Per scoprire le origini del rapporto di Christoph Waltz con James Bond bisogna risalire alla sua infanzia. Cresciuto in Austria, l’attore, 58 anni, da ragazzino guardava i film di 007 al cinema. Come molti della sua generazione, aveva ricevuto in regalo un’Aston Martin DB5 giocattolo, la replica in miniatura di quella che è probabilmente l’auto più famosa del mondo: era venduta con un sacco di gadget, tra cui un seggiolino eiettabile. Due volte vincitore dell’Oscar come miglior attore non protagonista per Inglourious Basterds (2009) e Django Unchained (2012) di Quentin Tarantino, in Spectre Waltz interpreta Franz Oberhauser, un uomo dal misterioso passato.
Ti avevano regalato l’Aston Martin perché eri un fan di James Bond, o solo perché era un bel giocattolo?
Me l’hanno regalata perché esisteva. Certe cose emergono quando vengono innestate nella pop culture. Io lo desideravo. Lo desideravo, perché era James Bond. All’epoca non avevo un’idea chiara di chi o cosa fosse James Bond, ma è questo il suo fascino: come diventa parte del tessuto culturale. Il primo Bond è del 1962, e io avevo 6 anni. Sapevo che c’era. Non potevo ancora andare a vederlo al cinema, ma 10 anni dopo sì. Da allora non ho più smesso, e quelli che avevo perso li ho recuperati in videocassetta.
Roger Moore era il Bond di turno, quando eri un ragazzo.
Sì, il fulcro della mia iniziazione a James Bond è stato Roger Moore.
Il Bond di oggi è un uomo molto diverso, non credi?
Mi piace il fatto che il Bond di Daniel Craig sia più silenzioso. È inquieto, per non dire tormentato. Già in Skyfall è possibile capire come sia ossessionato dal suo passato e dagli eventi che lo hanno fatto diventare ciò che è. Ha la consapevolezza di essere un assassino. E non avevo mai sentito chiamare Bond un assassino, prima. Era sempre una spia. Prima tutto ruotava intorno alle ragazze, ai bikini gialli! Il nuovo Bond mi piace, insomma.
Per te quindi è un buon momento per apparire nella serie: puoi aggiungere profondità al personaggio del cattivo così come succede per l’eroe.
Le cose cambiano, e nel caso di Daniel è stata una scelta consapevole. È quello che hanno cercato di fare con questi film, apparentemente, ed è stata un’evoluzione interessante. Sono curioso di sapere cosa succederà in futuro. Non so quanti altri film farà Daniel, ma credo si possa dire con certezza che non andrà avanti per sempre, e qualcuno alla fine lo sostituirà. Si spera che sia tra molto tempo, ma quando succederà sarà una bestia del tutto diversa. Sarà interessante vedere il cambiamento.
Spesso, nei film, il cosiddetto cattivo non percepisce se stesso necessariamente come cattivo.
Hai ragione, quella che uno ha di sé rimane sempre un’opinione. E non si può simulare un’opinione.
Quindi come si traduce, questo, in Spectre? Oberhauser, il personaggio che interpreti, deve essere consapevole di compiere azioni malvagie.
Di nuovo, per quale motivo il cosiddetto cattivo deve restare ancorato al passato, se l’eroe si accorda secondo i tempi e la percezione corrente? Perché il cattivo deve restare fermo agli anni ’60? Non avrebbe senso. Anche il cattivo deve essere all’altezza dell’occasione. Negli anni ’60 e ’70 c’era la Guerra Fredda, la minaccia nucleare era onnipresente, quindi i cattivi erano pronti a distruggere il mondo con una bomba atomica. Oggi non è più così. Oggi c’è l’informatica, c’è la trasparenza dell’individuo, la manipolazione degli eventi sociali, la sorveglianza. In questa storia c’è ancora un aspetto nazionale. È un retaggio della Guerra Fredda, una prospettiva culturale inglese. Nel continente non ci preoccupiamo così tanto del concetto di nazione.
È stata una decisione facile, quella di salire a bordo di un film di James Bond?
Di natura sono una persona molto scettica, la trovo una prospettiva sempre valida. Ma cinque o sei anni fa avevo incontrato Michael e Barbara (G. Wilson e Broccoli, i produttori del film), siamo rimasti in contatto e la cosa ha preso forma quasi naturalmente.
Quindi le trattative per unirti alla serie sono iniziate molto tempo fa?
Non c’era niente di concreto, all’inizio. Con i Broccoli, i produttori, l’importante è partire con lo spirito giusto, e tutto il resto viene da sé. È la cosa straordinaria di loro. Bond è una delle poche cose in cui l’intenzione viene ancora prima di tutto il resto. Poi ovviamente è anche una questione di soldi. Questi film sono molto costosi, quindi hanno bisogno di fare soldi. Ma per i produttori tutto ruota intorno alle intenzioni.
E loro non hanno intenzione di compromettere i loro ideali.
Non ne hanno mai dato l’impressione. Non prendono decisioni dettate da ricerche di mercato o cose del genere. No, questo è Bond. Loro conoscono Bond meglio di chiunque altro. I Broccoli ci hanno vissuto dentro, addirittura ci sono nati dentro. Sono già alla seconda generazione, e una terza è in arrivo.
Cosa puoi dire di quella riunione della Spectre che si vede anche nei trailer? Quelle scene sono talmente iconiche che dev’essere stato necessario inventarsi qualcosa di nuovo.
È una scena straordinaria. Per l’ambientazione si sono ispirati a un palazzo di Napoli, e hanno costruito una sala magnifica ai Pinewood Studios. Una stanza enorme piena di gente interessante, che è lì per una ragione precisa e ha bisogno di saper cosa fare. E qui succede la cosa meravigliosa dei film di Bond. Tutti entrano subito in sintonia con il contesto. Tutti cercano di essere all’altezza della situazione, e hanno un’idea chiara di come muoversi, di come contribuire. Tutti riescono ad avere uno scopo, e questa è la dimostrazione dell’importanza di Bond nella nostra cultura.
Com’è stata l’esperienza di girare il film in Marocco?
Difficile, perché faceva molto caldo. Ma io avevo solo mezza giornata di riprese, quindi mi è andata bene. Gli altri, invece, sono rimasti lì per diversi giorni e c’è stata anche una tempesta di sabbia, e sai cosa significa? Che tutta l’attrezzatura andava pulita ogni sera. Il problema è la sabbia fine che si deposita nelle lenti, e per toglierla ci vogliono ore. E il giorno successivo la troupe doveva stare ore e ore in piedi con 40 gradi! Per loro è stata molto più dura che per me.
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