Come la star di ‘Una mamma per amica’ Kelly Bishop ha trasformato un’infanzia buia in una luminosa carriera | Rolling Stone Italia
The Third Gilmore Girl

Come la star di ‘Una mamma per amica’ Kelly Bishop ha trasformato un’infanzia buia in una luminosa carriera

La veterana di Broadway lanciata dal cult ‘A Chorus Line’ ha appena pubblicato un memoir in cui racconta tutto. Dagli inizi difficili alla serie che l’ha resa una leggenda anche tra gli spettatori più giovani. La Rolling-intervista

Come la star di ‘Una mamma per amica’ Kelly Bishop ha trasformato un’infanzia buia in una luminosa carriera

Kelly Bishop

Foto: Chad Griffith

Per la maggior parte della sua carriera nello showbiz, a partire dal suo debutto a Broadway nel 1975, Kelly Bishop non era interessata a stare sotto gli occhi di tutti. La ballerina-turned-attrice, nota soprattutto per i suoi ruoli in A Chorus Line, Dirty Dancing – Balli proibiti e Una mamma per amica, aveva una passione per l’arte e voleva essere un’attrice fino a quando Hollywood l’avrebbe voluta. Anche ora, all’età di 80 anni, vuole continuare ad accettare nuovi ruoli. Ma nel frattempo ha voluto che la sua vita privata rimanesse tale.

«Non mi è mai interessato essere una star o una grande celebrità, sfilare sui tappeti rossi e apparire sulle copertine delle riviste. Non è una cosa che mi attrae», confessa Bishop a Rolling Stone. «Guardando certi reality show come The Bachelor o simili, tutti vogliono essere una star e la loro idea su cosa sia una star non tiene conto di tutto il lavoro che richiede. Io ho sempre pensato: “Voglio solo lavorare, non voglio preoccuparmi della mia immagine”».

Ma nella sua nuova autobiografia – The Third Gilmore Girl (Gilmore Girls è il titolo originale di Una mamma per amica, ndt) – Bishop si mette a nudo. Nel corso degli anni, racconta l’autrice, molte persone le hanno suggerito di documentare la sua storia, visti i progetti di alto profilo a cui ha lavorato, le leggende del mondo dello spettacolo con cui ha collaborato e persino la sua vita personale difficile: dal divorzio da un marito donnaiolo e dedito al gioco d’azzardo alla successiva relazione con un uomo sposato, fino all’aborto in un’epoca in cui per le donne era un tabù parlarne apertamente.

È stata la creatrice di Una mamma per amica, Amy Sherman-Palladino, a convincerla a mettere tutto nero su bianco. I fan dell’amata serie saranno felici di sapere che Sherman-Palladino ha persino scritto la prefazione del libro di Bishop, raccontando il momento in cui ha deciso di affidarle il ruolo dell’indimenticata matriarca: “Kelly era regale, con la voce di chi ha bevuto troppo whisky e tempi comici perfetti. Si sedette, accavallò le sue favolose gambe da ballerina e aprì la bocca”, scrive Sherman-Palladino a proposito del provino con Bishop. “Dopo tre parole, lo sapevo. Era Emily. Non ci sono state seconde scelte: senza Kelly non avrebbe mai funzionato”.

Nel racconto che rivela tuto della sua vita, la Bishop parla della sua infanzia, raccontando come il padre violento e la relazione tumultuosa dei suoi genitori abbiano finito per essere l’ispirazione per il suo personaggio in A Chorus Line. Parla anche del suo primo matrimonio fallito, delle successive storie d’amore, di un aborto segreto, del sessismo a Hollywood e dei 37 anni di matrimonio con il marito Lee Leonard, morto di cancro nel 2018. Tutto questo le ha insegnato alcune lezioni molto preziose, che è finalmente pronta a condividere.

«[Nel libro] ho scritto di quando ero giovane e vivevo a Los Angeles e ho avuto una vera epifania. Ho pensato: “Sono così fortunata a essere me stessa perché posso stare con me stessa”», racconta Bishop. «È una cosa che dà forza alla tua vita. È così importante amare noi stessi. Non lasciate che sia qualcun altro a definirvi. Cercate di farvi amare dagli altri e, se state facendo cose che non ritenete appropriate, be’, smettetela. Fate qualcos’altro».

