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Barbara Ronchi, l’attrice (in)visibile

Ama scomparire nei suoi personaggi, perché «il mio lavoro sono i film che faccio». Ma, grazie al suo talento, tutti si sono accorti di lei. Dopo tanto cinema d’autore e serie tv (e prima dell’esordio al cinema di Tommaso Paradiso), sbarca a Venezia con ‘Mondocane’, al fianco di Alessandro Borghi. L’abbiamo incontrata

Abito: Ermanno Scervino. Gioielli: Crivelli. Make up: Giovanni Pirri, Simone Belli Agency. Hair stylist: Valeria Barba. Styling: Other Srl Agency. Location: Hotel Villa Pamphili Roma

Oggi l’ammireremo alla Mostra del cinema di Venezia, al fianco di Alessandro Borghi, nel film Mondocane di Alessandro Celli, uno dei titoli più attesi alla Settimana della Critica. Diremo «Quanto è brava», «Cavoli se era in parte», «Mi è proprio piaciuta», ma poi, al prossimo film, magari non la riconosceremo nemmeno. Ed è una cosa bellissima. Perché è questo il vero talento di Barbara Ronchi: saper svaporare dentro i propri personaggi per plasmarne sempre di nuovi, ogni volta più credibili. La riprova? Negli ultimi anni l’avrete incrociata spessissimo. È passata da Fai bei sogni di Marco Bellocchio a Padrenostro al fianco di Pierfrancesco Favino, passando per Tornare di Cristina Comencini e Cosa sarà di Francesco Bruni. In tv ha sfondato con Maltese, per poi continuare con Linea verticale, Romanzo famigliare, Imma Tataranni e sperimentare la strada del fantasy con Luna nera. Chiedete a qualsiasi addetto ai lavori quali sono le migliori attrici italiane in circolazione: il suo nome spunterà si sicuro. Di “scomparsa” in “scomparsa”, oggi è difatti un’attrice richiestissima. «Se lo spettatore ogni volta si chiede: “Ma chi è quest’attrice?”, allora vuol dire che ho fatto bene il mio lavoro», assicura Ronchi, che in Mondocane interpreta Katia, una tosta poliziotta che dà la caccia ai delinquenti in una distopica Taranto.

Di te stessa hai detto: «Ho fatto tanti film, ma resto invisibile». Non mi dire che non ti spiace nemmeno un po’…
Il mio lavoro sono i film che faccio. Non sento la necessità di essere riconosciuta per strada o di avere migliaia di follower sui social. Anzi, sai qual è la verità? Non mi dispiace affatto restare nell’ombra.

Fama e visibilità non sono sempre state parti integranti del grande sogno di diventare attori? Possibile che tu non abbia nessun narcisismo?
No, te lo assicuro: zero! (ride). Non sono mai andata alla ricerca del successo. Tra l’altro, credo che una certa invisibilità aiuti, perché ti libera dalle pressioni e dalle aspettative: se lo spettatore ignora chi sono, è come se mi vedesse sempre per la prima volta. È una dinamica che mi affascina tantissimo e mi fa sentire libera. Non sono infatti incasellabile o riconducibile a un aggettivo: non sono “quella forte” o “la simpatica”, non appartengo a una categoria di genere. Non sono Nessuno e ogni volta divento Qualcuno. Per poi scomparire.

C’è chi ha già iniziato a chiamarti l’antidiva: ti riconosci in questa definizione?
Boh… Sai che non ho idea di cosa voglia dire? (ride)

Datti un voto da 1 a 10, e non essere ingenerosa con te stessa.
No, ti prego, non ce la faccio…

Forza.
Ok, allora mi gioco la carta del famoso 6 politico. Non lo faccio per falsa modestia: sono una persona molto intransigente con me stessa e, se si tratta di lavoro, anche con gli altri. Solo nella sfera privata e relazionale sono più morbida.

Qual è l’aspetto più difficile del tuo mestiere e quello che devi ancora imparare?
La vera sfida è non recitare per se stessi: smetterla di preoccuparsi di fare bene, di essere apprezzati, ma iniziare a recitare per qualcuno. È tosta perché le aspettative si sentono, soprattutto se hai visibilità. Quanto a me, credo che devo diventare più brava a fidarmi di me stessa.

Foto: Paolo Ciriello

E in Mondocane, invece, qual è stata la difficoltà maggiore nell’impersonare Katia?
Sicuramente le scene d’azione alla Mad Max! Battuta a parte, è stato complesso rendere le backstories. Il film si caratterizza per seminare una serie di indizi sul passato dei vari personaggi, che però non vengono volutamente portati avanti nel corso della storia. Per esempio, il mio personaggio è una poliziotta che è cresciuta nel campo orfani: si capisce che conosce Testacalda (il personaggio di Alessandro Borghi, nda) ma non sappiamo in che termini. Sono amici? Fratelli? Altro? E ancora: l’attenzione che Katia nutre nei riguardi della piccola orfana ha qualcosa a che fare con il suo senso di maternità oppure semplicemente si rivede nella bambina? Sono tutte domande che ho voluto sviscerare.

