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Carolina Crescentini: «Ho avuto paura, ma adesso dobbiamo ricominciare»

Il lockdown, il Covid manager sul primo set dopo la ripresa, il violoncello di Motta (e le idee buttate giù insieme). Una chiacchierata analcolica a Venezia

Foto: Leonardo Puccini

Sono alla lounge di Campari – ma senza spritz: è ancora prestino – con Carolina Crescentini, che è a Venezia 2020 in qualità di Carolina Crescentini.

Ma prima ci sei venuta da attrice, da giurata, ci sei sempre. Ora come: da amica della Mostra? Habituée?
Se posso ci vengo, mi emoziona sempre, non ti so spiegare perché. Quando arrivi in stazione e sali sulla lancia, tutte le volte dici: ma questo è veramente un posto assurdo, bellissimo. Le stesse cose da 15 anni. E poi arrivi qui, e sei lusingato di farne parte.

Questo festival bisognava farlo.
Assolutamente sì, malgrado le difficoltà dovute al protocollo. Quello che rimane sono i film. Questa è una Venezia per addetti ai lavori, per chi il cinema lo fa, non per chi vuole lustrini e paillette. In questo momento il settore ha bisogno di avere una luce puntata, per tanti motivi. Intanto perché i lavoratori dello spettacolo stanno soffrendo. Siamo ripartiti ma non tutti, le produzioni sono ripartite ma non tutte. C’è molto meno lavoro, tanta gente che sta a casa. Non siamo tutelati, non siamo riconosciuti. Per ricordare la gaffe che ha fatto Conte, veniamo visti come quelli che fanno divertire e appassionare. Io penso che facciamo molto di più.

Tu hai ricominciato?
Sì, stiamo finendo I bastardi di Pizzofalcone, che avevamo interrotto, mi manca una posa e ho finito. Ma tra tamponi, sierologici, Covid manager…

Il Covid manager mi pare una figura meravigliosa.
Incredibile. È questo tipo che ti spara una pistola in fronte in continuazione, controlla tutto, poi arrivano gli infermieri che ti fanno i prelievi o i tamponi. Giustissimo, l’unico problema è che si rallentano i tempi, e sai che nel cinema e nella tv il tempo è fondamentale.

Il tempo che abbiamo passato, invece, ce lo ricorderemo o l’abbiamo già dimenticato?
Rimarrà dentro, in qualche modo. Magari più su un piano irrazionale, emotivo. A me in realtà pure sul piano razionale.

Perché?
Io ho avuto tanta paura, ma non tanto per me, per i miei genitori. Pur di non farli uscire gli portavo la spesa, con quel momento pietoso dello scambio sul pianerottolo. Ti dicevi che ’sta roba?, però ero troppo preoccupata di poter essere un’asintomatica. E adesso un po’ di preoccupazione c’è ancora, perché il virus mica se n’è andato. L’altro giorno sotto casa c’avevo la manifestazione dei negazionisti: je avrei menato.

Intanto veniamo qua e ci mettiamo tutti carini, ci apparecchiamo. È giusto anche questo.
Ma certo, bisogna farlo. Perché pure dietro questa apparecchiatura c’è una fila di lavoratori, è il risultato di un gioco di squadra.

Tu scrivi sempre i tuoi quaderni. L’hai fatto anche nei mesi di blocco?
Ho scritto delle cose strane, in una strana calligrafia: questa è una cosa da far vedere all’analista. Sembrava non mia, tipo un flusso di coscienza che inizi a scrivere, e non ti fermi più. Ho scritto di me, mi son risaliti ricordi di tanto tempo fa, chissà che ne verrà fuori, qualcosa di certo ho scavicchiato.

Carolina Crescentini con Francesco Motta a Venezia 77. Foto: Leonardo Puccini

Francesco (Motta, nda) è qui, nel senso che l’ho proprio visto passare prima.
Sì. Poco fa è uscito online un film a cui abbiamo lavorato insieme (Letto n. 6, nda), lui poi durante il lockdown ha scritto un’altra colonna sonora, ancora non si può dire per cosa. C’era questo violoncello in casa nel momento del dolore e della pandemia che pensavi solo: vojo mori’.

E una cosa insieme, dico proprio vostra?
Sicuramente succederà. Abbiamo messo giù una serie di idee, format, cose che abbiamo anche depositato, ma non so se le faremo mai.

Che cos’è la passione?
Una tempesta che non puoi fermare mai.

E se, come è capitato, si è costretti a farlo?
Ti puoi fermare fisicamente, ma dentro no. Ti dico solo che il giorno in cui hanno dichiarato il lockdown io dovevo andare a Napoli per lavoro, e mi è arrivato il messaggio della produzione che diceva “set bloccato”, e io ho lasciato la valigia all’ingresso per un mese: ero convinta che da un momento all’altro sarei dovuta partire. E poi ho detto leviamola questa valigia, e allora ho iniziato ad accettare.

La prossima Venezia da…
Oddio, cos’è che non ho ancora fatto? La giuria sì, ma la rifarei, l’adoro. Anche se vedi cinque film al giorno dalla mattina alle otto e non tutti sono incredibili, io amo vedere film, e quella è sempre un’ottima scusa.

E da regista?
Vedremo.

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