Il suo ufficio è pieno di musica: dai poster di gruppi come gli Who alle foto delle esperienze Tv passate fino ai premi dell’Eurovision Song Contest, copie del riconoscimento originale nel caso si rompesse. Claudio Fasulo è il responsabile Rai del Festival di Sanremo, ma anche colui che ha voluto strenuamente che l’ESC sbarcasse nuovamente nella schiera degli eventi mediatici della televisione pubblica. Dopo essere stato autore di programmi importantissimi per i grandi del piccolo schermo, da Fiorello a Panariello, da Gianni Morandi a Raffaella Carrà fino ad Adriano Celentano, è adesso Vicedirettore della Direzione Intrattenimento Prime Time e segue la kermesse della Città dei Fiori targata Carlo Conti. In pratica, è l’uomo degli eventi della Tv pubblica. Non solo: Fasulo è pure nella commissione selezionatrice di Sanremo Giovani come giurato fuori onda proprio insieme al direttore artistico. Mentre il 18 dicembre scopriremo i quattro finalisti che saliranno sul palco dell’Ariston, ci dedica un po’ del suo tempo per fare un tuffo nel presente e nel passato della manifestazione più amata dagli italiani, senza dimenticare i grandi show di cui ha fatto parte.
Per lei è un ritorno a Sanremo. Ne è stato responsabile dal 2015 al 2022 compreso, mentre gli ultimi due anni ha saltato il turno.
Sì, sostanzialmente sono stato in panchina. E adesso torno a fare il responsabile del Festival.
In questi due anni cosa ha fatto?
Ho fatto un sacco di bei programmi, non ultimo Cento, che ha raccontato un secolo di momenti iconici della Rai. L’esperienza clou è stata l’elemento nuovo Viva Rai2! con Fiorello. Quindi, in maniera indiretta, ho avuto a che fare con la kermesse: nel 2023 facevamo i collegamenti, mentre nel 2024 siamo stati nel glass fuori dall’Ariston con Viva Rai2! Viva Sanremo! Su Rai 1.
Cosa rappresenta per lei il Festival?
Venendo da otto anni come responsabile, chiaramente il Festival ti prende, sei una specie di posseduto. Si lavora per 51 settimane all’anno e la 52esima sei in onda. Quindi sì, è stato bello rientrare, e l’auspicio è che quello del 2025 sia in continuità con la gittata del cannone di questi anni.
Vale a dire?
Dal 2015 a oggi Sanremo è progredito, si è evoluto, diventando sempre di più patrimonio degli italiani: appartiene a classi sociali e pubblici differenti. Il lavoro di questi anni è importante sia dal punto di vista mediatico – grazie anche alla digitalizzazione – sia dei contenuti editoriali, come la progressiva sovrapposizione delle playlist della musica realmente ascoltata con quella del Festival. Siamo andati incontro ai giovani e ai maggiori fruitori di musica.
Un discorso iniziato con Carlo Conti e con lei.
Esattamente.
Quindi questo ritorno di Conti è un po’ il coronamento di tanto lavoro fatto in passato?
In questa fase del Festival è bello che torni Carlo, che ha iniziato questa progressione: conosce la macchina della Tv generalista come pochi altri. Ha know-how, continuità e stimoli. Dopo cinque anni di Amadeus bisogna avere sangue freddo, polsi saldi e la voglia e la serenità di mettersi in gioco intraprendendo una sfida impegnativa, ma la più stimolante di tutte. È bello giocare in Serie A, anche se più difficile.
Lei questa cosa come la vive?
Se un giorno, trent’anni fa, mi avessero detto che sarei diventato responsabile del Festival di Sanremo, mi sarei messo a ridere.
Perché?
Perché è la grande passione che diventa la tua professione. Non c’è mai stata una mattina in cui ho pensato: vado a lavorare.
E cosa pensa, allora?
Penso di andare a rispettare degli impegni: ho delle responsabilità con i miei interlocutori, ho una quotidiana performance tesa a dare il meglio di me. Sono proprio felice di avere questo genere di “problemi”.
Chi deve ringraziare?
