Per alcuni si tratta di un esperimento riuscito, per i meno entusiasti non è niente di soprendente, per altri ancora rappresenta la tv del futuro. Di certo la sensazione è che in giro, da quasi due settimane, non si parli d’altro. Dopo quasi un decennio trascorso a realizzare e sviluppare una delle serie più geniali, attuali e inquietanti del 21esimo secolo, Charlie Brooker e la produttrice Annabel Jones hanno deciso di portare Black Mirror – è il caso di dirlo, vista l’occasione – al livello successivo.
Il 28 dicembre, dopo mesi di speculazioni da parte dei fan riguardo l’uscita di una quinta stagione, è sbarcato su Netflix l’ambizioso Bandersnatch. Il film standalone diretto da David Slade rappresenta una novità assoluta per la serie inglese, perché per la prima volta consente allo spettatore di decidere le sorti dei personaggi in scena, tra finali multipli, Easter Eggs e scelte da soppesare con cautela che potrebbero condurre persino alla morte dell’eroe in scena.
Ambientato nella Londra del 1984, racconta la storia del giovane programmatore Stefan Butler (Fionn Whitehead), autore di un intricato videogioco interattivo basato su un libro a bivi. Il titolo rimanda al nome di una creatura mostruosa inventata nel 1871 da Lewis Carroll per il romanzo fantastico Attraverso lo specchio (quasi a suggerirci che il mondo in cui ci stiamo addentrando è labirintico e allucinante come quello di Alice) o, forse, è un chiaro riferimento ad un videogioco mai realizzato che lo studio Imagine Software cercò di sviluppare negli anni ’80, senza riuscirci.
«Non so se questo sia il futuro della televisione» riflette Brooker quando lo incontriamo a Londra insieme a Jones. «Probabilmente è la versione più recente di qualcosa che esiste da svariati decenni, come abbiamo potuto constatare con giochi come Dragon’s Lair e Night Trap. Semmai, ciò che mi sembra rivoluzionario, è il fatto che questa struttura funzioni all’interno di una piattaforma che non ha nulla a che fare coi videogame».
Se questo è il futuro, pensate che Bandersnatch potrebbe funzionare anche in una sala cinematografica?
Charlie: Beh, in teoria sì. Sarebbe sufficiente che il pubblico avesse un’app sul telefono con cui scegliere tra le varie opzioni. Si potrebbe fare, ma sarebbe anche dannatamente fastidioso. E forse darebbe il via ad una bella scazzottata in platea (ride). Non credo, tuttavia, che i film interattivi potranno mai rimpiazzare la narrazione tradizionale.
Annabel: Sono convinta che, guardando il film da casa e prendendo delle decisioni importanti, lo spettatore si senta ancora più coinvolto. Quando, nella storia, Stefan si rende conto che qualcuno – ossia noi – sta controllando le sue azioni, ci sentiamo tutti scoperti e complici.
C’era qualcosa che volevate realizzare e che siete stati costretti a sacrificare in assenza di una tecnologia adeguata?
Charlie: Spesso pensavo, frustrato, che sarebbe stato più facile se il film fosse stato un gioco per la Playstation, dove si possono prendere decisioni in modo più semplice. In realtà il team tecnico di Netflix è sempre giunto in nostro soccorso: in un certo senso volevano che testassimo i loro limiti, perché Bandersnatch è un buon banco di prova sperimentale. Spesso chiedevamo loro se fosse possibile mettere in pratica un’idea e loro non dicevano mai di no: anzi, 9 volte su 10 trovavano una soluzione. Ci sono comunque altre cose che avrei voluto fare.
Quali?
Charlie: Quando Stefan guarda un documentario in VHS, volevo che fosse possibile fargli vedere un intero film sul suo televisore, permettendo anche a noi di guardarlo con lui.
Avevi pensato ad un titolo in particolare?
Charlie: Visto che avremmo dovuto pagarne i diritti, sarebbe bastato il più economico, oppure anche solo un episodio di Black Mirror. Purtroppo non abbiamo avuto abbastanza tempo per sviluppare l’idea. L’avevo visto fare, molti anni fa, in un videogame: sulla tv del protagonista trasmettevano Il buio oltre la siepe e, se volevi, potevi guardarlo dall’inizio alla fine.
Annabel: In realtà Netflix ha sviluppato la tecnologia necessaria a realizzare Bandersnatch, a mano a mano che giravamo. Eravamo due team che lavoravano a stretto contatto e si supportavano a vicenda.
Charlie: Hanno creato uno strumento su misura che potessimo utilizzare in fase di montaggio, dove c’erano oltre 250 segmenti da agganciare e collegare. Come ho avuto modo di scoprire durante il montaggio, ce ne sono alcuni che non possono essere sbloccati nemmeno da noi.
Ci sono altre chicche che i fan non sono ancora riusciti a scoprire, in mezzo alle 5 ore di materiale che compongono Bandersnatch?
Charlie: Alcune scene sono molto difficili da raggiungere. Una delle mie preferite è legata al numero di visioni, perché il sistema tiene traccia di quante volte avete visto il film. Colin Ritman (interpretato da Will Poulter) dice, ad un certo punto: “Ok, passiamo al prossimo segmento”. Stefan, sorpreso, gli chiede a cosa si riferisca, e lui risponde: “Ok, me ne occuperò io per te, cazzo!”. E così accediamo alla scena successiva, in cui c’è una breve sequenza onirica in cui appare Jerome F. Davies (il visionario autore del libro a bivi su cui è basato il videogioco di Stefan, ndr), che pochissimi hanno visto. Inoltre volevo assegnare dei premi agli spettatori, ma ero in minoranza e non se ne è fatto nulla. Meglio così.
