Chiedi chi era Bob Marley | Rolling Stone Italia
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Chiedi chi era Bob Marley

Arriva oggi nelle sale italiane 'One Love', il biopic sul messia del reggae, un buon modo per far scoprire alle nuove generazioni una leggenda della musica. «Bob è un’icona, la sua immagine è riprodotta ovunque, ma l’uomo Marley è ancora un enigma. Questo è un film spirituale: attraverso la sua musica abbiamo potuto trasmettere nuovamente il suo messaggio di unità, pace e amore, che è senza tempo», dice il regista

Kingsley Ben-Adir nei panni di Bob Marley. Foto: Chiabella James/Paramount Pictures

Non si esaurisce l’onda delle biografie musicali al cinema. Merito o colpa, fate voi, di Bohemian Rhapsody, che con il suo miliarduccio d’incasso ha dato il via a un genere. Hanno fatto seguito Elton John, Whitney Houston, arriverà presto Amy Winehouse, l’anno prossimo Michael Jackson e nel 2027 i Beatles divisi per quattro, diretti da Sam Mendes, il regista di American Beauty per intenderci. E poi Bob Marley: One Love, appena arrivato nei cinema di buona parte del mondo e adesso anche in Italia, dal 22 febbraio distribuito da Eagle Pictures, forte dei 90 milioni di dollari incassati in pochi giorni. Un gran risultato, soprattutto tenuto conto che in fondo del profeta del reggae, morto per un tumore nel 1981, si erano un po’ perse le tracce. La comunità musicale dei ritmi giamaicani è chiusa e non numerosa come poteva essere anche solo vent’anni fa, e Bob è diventato più un’icona delle magliette del mercato di Camden Town che una leggenda al pari di Freddie Mercury.

Bob Marley: One Love | Dal 22 febbraio al cinema

Eppure, evidentemente, l’operazione ha funzionato, una riscoperta interessante che vedremo se funzionerà anche sul mercato italiano. Intanto ha funzionato la scommessa di Reinaldo Marcus Green, regista che con il “tratto da una storia vera” si sta costruendo una carriera, soprattutto dopo Una famiglia vincente – King Richard, storia del papà delle sorelle Williams diventata doppiamente celeberrima per lo schiaffo di Will Smith a Chris Rock agli Oscar. Bene quindi che cerchi di far dimenticare l’infausto evento con i fatti.

Per One Love Green ha scelto un punto di partenza molto preciso, come ci ha detto quando lo abbiamo incontrato a Londra: «Avvicinarsi ai testi è stata la vera scoperta del film per me. Conoscevo la musica di Bob, sono cresciuto con le sue canzoni in casa, ma non le avevo mai veramente analizzate, non sapevo da dove venissero quelle parole, e anche della sua vita sapevo poco. Quindi parte del mio viaggio è stato capire cosa Bob ci abbia realmente detto, cercando di avvicinare il pubblico al suo percorso, scoprire chi fosse quell’uomo, perché cantava, dove cantava, com’era la Giamaica, com’era la sua lotta, com’è stata la sua infanzia, scegliendo una finestra temporale per concentrare tutto in due ore. Il periodo della genesi di Exodus è stato quello di maggior creazione musicale, è considerato uno dei più grandi album del XX secolo. Purtroppo non avevamo a disposizione il materiale che ha avuto Peter Jackson per il suo documentario sui Beatles, quindi abbiamo dovuto fare molte ricerche per cercare di ricostruire tutto nella maniera più vicina alla realtà possibile».

Kingsley Ben-Adir sul set con il regista Reinaldo Marcus Green. Foto: Chiabella James/Paramount Pictures

Il film parte nel 1976, alla vigilia dell’attentato alla vita di Bob Marley, durante il quale rimase gravemente ferita anche sua moglie Rita. Da qui si ripercorre la vita del cantante con una serie di flashback per scoprire la sua infanzia e i suoi inizi, la storia con Rita e l’approccio con la dottrina rastafariana. Il presente è contraddistinto dal lavoro di creazione e produzione di Exodus a Londra, periodo segnato anche dalla diagnosi del tumore che lo avrebbe poi ucciso, e il successivo tour, fino al ritorno in Giamaica, dove era molto più di un cantante, ma una guida spirituale per la nazione, una figura di equilibrio tra le forze in campo. Insomma, una celebrazione a tutto tondo, che ricostruisce con dovizia di particolari quei momenti chiave.

«Fortunatamente avevamo accesso alla famiglia e ai suoi collaboratori più stretti, a partire da Neville Garrick, il direttore artistico di Bob, che ci ha permesso di capire anche come fossero i suoi concerti, dato che c’è pochissima documentazione filmata e quella che c’è è di pessima qualità. Le testimonianze di chi lo conosceva per me erano fondamentali per i dettagli e le sfumature del personaggio: la sua cadenza, come camminava, come parlava, dove si sedeva. Sono dettagli che non puoi ottenere guardando un’intervista su YouTube, ma che solo i membri della sua famiglia e quelli che lo conoscevano intimamente possono darti. Sapete come rideva Bob, cosa lo faceva ridere, che cosa gli dava la carica, come scriveva la sua musica? Erano queste le domande che cercavo. Ricordo che stavo preparando una scena in cui Bob veniva prelevato all’aeroporto. Ho fatto sedere l’autista davanti e ho messo Bob dietro e il figlio Ziggy, che era sul set, ha detto: “No, no, no, Bob non vuole”. Bob non vuole sedersi dietro. Questo ti dice molto, sono stati questi dettagli a fare la differenza».