Io devo ringraziare, per questo percorso, tante persone. Feci il mio ultimo Festival da autore con Fabio Fazio, nel 2013. Una kermesse bellissima, innovativa, fighissima, che vide Marco Mengoni vincitore con L’essenziale. Al termine di quell’edizione Giancarlo Leone e Rosanna Pastore, all’epoca rispettivamente Direttore e Viceddirettrice di Rai 1, mi chiamarono. Ero convinto mi volessero parlare del prossimo Festival.
E invece?
Mi chiesero di entrare in Rai. E Fabio Fazio, bontà sua, disse: “Ok, perdo un autore, ma voglio acquisire un capo struttura”. Così passai da una sedia all’altra del tavolo senza soluzione di continuità.
Si occupò, quindi, della kermesse 2014.
Quell’edizione non fu memorabile, ahimè. Non andò bene. Ma il signor Carlo Conti, l’anno successivo, fece il mio nome per essere responsabile. Grazie a lui sono entrato in questa pista dove ho avuto la fortuna e la soddisfazione di correre per alcuni anni.
La sua è una carriera fondata sui fatti, da uomo che ha sempre lavorato sul campo, una sorta di “ministro tecnico”.
Ho avuto la fortuna di lavorare con squadre gratificanti e molto intense. Ho avuto direttori di tutti i generi e provenienze. E ora sono seduto nell’ufficio di Mario Maffucci, il primo a credere in me indipendentemente da Fabrizio Frizzi, mio cugino, con cui iniziai i primissimi lavori. Essere seduto qui emoziona tanto. Sono entrato nel 2013 e, oltre al Festival, ho fatto prime serate fantastiche ed esperienze meravigliose come Ballando con le stelle.
Che quest’anno ci ha regalato un’edizione da record.
Sono socio fondatore del programma. Come autore ho firmato le primissime stagioni con Milly. Ballando è un’esperienza unica. È la convergenza di vari generi: gara sportiva, musica, performance dal vivo, c’è l’emotainment, la grafica, la regia, la tecnologia e i social, visto che siamo stati i primi a fare le votazioni dal web. La somma di tutto questo è diventato un prodotto che il mondo ci invidia, ma che soprattutto il mondo di Ballando con le stelle ci invidia.
Cioè?
A giugno, a Londra, la BBC organizza un raduno delle varie versione nazionali di Strictly Come Dancing (titolo del format originale, ndr). La Carlucci è considerata moltissimo perché la versione italiana è un punto di riferimento per la stessa Tv pubblica britannica. Il format originale dura un’ora, ma noi, per riempire un palinsesto in maniera industriale, abbiamo dovuto lavorare sulle declinazioni e i tentacoli di questo bellissimo mostro, creando un prodotto di una completezza rara.
In questa edizione il cast è fortissimo, e la semifinale ha raggiunto il 29% di share.
È frutto del lavoro in progressione. Milly Carlucci con tutta la sua squadra, con la Rai e Ballandi, lavora per apportare in ogni edizione upgrade inediti allo show. Milly, tra l’altro, per 365 giorni all’anno fa casting: se ti incontra per strada la notte di Natale ti chiede se vuoi fare Ballando l’anno prossimo. È una battuta, ma neanche poi troppo. Così è arrivata a cast tanto strutturati e articolati. I concorrenti sono selezionati come fossero personaggi di una commedia: c’è un lui, una lei, l’antagonista, quello divertente, quello problematico, ruoli che Milly riesce a sviluppare nella maniera migliore. Un cast come quello di quest’anno è conseguenza della tessitura fatta nel lavoro di semina delle relazioni, anno per anno. Risultato? 19 edizioni e sembriamo ancora dei ragazzini.
Altri punti di forza?
Un’attenzione all’apertura e alla possibilità di irradiare a più pubblici il prodotto.
Torniamo a Sanremo. Si parla spesso di donne al timone della manifestazione, ma di fatto in 75 edizioni ci sono state solo Loretta Goggi, Raffaella Carrà, Simona Ventura e Antonella Clerici. Ma Milly Carlucci?
È una bella ipotesi.
Milly dice sempre di avere Ballando e che Sanremo sarebbe, comunque, un grosso impegno.
