Quando è innamorato suona il funk, quando è arrabbiato mette i Foo Fighters e picchia sulla batteria più forte che può. Nel nuovo film di Vincenzo Alfieri, Il corpo (presentato in anteprima al 42esimo Torino Film Festival e nelle sale dal 27 novembre), Andrea Di Luigi è entrambe le cose. Ma è anche imperscrutabile e annebbiato, un uomo tutto d’un pezzo che vedremo perdere il controllo, schiacciato tra i personaggi di Giuseppe Battiston e Claudia Gerini. Dopo l’esordio nel Nuovo Olimpo di Ferzan Özpetek, dove insieme a Damiano Gavino raccontava un amore represso e mai dimenticato, a 29 anni Di Luigi torna al cinema tra i protagonisti di un thriller claustrofobico, un film in cui Alfieri trova la sua cifra migliore riducendo all’osso la messa in scena e battendo il ferro su pochi attori essenziali, tirati fuori dalle rispettive zone di comfort. Isolati in una villa da incubo e poi in un obitorio tetro e piovoso, i personaggi si provocano e si manipolano a vicenda, mentre lo spettatore non sa per chi tifare e alla fine teme tutti. Anche e soprattutto i cadaveri.
Di questo pas de deux a tinte gialle, giocato tra primi piani distorti e zoom strettissimi, Di Luigi ci racconta le paure e l’adrenalina. Ad esempio la sfida di tenere testa a un fuoriclasse come Battiston (verissimo quello che si legge in giro: qui è in stato di grazia), uno capace di concentrarsi nel giro di pochi secondi e tirar fuori «qualcosa che molti ricercano, invece lui ce l’ha e basta». Ma ci racconta anche il confronto con Gerini, alla ricerca di un intrigante mix tra antagonismo e attrazione sessuale che lega i loro personaggi attraverso – appunto – il linguaggio del corpo. Özpetek lo aveva scelto perché “non si capisce quello che pensa”, e anche stavolta il suo volto riesce a non tradire i pensieri del personaggio. Fuori scena, invece, sembra tutta un’altra storia. Cresciuto ad Ascoli Piceno in una famiglia numerosa, musicista e appassionato di moto, rivendica ogni sua insicurezza: «C’è bisogno di tempo per diventare bravi, ed è giusto così».
Batteria, economia, recitazione. Tre tappe della tua formazione e tre momenti in cui ti sei chiesto chi volevi essere?
Sì, nella maniera più assoluta. Ho iniziato a suonare la batteria alle medie, è una passione che dentro casa implica un certo inquinamento sonoro e i miei genitori sono stati molto pazienti. Inizialmente volevo fare quello, suonavo e scrivevo con un mio gruppo ad Ascoli, per cercare di emergere lavoravamo su YouTube e giravamo per festival. Mi dicevo: la musica forse mi salverà.
Cosa suoni quando sei arrabbiato e cosa invece quando sei innamorato?
Quando sono innamorato, quindi ispirato e felice, suono quello che amo di più: il funk, Jamiroquai, Red Hot Chili Peppers, cose tecnicamente più difficili. Quando sono arrabbiato voglio suonare solo due note e sfondare tutto, metto i Foo Fighters e suono più forte che posso.
Come hai capito che la recitazione poteva darti più della musica?
La musica mi ha sempre lasciato un po’ di preoccupazione sul futuro, perché è anche una cosa che fai in gruppo, specie se sei un batterista. Puoi diventare un turnista, ma bisogna essere disposti a suonare diversi generi e io non volevo che quella passione diventasse una costrizione. Quando ho scoperto la recitazione, invece, è stato diverso. Avevo una curiosità così profonda e viscerale da voler sperimentare qualsiasi scenario.
Prima Ascoli, poi Pescara e infine Roma.
Ad Ascolti sono nato, ma poi ho scoperto un corso di recitazione a Pescara. Lì ho studiato e conosciuto dei registi emergenti per poi trasferirmi a Roma. Non avevo mai preso un impegno importante che mi portasse fuori dalla mia città, lontano dalla mia famiglia e dalla mia comfort zone.
La comfort zone è un tema centrale per te?
Sì, ogni volta penso di essermi abituato e poi ecco che arriva un’opportunità per la quale devo spingermi oltre e uscire fuori.
A Roma sei arrivato insieme a tua sorella, anche lei lavora nel cinema. Siete stati coinquilini?