Nel suo memoir racconta come il suo personaggio di A Chorus Line – Sheila Bryant, una ballerina che usa il balletto come via di fuga dalla realtà – sia stato ispirato dalla sua vita. Anche il testo della canzone At the Ballet, che parla di un marito traditore che crea dolore e confusione in casa, è stato tratto dalla sua infanzia. Cosa pensa dell’impatto che questo spettacolo ha avuto sul teatro e sulla cultura pop?
Prima di tutto, questo è un vero colpo di ego. È iniziato come un semplice workshop. Non era uno spettacolo e non aveva un titolo. Era solo un esperimento. Volevo passare da ballerina ad attrice, e sapevo che sarebbe stato difficile, quindi ho pensato: “Devo trovare un modo per mostrare alle persone che questo è ciò che faccio e che sono”. Nella mia mente, [A Chorus Line] è una commedia sui ballerini, quindi ho pensato che fosse perfetto, perché sapevo ballare. Ma volevo anche esprimermi come attrice. Il giorno in cui [il regista] Michael Bennett mi ha fatto ascoltare At the Ballet, sono rimasta completamente sbalordita. È una canzone bellissima. Credo che sia la migliore canzone di quel musical. Sapevo che era basata su di me, ovviamente, perché era la mia storia, ma era anche un insieme delle storie di altri ballerini: messe tutte insieme, diventava la storia di Sheila.

Quanto è stato significativo il momento in cui ha vinto il Tony Award per la parte di Sheila in A Chorus Line?
Incredibile, perché non pensavo davvero di vincere. Pensavo segretamente che avrebbe vinto Priscilla Lopez [che ha interpretato il ruolo della ballerina Diana Morales]. Amo Priscilla. Era la mia migliore amica di allora ed è la mia migliore amica di adesso, io sosterrò sempre lei e lei sosterrà sempre me. Il suo personaggio era molto popolare nello show, lei era molto, molto brava e si sapeva che avrebbe vinto. Una parte di me ha pensato: “Be’, sto davvero recitando, perché mi piacerebbe davvero vincere”. Ma avevo accettato l’idea di perdere, perché stavo ottenendo l’opportunità che desideravo tanto e finalmente stavo recitando. Quindi ero disposta ad essere molto generosa e a fare la ragazza adulta, senza rovinarle la serata con il mio broncio. Perciò, quando ho vinto, è stata una sorpresa assoluta. Non avevo pianificato nulla, a cominciare da un discorso, perché davvero non pensavo che avrei vinto.

Kelly Bishop AT THE BALLET Chorus Line

Come pensa che il rapporto con i suoi genitori abbia influenzato la sua vita?
Mia madre è stata molto influente e si è fatta in quattro per darmi l’opportunità di ballare. Mio padre non voleva pagarmi le lezioni di danza. Non che non potessimo permettercelo, ma francamente credo che fosse un modo per punire mia madre, solo per cattiveria. Mia madre era una pianista classica molto brava – probabilmente avrebbe potuto diventare una professionista, se non fosse che era troppo timida per suonare davanti a un pubblico – e da donna intraprendente qual era, si offrì come pianista per la classe della mia scuola di danza. Poi, quando decise di trasferirsi dopo il divorzio, pensò che la California del Nord fosse un buon posto, perché era lì che si trasferivano i miei insegnanti di danza classica, e così partimmo. Mio padre era tutta un’altra cosa. Mi dispiace che si sia trovato nella situazione in cui si trovava. Credo che sia stato soprattutto l’alcol. Poteva certamente essere una persona rispettabile, ma aveva un carattere violento e un vero problema con l’alcol, e la cosa era irrisolvibile. È stata una vera sfortuna.

