambiare il sistema (grazie a lei la legge sulla violenza contro le donne è stata modificata, nda), ma allo stesso tempo, paradossalmente, è rimasta lucida, non ha mai fatto di tutta l’erba un fascio. Per lei gli uomini non erano tutti dei mostri.
Di sicuro questo ruolo ti spalanca le porte del mondo del cinema. Avete festeggiato in famiglia?
In realtà i miei genitori sono del partito “tanto finirà”.
Non sono entusiasti che tu faccia l’attrice?
Mamma e papà non mi hanno mai ostacolata, sono le persone più libere del mondo e mi hanno sempre dato carta bianca. Però allo stesso tempo sono anche molto onesti e sinceri, quindi esprimono le loro perplessità senza peli sulla lingua. Sono convinti che possa rivelarsi un fuoco di paglia. Da un lato hanno ragione, perché quello dello spettacolo è un ambiente effettivamente molto competitivo. Ma io voglio dimostrare loro che, con l’impegno, si può fare la differenza.
So che sei metà pugliese e metà romana. Quale delle due anime senti più tua?
A casa mia vince la parte pugliese perché siamo di Foggia: capirai!
Be’, insomma. Non è esattamente la città più ridente della Puglia…
Hai ragione, è probabilmente la più brutta ma, da bambina, mi sembrava stupenda. Ci andavo spessissimo con la mia famiglia, ne ero affascinata, e ho finito per lasciarci un pezzo di cuore.
Ambrosia è il nome di qualche tua parente, come da tradizioni meridionali?
No: è un omaggio a Baudelaire e alle sue poesie. È stata mamma a insistere per questo nome: all’inizio mi sarei dovuta chiamare Angelina.
Quando hai capito che volevi fare l’attrice?
Al liceo. Il palco era l’unico luogo dove mi sentivo al mio posto, adatta a qualcosa. A scuola invece andavo sempre abbastanza male… non che non fossi brava, ma mi sentivo costantemente in difetto. L’unica cosa che amavo davvero era fare i provini e stare sul set. Peccato che i miei professori non la pensassero così: mi facevano pesare le assenze, si arrabbiavano. Sono stati anni brutti.
Non eri quindi la star della scuola?
No, assolutamente no!
Spasimanti ne avrai però avuti.
Ero molto corteggiata, ma io non ero per la quale. Non che non abbia avuto dei ragazzi, ma stavo sempre sulle mie, forse per difendermi e non rimanerci male.
Il primo provino fu con Nanni Moretti. Come andò?
Un disastro! Accompagnai una mia amica: stavano cercando delle comparse. Ricordo ancora la fila lunghissima davanti al Nuovo Sacher… Moretti mi notò e mi convocò per un secondo provino, ma per il ruolo principale. Io ero molto piccola, infatti da lui e dal casting director mi ci accompagnarono i miei genitori, e avevo sottovalutato la cosa: non mi preparai e andò, ovviamente, malissimo. Quando la casting director mi fece notare che non ero abbastanza preparata, scoppiai a piangere.
I provini successivi andarono meglio?
Mi sono presa tantissimi “no”. Ancora adesso, peraltro. Ma ci sta, un attore non è adatto per qualsiasi ruolo. So che ho ancora davanti tanta strada, che devo crescere e studiare. In particolare sono molto grata a Edoardo Leo, che mi ha scelta come protagonista del suo nuovo film.
Un consiglio che ti ha dato?
Oltre a “Non agitarti” e “Stai calma”? (ride) Mi ha raccomandato di studiare e di vedere i grandi classici del cinema e della tv, perché la cultura è fondamentale. Conoscere il lavoro dei grandi attori è formativo, offre spunti, suggestioni.
C’è un regista con cui sogni di lavorare?
Martin Scorsese ma, appunto, è un sogno: non credo accadrà mai! E mi piacerebbe tantissimo lavorare con Paolo Sorrentino e Ferzan Özpetek.