Sì, perché è una grande professionista e una donna intelligente: ha creato una competenza fuori dall’ordinario. Io l’ho conosciuta a Scommettiamo che…? e lei, disciplinatamente, stava sul divano con gli ospiti. Non dimentichiamoci che Milly è un’atleta e la cultura sportiva fa la differenza: insegnamenti che si portano nella vita come modus operandi. Noi per scherzare la chiamiamo il generale, l’ammiraglio, ma chi lavora con lei si trova davanti una persona di una bravura straordinaria. Quindi sicuramente potrebbe tentare l’esperienza sanremese. Poi è chiaro che, ormai, conduzione e direzione artistica sono diventate una modalità consolidata e radicata. E qui entrano in gioco desiderata e abilità che ciascun artista vede in sé stesso. Uno può dire che sa di televisione, ma che non se la sente di scegliere i cantanti. A Milly la competenza musicale non manca: l’ho visto lavorandoci fianco a fianco, settimana per settimana. Lei come direzione artistica è una bella idea.
Restiamo sul Festival, ma su quello del 2025. Sarà lungo o no?
Non si esibiranno mai più di 30 cantanti per serata. 30 la prima e l’ultima, 17 la seconda e la terza, e la quarta ci sarà la finale dei Giovani e le cover. Qui Carlo ha avuto la bella idea di invitare i big a duettare tra loro. In questo modo le performance saranno meno.
I big dovevano essere 24. Cosa ha fatto salire il numero?
Carlo aveva inizialmente auspicato di avere numeri diversi, ma la grande qualità dei brani lo ha fatto sentire responsabilizzato: dai grandi autori alle storie ai brani pop. Capisco la difficoltà di dire dei “no”: almeno altre dieci canzoni avrebbero meritato di stare sul palco dell’Ariston.
Lei le ha ascoltate?
Sì.
Ce ne sono alcune che, una volta sentite, ha visto sul podio?
Sì, sì, sì. Sai cos’è? L’importante è scindere il proprio gusto personale dalla visione prospettica professionale. Questa è una cosa che, da talent scout e giurato – ruolo che ho ricoperto a Sanremo Giovani – ho capito essere un passaggio fondamentale. Tornando a noi, ci sono tre, quattro canzoni che mi sono piaciute subito, ma non posso dirti quali. Ammiro molto il lavoro del direttore artistico e, in generale, per fare una battuta, lo invidio anche un po’ come ruolo generico. perché ha la possibilità – e Carlo lo ha fatto molto bene – di creare un patchwork eterogeneo.
Be’, direi che questa cosa è importante.
Fa parte di quel ruolo sia dal punto di vista di chi sta costruendo un programma televisivo, un affresco che deve risultare gradevole e gradito al pubblico, sia come – non è un termine a sproposito – responsabilità culturale: si ha per le mani la possibilità di dare una panoramica della cultura leggera contemporanea, che parla alla gente. Si è responsabili dei mondi raccontati. Fa tremare i polsi, ma è un bel lavoro da fare.
Lei è stato autore dei Festival di Sanremo nel 2006 con Panariello, nel 2007 con Baudo e Hunziker, nel 2008 con Baudo e Chiambretti e nel 2013 con Fazio e Littizzetto. Quello che, come autore, ricorda con maggior piacere?
Quello del 2008, condotto da Pippo Baudo e Piero Chiambretti, è stata un’edizione che non ha riscosso l’impatto che avrebbe meritato. Dal punto di vista della creatività era zeppo di idee come raramente ne abbiamo fatti, ma poi entrano in ballo altre componenti. Sono particolarmente legato a quel Festival pure perché sono salito nell’ordine dei titoli di testa: non risultavo più sotto “scritto con”.
Un’altra edizione complessa?
Ricordo con un brivido lungo la schiena quella con Giorgio Panariello, una nave nel mare in burrasca. Era il mio primo Festival. I giornali fecero a pezzi pure noi autori. In quelle occasioni bisogna gestire lo stress, aspetto molto importante nel nostro mestiere: mantenere la serenità, mostrarsi positivi quando dentro vorresti bere solo della cicuta. È necessario essere sempre razionali e fronteggiare le difficoltà perché si è al timone della nave. Se si perde la testa, è un problema per tutti quelli con cui condividi il lavoro. Un Festival comporta una enorme quantità di pressioni positive e negative. Si sta sotto questa valanga dalla mattina alla sera e si deve essere molto strutturati.
Che mi dice dei conduttori sotto stress?