Nel libro, lei parla di un aborto quando è rimasta incinta dopo il divorzio. Perché ha voluto rivelarlo?
In origine, mentre scrivevo il libro, non c’era. Non era una cosa che volevo condividere con nessuno. Era una cosa molto privata e, per me, molto triste. Volevo lasciar perdere. Ma quando la Roe v. Wade (la sentenza del 1973 che sancì il diritto all’aborto anche in assenza di problemi di salute della donna, del feto e di ogni altra circostanza che non fosse la libera scelta della donna, ndt) è stata cancellata dalla Corte Suprema [nel 2022] ho visto molte celebrità più importanti di me dire: “Ho abortito”. Allora ho pensato di aggiungerlo. Ho deciso di inserirlo perché è un libro e potevo entrare nei dettagli e spiegare esattamente come la pensavo, qual è stato il processo e cosa ho dovuto affrontare. Sono molto favorevole alla scelta. Coloro che sono contrari alla scelta hanno diritto a manifestare i loro sentimenti, ma c’è la sensazione che [pensino] che basti fare un salto e dire: “Vorrei abortire oggi”, e che il medico dica: “Certo, ma ti costerà tanto, vuoi farlo più tardi nel pomeriggio?”. Volevo che fosse molto chiaro all’altra parte che questo non viene scelto in modo irresponsabile da chi pratica l’aborto. Tutti prendono la cosa molto sul serio, ed è per questo che ti fanno aspettare, perché potresti cambiare idea. Ho pensato che [aggiungerlo nel libro] fosse una cosa molto responsabile, e mi ha fatto sentire meglio riguardo all’intero processo, per quanto ci si possa sentire bene. Ho pensato che la gente doveva saperlo.

Nel libro scopriamo anche che nel 2003 lei ha partecipato a una manifestazione pro-aborto a Washington, insieme a Amy Sherman-Palladino e alla produttrice di Una mamma per amica Helen Pai, in onore dell’anniversario della Roe v. Wade. Come è stato essere lì quel giorno?
È stato molto stimolante. Ho delle opinioni politiche – voto sempre, firmo petizioni e faccio cose del genere – ma non sono mai stata un’attivista. La marcia era nell’anniversario di Roe v. Wade ed essendo io cresciuta negli anni Cinquanta, quando l’aborto era illegale e veniva considerato una cosa terribile, odio dirlo, ma rimanere incinta era come prendersi la poliomielite o qualcosa del genere. Finivi nei guai, a meno che non fossi una ragazza ricca e allora trovavano altri modi per aiutarti. Ma sono stata così sollevata quando la Roe v. Wade è diventata legge. È stata una boccata d’aria fresca perché era qualcosa di cui non dovevi più preoccuparti. Volevo celebrare questo anniversario. Sono stata davvero sopraffatta dal numero di persone presenti. Naturalmente mi aspettavo un sacco di donne, e così è stato, ma c’erano anche tante famiglie. Era un vero miscuglio di diversi pezzi di società americana. Ci sono stati tanti discorsi, ma quando si è trattato della marcia vera e propria, è stato tutto tranquillo. È stata una passeggiata molto tranquilla. Una sensazione meravigliosa.

Come si sente in vista delle prossime elezioni presidenziali?
Sono molto emozionata. Non credo di dover spiegare a nessuno che sono una liberale. Punto. Mi piace Joe Biden: penso che sia un uomo molto stimabile, intelligente e di grande esperienza. Ma tutti sapevamo che la sua età era un elemento determinante, e in un certo senso lo capisco: anch’io mi sento molto stanca. Ho 80 anni e lui ha solo un anno più di me. Non è un vecchio decrepito, ma quella sera del dibattito è stato terribile. Mi ha spezzato il cuore. Sembrava completamente perso. Credo che la maggior parte di noi, che ci consideriamo di sinistra, sia rimasta molto scoraggiata. Quando lui per primo ha sostenuto la candidatura di Kamala Harris, è stato un tale sollievo. Ora c’è così tanto entusiasmo. Ero molto preoccupata per i giovani elettori, ma ora sono i primi a voler scendere in campo. Ora c’è qualcuno di veramente intelligente ed energico [in corsa].

E forse la prima donna presidente.
Finalmente. Ricordo quando Hillary [Clinton] era in corsa e alla gente non piaceva. Dicevano: “È così fredda”. E io rispondevo: “Non voglio una fidanzata. Voglio un presidente”. Non dovrebbe essere calorosa, basta che sia una bella testa.