Foto: Chiabella James/Paramount Pictures

Certamente l’hanno fatta per Kingsley Ben-Adir, visto di recente in Barbie e scelto per impersonare Bob Marley sullo schermo. Quando lo abbiamo incontrato, l’attore britannico ci ha tenuto a sottolineare che «il mio accento giamaicano era inesistente, non canto e non suono, quindi ci sono state davvero tante cose su cui ho dovuto lavorare». E queste erano le meno importanti, perché quello che davvero contava era conoscere alla perfezione l’uomo, non la leggenda. «Per questo ho sempre avuto la disponibilità della famiglia, ogni volta che ne ho avuto bisogno nel corso di questo viaggio. L’obiettivo non è mai stato replicare Bob, sapevamo tutti che era impossibile. La conversazione era incentrata su come trovare il suo spirito, la sua umanità, la sua vulnerabilità. Ho parlato con tante persone che lo conoscevano sin da bambino, i suoi amici dell’adolescenza che lo frequentavano prima che diventasse famoso, e anche gente che ha lavorato con lui per sei mesi in tournée. E quello che per fortuna non viene fuori nel film è il terrore che avevo addosso nell’affrontare questa montagna, una paura che è stata anche la più grande motivazione a non mollare».

Lashana Lynch e Kingsley Ben-Adir. Foto: Chiabella James/Paramount Pictures

Molto importante è naturalmente il rapporto con Rita, interpretata da Lashana Lynch (la Maria Rambeau di Captain Marvel e la letale agente che affianca James Bond nell’ultimo valzer di Daniel Craig), ma ancora di più è stato cercare di trasmettere i valori universali che la musica di Bob Marley veicolava, come spiega bene Reinaldo: «Bob è un’icona, la sua immagine è riprodotta ovunque, ma l’uomo Marley è ancora un enigma. Questo è per molti versi un film spirituale, perché attraverso la sua musica abbiamo potuto trasmettere nuovamente il suo messaggio di unità, pace e amore, che è senza tempo. Cresciuto povero, senza una casa, in un Paese dilaniato da lotte politiche, è andato avanti ed addirittura risorto. È ancora oggi un esempio, lo è per i ragazzi che vivono nelle favelas del Brasile che possono riconoscersi e trovare speranza, ispirazione. Ed è la sua musica che ha questo potere, è la più grande delle terapie. Se hai avuto una brutta giornata, ascolta Bob. Se hai avuto una buona giornata, ascolta Bob».

Kingsley Ben-Adir e Lashana Lynch. Foto: Chiabella James/Paramount Pictures

Non viene tralasciato neanche uno degli aspetti più iconici della figura di Marley, il suo amore per il calcio, che ha aiutato Kingsley ad avvicinarsi ulteriormente al personaggio. «Il calcio aveva un significato profondo per lui, e questa cosa ci accomuna. Sono ossessionato dalle partite del giorno in Premier League e penso che quando ci si trova a guardare un grande incontro è perché si uniscono in quei 90 minuti la preparazione di mesi, i talenti individuali dei giocatori e la visione dell’allenatore. Credo fosse la stessa idea che aveva Bob, che ci sia qualcosa che deve unirsi a tutte le cose, a tutta la preparazione di mesi e a tutti i talenti individuali per veder nascere o lavorare o vedere il piano dei grandi manager. Il calcio può diventare, sai, una delle cose più belle. Credo che Bob lo vedesse nella stessa maniera e che trasportasse questa concezione nella vita, in cui era molto disciplinato».

Kingsley Ben-Adir nei panni di Bob Marley. Foto: Chiabella James/Paramount

La cura mentale e fisica della persona che aveva Bob Marley è un aspetto ben sottolineato nel film e a cui Reinaldo Marcus Green teneva molto. «Bob approcciava la creazione musicale come fosse un atleta professionista. Svegliarsi alle 5 del mattino e andare a correre non era un caso. Si teneva in forma per mantenere la sua mente in forma e faceva attenzione a tutto ciò che introduceva nel suo organismo, perché si considerava un uomo che aveva una missione. Nulla era arbitrario. Non c’erano errori. È interessante vedere come Bob sia sempre rilassato nelle interviste, ma in realtà non lo era mai. Quando si trattava di fare musica era un militante, un aspetto che non conoscevo e che ho trovato particolarmente interessante perché lo rende molto umano: non è una persona perfetta, ma come una volta mi ha detto Ziggy, aveva uno scopo perfetto. E lo penso anch’io. Questo è ciò che lo rende così intrigante. Bob era il suo messaggio».

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