Ho lavorato con Fazio, Conti, Baglioni e Amadeus. In maniera diversa li ammiro tutti per la capacità di gestire lo stress. Se si è l’epicentro del sistema, bisogna essere razionali, lucidi, cortesi, decisi. Devi sapere quando intervenire e quando si può lasciare scorrere il fiume perché fa parte della gestione delle cose. Sono stati fantasticamente bravi. Lo stress è il pane quotidiano. Se vuoi giocare quel campionato, devi gestirlo. Fazio, Conti, Baglioni e Amadeus sono dei fenomeni.
Qualche aneddoto divertente?
Primo Festival da capostruttura, nel 2014. Nella serata iniziale apriva Ligabue, che, accompagnato da Mauro Pagani, omaggiava Fabrizio De André con Creuza de mä. Si blocca il sipario tra il pubblico e l’orchestra. Non potevamo fare il Festival. I primi dieci minuti sono passati così, non ti dico cosa successe dietro le quinte. A questo si aggiunsero due persone che minacciavano di buttarsi dal balconcino dell’Ariston, iniziando una trattativa simil-Baudo con Fazio. Ho perso dieci anni di vita.
Altri aneddoti?
Alcuni colleghi autori ridono molto per quello che ti sto per dire. Quando succede che il Festival è in ritardo, esce fuori il mio passato da autore di studio, mi rimbocco la maniche e aiuto a cambiare le scalette. Adrenalina pura dietro le quinte.
Lei era l’autore che, in gergo televisivo, si definisce “scalettista”.
Esatto. In questo senso, ho un ricordo sullo show Torno sabato di Giorgio Panariello.
Prego.
Il programma era legato alla Lotteria Italia. Mentre leggiamo la scaletta prima della diretta, il direttore di Rai 1 dell’epoca, Agostino Saccà, ci informa che dovevamo dare l’estrazione dei biglietti in testa, altrimenti ci sarebbe stato un problema coi telegiornali. Mancava un’ora alla messa in onda e al volo – con un ispettore di studio e una squadra pazzesca con cui ci capivamo da uno sguardo – mi misi a fare verbalmente la scaletta mentre un collega cambiava le posizioni di ciò che sarebbe successo in diretta. A un certo punto dissi: “Ok, il resto ve lo dico in onda”, e abbiamo fatto così: da un determinato momento in poi, la scaletta la facevamo in diretta. Questa cosa restò mitica. E ce la raccontiamo come dei vecchi tromboni (ride).
Altri ricordi legati al Festival, invece?
Mi sono molto divertito quando, nel 2016, c’era Elton John, un signore abbastanza anziano che stava seduto su una specie di trono dietro le quinte. E aveva un tablet sul quale vedeva la partita della Premier League, essendo un grande tifoso. Dopo un minuto, come se niente fosse, sarebbe salito sul palco e avrebbe cantato Your Song. E mi faceva strano vedere questo signore che un secondo prima vedeva le partite e un attimo dopo ci faceva piangere con le sue canzoni. Mi viene in mente anche il Dietrofestival, montaggio molto asciutto nel quale riuscimmo a trovare, grazie a una telecamera autorizzata e a un nostro autore, il momento in cui Bugo e Morgan stavano litigando prima dell’episodio che passò alla Storia.
Che ne pensa di quel momento?
Nella follia di quel momento, Morgan fece una cosa geniale: cambiare il testo dedicandolo al compare. Quello divenne il cuore del Dietrofestival. Magnifico.
Lei ha lavorato anche nei programmi di Adriano Celentano. Spesso si è parlato di lui come conduttore di Sanremo. C’è mai stato un momento in cui questa eventualità si stava concretizzando?
Ti dico la verità, nei Festival che ho seguito io no. Tutti gli anni speriamo che Adriano esca da Galbiate, sono legato a lui come a uno zio cui voglio bene.
Che tipo è?
Quando ci ho lavorato mi sono reso conto che Celentano è esattamente come me lo immaginavo. Spesso capita che un personaggio in Tv è in un modo e poi, fuori onda, è diverso. Invece Adriano era fantasticamente Celentano anche quando lavoravamo nella sua villa di Galbiate.
Quindi nessuna possibilità di vederlo come presentatore.
Non siamo arrivati così vicini.