In che senso?
Volevo che, ogni volta che raggiunge un finale, lo spettatore ricevesse una specie di medaglia. Ma fare una cosa del genere avrebbe complicato ulteriormente la storia. E, in fondo, dobbiamo pensare anche al pubblico. Credo.
Hai dichiarato di recente che le atmosfere della quinta stagione di Black Mirror saranno più ottimiste e meno distopiche. Ci sono cambiamenti all’orizzonte?
Charlie: Abbiamo girato Bandersnatch mentre scrivevamo la serie, tanto che all’inizio avevamo ipotizzato che il film potesse farne parte. Poi, alla fine, ci siamo resi conto che sarebbe stato più logico realizzare una storia autonoma. Per quanto riguarda la nuova stagione, vorrei che le storie non fossero tutte distopiche, perché altrimenti diventerebbe davvero prevedibile. Il mondo è un po’ deprimente, al momento, perciò non ne avevo voglia. Inoltre ho bisogno di originalità.
Spesso gli episodi della serie contengono riferimenti a puntate precedenti. I fan si chiedono se Black Mirror non sia dunque un universo condiviso. È così o no?
Annabel: A volte si tratta solo di meravigliose coincidenze. Quando Stefan vede comparire sullo schermo del proprio computer un logo, ci siamo resi conto che era lo stesso apparso in Orso Bianco (episodio 2 della seconda stagione, ndr). A volte, invece, si tratta di una scelta precisa: come quando parliamo di Tuckersoft, l’azienda di gaming (citata in episodi come Metalhead, Caduta Libera e San Junipero, ndr) per cui Stefan sta realizzando Bandersnatch. Penso che serva a far percepire al pubblico una sensibilità comune, all’interno delle varie stagioni.
Charlie: Detto ciò, non ci siamo mai seduti a tavolino per dettare delle regole. Chi conosce bene la serie può accorgersi dei riferimenti. Talvolta riutilizziamo tecnologie inventate per altri episodi e ciò è dovuto al fatto che, da una parte, le abbiamo progettate noi, e dall’altra perché ci offrono qualche retroscena. A volte è solo per ridere: come quando in tv compare una scritta che spiega che Michael Callow, il primo ministro del Regno Unito che fa sesso con un maiale nel primo episodio della prima stagione, ha vinto Celebrity Bake Off. Con Bandersnatch mostriamo che esistono degli universi multipli: in uno Stefan è un attore, in un altro muore sulla sedia della sua psichiatra. Possiamo dunque affermare che Black Mirror esiste in molti universi che condividono filamenti di Dna simili.
Avete dato un’occhiata ai commenti sui social, dopo l’uscita del film?
Charlie: Cerco di non farlo, perché mi manda un po’ fuori di testa… Ma non posso lamentarmi delle recensioni negative: io stesso ne ho scritte un’infinità (quando lavorava come giornalista per il Guardian, ndr).
Quanti finali ci sono? Secondo Netflix sono 5, ma il produttore Russell McLean ne ha contati 12.
Charlie: io sono giunto alla conclusione che sono due.
Annabel: Ah sì?
Charlie: Più o meno. Ad un certo punto ho pensato di dividere i finali, distinguendoli come finale d’argento, dorato o di bronzo. Magari, a chi decide che Stefan deve distruggere il computer rovesciando il tè bollente, avremmo potuto assegnare il finale di bronzo.
Parliamo della quinta stagione. Quando sarà pronta?
Charlie: Quest’anno, è una promessa.
Annabel: Toccheremo dei generi inediti, rispetto al passato.
Charlie: Ci saranno cose diverse. In Bandersnatch, se fate attenzione, ci sono alcuni Easter Eggs rispetto alle nuove puntate.
Annabel: Provate ad indovinare di cosa si parlerà.
Charlie: Oppure non fatelo, nel caso in cui vi vengano idee migliori.
Il lavoro su Bandersnatch ha influenzato il vostro approccio alla quinta stagione, da un punto di vista della scrittura?
Charlie: Non proprio. Avevo già scritto uno o due copioni, quando abbiamo iniziato a lavorare a questo film. È stato un sollievo, dopo, tornare a scrivere una storia con un inizio, una parte centrale e una conclusione. Oppure con una soltanto di queste tre cose.
Annabel: Attento agli spoiler!
La serie va avanti dal 2011. Sentite che state facendo ancora lo stesso lavoro di 8 anni fa?
Charlie: Sì e no. Secondo una lettura errata molto comune, la nostra è una serie che mette in guardia dai pericoli della tecnologia. Non credo che sia così. Si tratta solo di storie in cui capita di usare la tecnologia nello stesso modo in cui The Twilight Zone sfruttava l’elemento soprannaturale. L’atmosfera è diversa. Quando abbiamo girato la prima stagione, l’atteggiamento generale nei confronti della tecnologia era molto positivo e la gente adorava questi nuovi oggetti (dice, prendendo in mano un cellulare, ndr). Oggi, invece, si discute molto sui danni dei social media e i rischi per il nostro cervello. Questi social finiranno per darci dei calci nelle palle? Chissà. Quando scriviamo gli episodi cerchiamo di non lasciarci influenzare da questo modo di pensare. La serie è andata avanti, ma il lavoro non è cambiato: continuiamo a raccontare le nostre piccole storie.