È così. Finita la scuola a Pescara non sapevo come recitare fuori dal contesto accademico. Mi è arrivata una nuvola di tristezza addosso e non riuscivo a liberarmene, non riuscivo più a considerare la recitazione come un’esperienza passeggera. Contestualmente mia sorella entrava al Centro Sperimentale nel corso di costume, infatti oggi lavora come costumista. Sul mio primo film con Özpetek ha lavorato come aggiunta, è stato divertente.
Cosa ti ha detto dopo averti visto sul set?
Lei è la persona più difficile da convincere. Quando non funziono lei non mi crede, e me lo dice senza peli sulla lingua: “Questo non sei tu, non è proprio una reazione spontanea”. In famiglia siamo tanti, ho tre sorelle e un fratello, e tutti facciamo cose diverse. Mio fratello lavora per la ricerca sul neurosviluppo e le malattie oncologiche, è un cervellone con l’aspetto di un surfista. Ma lei mi conosce meglio di chiunque altro, perché siamo gemelli. Quando ho la sua approvazione mi sento soddisfatto.
Hai detto di aver sempre voluto interpretare un personaggio come quello di Bruno nel Corpo: perché?
Perché incarna il tipo di persona che mi è capitato di conoscere nella vita di tutti i giorni, ma che non mi rispecchia. Bruno ha un forte bisogno di rivalsa per qualcosa che gli è successo, ma questo lo ha portato ad avere un aspetto altezzoso, a schiacciare le persone che ha intorno per seguire un obiettivo preciso, senza avere paura del giudizio degli altri. Mentre per insicurezza io tendo ad ascoltarlo, il giudizio degli altri, e poi cerco di tirarmene fuori. Sperimentare quella sicurezza in sé è stato divertente, magari avere un po’ di Bruno mi aiuterebbe nella vita.
Prima Nuovo Olimpo e ora Il corpo: per entrambi i film hai dovuto confrontarti con scene di grande intimità.
Ci ho fatto caso, c’è la componente dell’attrazione fisica, sessuale, del romanticismo, dell’amore vissuto in maniera tormentata. Nel film di Özpetek il mio personaggio non poteva accettare quel lato di sé, ma allo stesso tempo quel lato era predominante perché costituiva la verità. Nel film di Alfieri, invece, Bruno è annebbiato e non ha gli strumenti per tenere a fuoco la componente passionale, e questo lo porta a scombussolare gli equilibri che ha ricercato per tutta la vita. C’è questa ragazza che gli fa perdere la testa e per lei farà di tutto.
Özpetek ti ha scelto perché “non si capisce quello che pensa”. Era perfetto per il personaggio di Pietro ed è una caratterista che torna anche nel personaggio di Bruno. Perché Alfieri ti ha scelto?
Ancora me lo chiedo, però quando ho affrontato quell’incontro avevo ricevuto un moodboard e qualche scena e mi sembrava tutto davvero figo, ero interessato ad entrare in quella dimensione e quindi ho avuto molto entusiasmo nel fare delle proposte. Al provino c’erano Vincenzo e Davide Zurolo, il casting che ha curato il film. In generale tutte le persone che gravitano attorno a Vincenzo sono giovani e piene di passione, non sono consumate dal mestiere. Lui stesso ha un approccio al lavoro diverso, eravamo lì a cercare di capire come dare un senso a queste scene, era concentrato, mi ascoltava davvero, ha provato a mettermi in difficoltà per capire fino a che punto spingermi. Ci siamo divertiti insieme.
In Nuovo Olimpo ti confrontavi con altri due giovanissimi, Damiano Gavino e Aurora Giovinazzo. Stavolta tieni il passo di due veterani, Giuseppe Battiston e Claudia Gerini.
Il lavoro con Battiston è stato una scuola enorme per me. Durante le letture ho tremato un po’ e sul set mi impressionava lavorare con lui. È capace di concentrarsi nel giro di pochi secondi e allo stesso tempo di mantenere un’incredibile naturalezza. È una cosa che molti ricercano con la mente e con il corpo, invece lui ce l’ha e basta. Tenergli testa in scena non è facile, ma è anche l’obiettivo del mio personaggio, che deve fronteggiare il suo ispettore. Stessa cosa con Claudia, persona di un’umanità incredibile nonostante la sua bravura e la sua fama. Abbiamo fatto delle lunghe chiacchierate ed è stato importante.
Con Gerini avete costruito un rapporto molto intrigante, fatto di energie in conflitto tra loro: il disgusto, l’attrazione, la volontà di dominio. Le vostre battute dicono qualcosa mentre i vostri corpi confessano tutt’altro. Come avete trovato questa dimensione?