Parlando di donne che non sono calorose ma hanno una bella testa, il ruolo di Emily Gilmore le è arrivato più avanti nella sua carriera, ma ha avuto un impatto duraturo sulla cultura pop. Come ci si sente a sapere di aver toccato così tante vite attraverso Una mamma per amica?
Lo adoro. Ero così sorpresa quando i giovani mi dicevano: “Emily è il mio personaggio preferito”. “Davvero? Non Rory?”, rispondevo io. Non riuscivo davvero a capirlo. Ho amato interpretare Emily. Più ci addentravamo nella serie, più Amy inseriva anche solo un paio di battute che illustravano un po’ più in profondità Emily, le sue insicurezze, la tensione che c’è in lei, il suo cercare sempre di fare la cosa giusta. Ho pensato che tutto ciò l’avrebbe resa molto più vulnerabile. È quello che già io pensavo di lei, ma non ne avevo mai parlato con nessuno. Quando recitavo le battute, dovevo sapere che dentro c’era un essere umano completo.

Non ha usato mezzi termini per dire che Amy e suo marito Dan Palladino hanno lasciato Una mamma per amica prima della settima stagione per un conflitto con la Warner Bros., dicendo che lo Studio “meritava di perdere” la serie a favore di Netflix nel 2014. Come pensa che sarebbe finita la serie originale se Amy e Dan fossero rimasti?
È stata una durissima lotta. Se fossero rimasti per il settimo anno, probabilmente saremmo arrivati a una decima stagione o anche di più. Detto questo, le cose sono andate così. Andavo d’accordo con i dirigenti della Warner Bros., ma ho sempre avuto l’impressione che non sapessero quanto Una mamma per amica fosse diversa dalle altre serie per adolescenti. È stato solo quando Netflix ha comprato la serie e questa è decollata di nuovo che l’hanno capito. Netflix e Warner Bros. hanno collaborato per realizzare quei quattro episodi extra, quindi a quel punto ho pensato: “Ok, Warner Bros. ha capito tutto e ovviamente ne sta raccogliendo i frutti. Stanno tutti guadagnando un sacco di soldi, non gli attori, ma tutti gli altri”. E ora la serie ottiene sempre un nuovo pubblico. Lo trovo bellissimo, perché penso che sia un ottimo prodotto, ha uno spirito positivo. È la storia del profondo amore tra una madre e una figlia, ma è anche molto, molto divertente e intelligente. Più si è intelligenti, più ci si diverte.

Come si è sentita a “rivisitare” Una mamma per amica nello speciale di Netflix Di nuovo insieme, soprattutto dopo la morte nel 2014 del suo amico e partner di scena Edward Herrmann, che interpretava Richard Gilmore, il marito di Emily?
È stata dura. Sapevo già prima di ricevere il copione che sarebbe stato un grande cambiamento per Emily. Tutti gli altri, pensavo, saranno cresciuti e avranno fatto altre esperienze, e le relazioni saranno cambiate. Ma per Emily sarà un mondo completamente nuovo, e così è stato. Nel modo più strano, il fatto di non avere Ed mi ha dato probabilmente la migliore trama, perché Emily era in continua esplorazione. Il padre di Amy era morto [prima del revival] e lei gli era stata molto vicina. Ha potuto attingere al comportamento di sua madre, essendo vedova, per dare forma a questa nuova Emily. In quel periodo è stato terribile per me, perché mio marito era molto anziano e malato. Ogni tanto mi sedevo lì e pensavo: “È una specie di allenamento per la realtà che mi spetterà?”. Naturalmente, non si può mai prevedere o prepararsi per questo, non si sa [come ci si sente] finché non ci si trova in mezzo. Ma nel complesso è stata un’esperienza meravigliosa per me. Amy ha fatto in modo che funzionasse, e ora è impegnata in altre cose. Il fatto che Una mamma per amica sia finito in quel momento ha dato l’opportunità di andare avanti a lei e anche a tutti noi, in teoria.