Il film è ambientato in una Taranto ridotta a città fantasma, resa invivibile dallo smog delle acciaierie. Ogni riferimento allo stabilimento Ilva è puramente casuale?
Certo che no. La distopia del film non è molto lontana: non mi stupirei affatto se, da un giorno all’altro, Taranto venisse evacuata. Purtroppo il film immagina un futuro che potrebbe non essere poi così improbabile.

Per la prima volta l’umanità si ritrova a vivere su un pianeta che, tra Covid ed emergenza climatica, sembra aver stampato addosso la data di scadenza. Come se ne esce?
La Terra sta finendo le risorse: è un mondo destinato a finire, non certo a crescere, e questo è sotto gli occhi di tutti. La mia speranza sono i giovani che sono cresciuti in questo clima emergenziale. Quando infatti ero adolescente, io manifestavo contro la Finanziaria e per le risorse statali per la scuola, mentre oggi i ragazzi scendono in piazza per il clima. C’è quindi in loro una consapevolezza maggiore, che è anche politica, e questo li spingerà in modo spontaneo e automatico ad avere uno stile di vita green.

Torniamo a te. Venezia è solo il primo appuntamento che ti attende: ho contato almeno quattro titoli in uscita da qui a dicembre. Partiamo dal più eclatante: la commedia natalizia Io sono Babbo Natale, ovvero l’ultimo film di Gigi Proietti. Cosa ricordi di lui?
Per me è stato un regalo incredibile poter lavorare al suo fianco: rendeva tutto più semplice e più divertente, pur nella serietà del lavoro. Era un uomo vitale e al contempo umilissimo: era sempre inclusivo, non ha mai fatto pesare la sua notorietà, anzi, cercava sempre di fare gruppo.

La cosa più divertente che ti ha detto?
Sicuramente le sue barzellette, ma non posso raccontarle perché erano tutte sporche (ride).

Ti vedremo anche in Sulle nuvole e qui vogliamo lo spoiler: com’è Tommaso Paradiso dietro la macchina da presa?
È stato bravissimo! Forse in pochi lo sanno, ma è un grande cinefilo, con un sacco di riferimenti: era un piacere parlare con lui e poi aveva le idee molto chiare. Non è facile quando stai girando la tua opera prima: io ne ho fatte diverse, anche Mondocane è un’opera prima, e sono sempre complicate per i registi, perché sentono che devono dimostrare di essere credibili. Ecco, Tommaso non aveva quest’ansia. Era molto libero dal giudizio degli altri e questo ha rappresentato indubbiamente un punto di forza.

Poi ti vedremo nei panni di un soprano nel film biografico Il boemo, sulla vita del compositore Josef Mysliveček. Scopriremo in te un talento canoro nascosto?
No, assolutamente! Sono doppiata da una cantante professionista, semmai il mio lavoro è stato quello di prepararmi in modo da riuscire a muovere le labbra a sync. La musica classica comunque è un genere che amo. Me l’ha fatta scoprire il mio professore di Accademia, Paolo Terni: è stato lui a educarmi all’ascolto. Da allora mi ci rifugio spesso, ascolto Puccini, Mozart, Rossini, a volte anche per trovare l’ispirazione, perché è una musica molto teatrale. Poi io sono appassionata dell’ascolto in generale: per esempio vado matta per gli audiolibri.

Infine, arriverà anche la seconda stagione di Imma Tataranni, diventato un piccolo cult. A che punto siamo, secondo te, con la costruzione di un immaginario televisivo che sia più aderente alla realtà delle donne?
La grande sfida è riuscire a svincolare la sensibilità dal genere: non è vero, per esempio, che la forza è una qualità tipicamente maschile mentre la sensibilità è appannaggio delle donne. Solo se supereremo quest’idea potremmo restituire un immaginario finalmente imperfetto e, dunque, più realistico. Imma va proprio in questa direzione, perché schiera una protagonista che, pur amando la sua famiglia e il proprio lavoro, non si preoccupa di piacere a tutti: rende conto solo a se stessa. Tra i miei prossimi lavori ci tengo però ad anticipare che sarò anche in Settembre, al fianco di Fabrizio Bentivoglio. Si tratta di un’opera prima – e niente, io sono la donna delle opere prime – in uscita nel 2022, a cui tengo moltissimo perché Giulia Steigerwalt è una sceneggiatrice bravissima. Purtroppo non posso entrare nel merito della trama, ma sono diverse storie che si incrociano, dipingendo un quadro esistenziale bellissimo.

E dire che tu, da giovane, eri convinta di fare l’archeologa…
Mi ero laureata in Archeologia: ero partita per gli scavi ed ero pronta per il dottorato. Poi invece mi è capitato di fare il provino per l’Accademia e ho cambiato strada. Onestamente senza alcun rimpianto.

Guardandoti indietro, credi di essere più in debito o più in credito nei confronti della vita?
Mi sento di aver ricevuto tantissimo, ma voglio essere egoista e avere ancora di più. Il mio lavoro è come una giostra: a un certo punto sei su, tutto va bene e credi che sarà così per sempre. Purtroppo non è detto. Ecco, io alla vita chiedo quel per sempre.

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