È vero, era un gioco continuo tra corpo e parole in contrasto tra loro, con questa forte componente d’attrazione fisica tra i due personaggi che, secondo me, è dettata dalla volontà di manifestare il potere. Con Claudia abbiamo ragionato su quanto i personaggi fossero simili tra loro e su come instaurare quel genere di antagonismo. La sessualità è stata una componente fondamentale per sfidarsi di più.
Neanche un po’ di imbarazzo per quelle scene?
Devo dire di no, Claudia sa rendere tutto molto naturale e poi c’è stata grande cura e attenzione da parte di tutti. È stato più pauroso pensare di dover girare certe scene, che poi girarle davvero.
Attualità, cronaca nera e l’ombra del femminicidio che grava sulla storia fino al plot twist finale. Il film è il remake dello spagnolo El cuerpo di Oriol Paulo, ma la tua è una poker face alla Ben Affleck in Gone Girl.
Prima di iniziare a girare, con Vincenzo abbiamo parlato di diversi film: Il sacrificio del cervo sacro, Attrazione fatale, Animali notturni e appunto Gone Girl, che è stato importante per il lavoro su Bruno, perché dovevamo mostrare la sua perdita di controllo ma doveva dare anche l’idea di essere un uomo fermo e tutto d’un pezzo, più grande dell’età che ha. La reference principale era quella di un uomo schiacciato dal potere di una donna e allo stesso tempo dal bisogno di tenerle testa.
In una vecchia intervista per Rolling, Alfieri mi diceva: “Quando lavoro a un film mi sento come un motociclista che corre a 300 all’ora in autostrada senza casco. E qui i casi sono due: o ti schianti o sopravvivi”. Ti ha contagiato?
Lui è una macchina da guerra. Girava di giorno, tornava a casa e montava di notte. Io invece ero stanco perfino all’idea che lui non dormisse. Il giorno in cui abbiamo girato le sequenze finali c’erano degli inseguimenti da fare con la macchina a mano ed era prevista una squadra di stuntmen per tutti. Sono arrivato sul set pensando che non sarebbe stata una giornata “molto mia”, ma poi ho trovato Vincenzo con il casco e i parastinchi, vestito da motocross, pronto a fare l’operatore di macchina per le sequenze action. Se il regista corre insieme agli attori mentre saltano dalle finestre, io devo rischiare con lui. L’abbiamo fatta insieme ed è stato bello.
Sul tuo Instagram ho trovato piatti di pasta, concerti e moto da corsa. Quindi corri anche tu?
Diciamo che vado in moto senza correre troppo. L’ho vista, la gente che corre davvero e gareggia, ma io sono da sempre un grande amatore. Mi piace andare in moto nel bosco insieme a un mio amico con la quale condivido questa passione da sempre. Infatti adesso la mia moto staziona nel suo garage ad Ascoli, e la tiriamo fuori ogni volta che torno a trovare i miei.
Nel film c’è un bel monologo di Battiston che rivendica il diritto all’infelicità, e quella del suo personaggio è davvero abissale. Tu hai mai conosciuto l’infelicità?
C’è sempre qualcuno che si trova in condizioni più difficili delle tue, quindi dirsi infelici a volte sembra una responsabilità. Però sì, l’infelicità è qualcosa che ho provato quando non avevo il coraggio di seguire i miei impulsi e di fare dei salti. Lì sentivo di stare sprecando la possibilità di prendere in mano la mia vita. Quello è stato il mio momento più infelice e più buio, perché stavo lasciando andare il mio futuro per assecondare delle paure. Poi col tempo ho scoperto che le paure e l’infelicità rimangono lì anche se non ti esponi troppo, quindi a un certo punto bisogna fare quello che si ama.
Quando ti hanno scelto per Nuovo Olimpo stavi lavorando in un ristorante. Non ci hai creduto per giorni, nel senso che ci vedevi proprio del marcio.
Sì, come se ci fosse qualcosa sotto, come se mi stessero fregando.
Oggi inizi a pensare di meritarlo?
Non direi, no. Penso che dovrò guardarmi sullo schermo e dire “non ci siamo” ancora un po’ di volte, prima di diventare bravo. C’è bisogno di tempo per diventare bravi, ed è giusto così.
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Fotografo: Nicola De Rosa
Publicist : Mpunto Comunicazione
Look: Cycle Jeans
Grooming : Alessia Iacino
Assistente fotografo : Umberto Pettazzoni