Kelly Bishop (Gilmore Girls: A Year in the Life)

Vi riunireste mai per un altro capitolo di Una mamma per amica?
Farei un altro capitolo, ma credo che questo dipenda sempre dai personaggi principali. Dovrebbe funzionare per Lauren [Graham], Alexis [Bledel] e Scott [Patterson] in primis, e poi per me. Siamo stati tutti molto orgogliosi di quella serie, perché era un prodotto di qualità. Penso che saremmo felici di tornare indietro e fare un altro tentativo. Ma non sono sicura che Amy e Dan sarebbero così interessati, perché stanno espandendo i loro orizzonti.

Nel suo libro parla di come Amy abbia scritto una parte per lei nella serie Amazon The Marvelous Mrs. Maisel dopo la morte di suo marito e lei le abbia espresso il desiderio di essere distratta dal lavoro. Cosa significava per lei?
Il mio agente mi ha chiamato e mi ha detto che il casting mi aveva offerto questo ruolo, e io ho pensato: “Non è detto che l’abbia fatto Amy, potrebbe essere che sia stato solo un caso”. Così le ho mandato un messaggio e le ho chiesto: “È una cosa che vuoi che faccia?”. Lei mi ha risposto: “Sì, sì, sì”. Poi ho capito che era quasi un risultato diretto del fatto che, quando avevo pranzato con Amy e Lauren [Graham] qualche settimana prima, avevo parlato del vuoto della mia vita, e allora Amy aveva pensato: “Oh, io so come risolverlo”. Il personaggio che ho interpretato era uno spasso. The Marvelous Mrs. Maisel è una serie fantastica, e siccome nelle casse di Amazon c’erano molti più soldi, credo che Amy abbia detto: “Ho bisogno di questo e di quello”, e loro hanno detto: “Ok”. Ogni episodio sembrava un film completo. Guardate quelle scene di folla con 600 persone. E tutte quelle comparse venivano pagate. La produzione di quella serie era di altissima qualità.

Lei ha raccontato numerosi casi di sessismo subiti nel corso della sua carriera, opponendosi ai produttori che volevano farle indossare costumi più sexy del necessario per i ruoli che interpretava, lottando per essere pagata quanto i suoi colleghi maschi, sentendosi emarginata dagli uomini in posizioni di potere. Come pensa che il trattamento delle donne nell’industria cinematografica sia migliorato nel tempo?
Sappiamo che c’era una cosa chiamata casting couch (il “divano del produttore”, ndt). Era così. Gli uomini potenti potevano chiedere certi favori se volevano un ruolo. Credo che oggi le donne siano più potenti di un tempo e si sentano meno disposte a sopportare tutto questo. È meno probabile che dicano: “Va bene”. La cosa davvero interessante è che ora sono più propense a dire: “Ehi, gente, sapete cosa mi è appena successo?”. Il movimento #MeToo ha davvero cambiato le cose. Ho parlato con le mie coetanee, le donne che lavoravano nel settore, e questo era più o meno il modo in cui succedeva ovunque negli anni ’40 e ’50, e persino nei primi anni ’60. Le donne dovevano sopportare di essere chiamate “ragazze”. Dovevano sopportare di essere chiamate “cara”, di ricevere pacche sul sedere, o l’abbraccio da un produttore come saluto e poi rendersi conto che era solo un po’ più di un abbraccio. Abbiamo semplicemente sopportato, e credo che le donne ora non lo faranno più. Penso anche che gli uomini, si spera, saranno molto più consapevoli: oggi sanno che non è un comportamento appropriato, e tutto questo è un grande cambiamento.

Cosa spera che le persone traggano dalla storia della sua vita?
Vorrei che le persone seguissero i loro sogni, che si mettessero in gioco se ci credono davvero. Ho questa teoria: se sei bravo in qualcosa, la ami; e se ami qualcosa, sei bravo. Trovate ciò che amate e, se non funziona, è sorprendente come spesso ci sia qualcosa accanto alla cosa che volevate fare che è complementare al vostro sogno, e potrete pure guadagnarci sopra, essere assunti, e trarne comunque piacere. Che regalo bellissimo essere pagati per qualcosa che vi piace fare.

Da Rolling Stone US

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