L’ospite dei sogni?
Musicalmente parlando sono uno springsteeniano della prima ora. Ho visto Springsteen live dieci volte e quando andò al Festival purtroppo non c’ero. Nella discografia contemporanea mi piace molto Lady Gaga per lo spettro di capacità artistiche così ampio: magari venisse a trovarci.
Recentemente Conti ha dichiarato di aver rifiutato David Bowie in uno dei suoi Festival. Probabilmente sarebbe stata l’ultima apparizione dell’artista.
Io sono un appassionato fan del Duca Bianco e lui, a proposito di Celentano, l’ho avuto ospite a Francamente me ne infischio. Mentre provava in una sala chiamai mio fratello, che mi iniziò al mondo di Bowie, per dirgli che ero a dieci metri da lui. E lì successe una cosa divertente.
Cosa?
Al termine delle prove di Bowie arrivò Pippo Balestrieri – noto direttore di palco che lo scorso hanno è stato premiato a Sanremo in occasione del suo ultimo Festival prima della pensione – e si diresse dal batterista della band dicendogli: “Are you kidding me?”. Lo accusò di non essere il batterista, in pratica. Panico per un minuto. L’uomo dietro la batteria guarda prima Pippo e poi il bassista. Ridono. Si erano scambiati per fare gli “sboroni”, come si dice dalle mie parti. Pippo se n’era accorto.
Lei è anche il capo spedizione dell’Eurovision Song Contest. In alcuni casi le canzoni che trionfano al Festival sono meno adatte di altre per l’evento europeo. Mai pensato di reintrodurre la possibilità – come successe per Nina Zilli, Raphael Gualazzi ed Emma – di mandare alla gara internazionale un pezzo diverso da quello vincitore?
Carlo in conferenza stampa ha detto che sarebbe come mandare in Coppa dei Campioni una squadra diversa dalla vincitrice dello scudetto. È vero, nel novero delle canzoni può capitare ce ne sia una più adatta rispetto alla trionfatrice, ma diventerebbe una gara che interferisce con la competizione principale, indebolendola. Sarebbe un’autoerosione del core business. Può comunque sempre succedere come con gli Stadio nel 2016: vinsero il Festival, ma l’ESC non lo vedevano come roba loro, e ci andò Francesca Michielin con Nessun grado di separazione.
Come commenta la decisione del TAR che ha definito illegittimo l’affidamento diretto del Festival alla Rai da parte del Comune di Sanremo?
Dopo 75 anni di fidanzamento, forse la Rai e Sanremo dovrebbero sposarsi. Mi sembra evidente che la Rai non può fare a meno del Festival, così come il Festival non può fare a meno della Rai. E certamente la Rai ha l’esperienza e la competenza, come nessun altro broadcaster, per realizzare una simile kermesse.
Avrei molte altre domande da farle, ma il tempo stringe. È andato a ritirare il premio Rose d’Or al posto di Fiorello.
Sono giurato del Rose d’Or da quando hanno capito che ero responsabile di Sanremo: il Festival è consideratissimo in Europa. Avevano proposto Rosario come “Performance of the year”, ma Marc Rowland, presidente dei giudici, ha voluto conferirgli il premio alla carriera. Rosario non se la sentiva di venire a Londra: stava per diventare nonno e da grande creativo ha trasformato il suo diventare grandpa nel contenuto della performance.
Lei ha anche seguito tutto il percorso di Alessandro Cattelan in Rai. Come è nata l’idea di portarlo al Festival?
Sono fan di Alessandro dai tempi di Da grande fino alle sue seconde serate. Tutto è nato quando Carlo Conti ha chiesto: “Perché non gli facciamo fare Sanremo Giovani e il DopoFestival?”. Carlo e Alessandro si piacciono e si stimano da sempre. In Da Grande era proprio Conti ad accogliere Cattelan in un loft super tecnologico che era la Rai.
Oltre a Stefano De Martino e Alessandro Cattelan, ben saldi nella “quota futuro” della Rai, quali conduttori le piacciono?
Stefano e Alessandro sono complementari. Mi piacciono molto Giovanni Vernia, Gigi e Ross, Gabriele Corsi e Nicola Savino, con cui feci un bellissimo DopoFestival a Villa Ormond. A tutti loro auguro il meglio.