Con 2 deca – La origin story degli 883 | Rolling Stone Italia
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Con 2 deca
La origin story degli 883

Arriva su Sky e in streaming su NOW ‘Hanno ucciso l’Uomo Ragno’, la serie di Sydney Sibilia che racconta la “storia leggendaria” di due antieroi di provincia diventati supereroi di una nazione. Abbiamo incontrato il regista, che ai ‘coming of age’ (e ‘of pop culture’) è abituato, e i due protagonisti: Elia Nuzzolo (alias Max Pezzali) e Matteo Oscar Giuggioli (Mauro Repetto). Tra sogni, musica e la voglia, ancora, di cambiare tutto

Foto: Lucia Iuorio/Sky Italia

È difficile parlare degli 883 senza attaccare una citazione a ogni pensiero. “E poi all’improvviso…”: non importa cosa sia successo nella vita reale o nell’aneddoto che stiamo seguendo, la conclusione di questa frase la conosciamo già tutti. Non so se Max Pezzali e Mauro Repetto (e poi solo Pezzali, ma la storia è nota) siano riusciti a usare più parole del Wu Tang Clan, però hanno scelto sempre quelle giuste.

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Di solito lo si dice degli “artigiani”: cantautori, poeti e cotillon. Ma il labor limae catulliano, per restare somewhere in northern Italy, la fatica del tornire termine per termine, non vale per due sfigati di Pavia che dalla provincia hanno conquistato la cultura (pop, e per questo bella) di tutta Italia. È il 1991 e Non me la menare esplode come il capriccio di chi – un po’ a ragione, un po’ per esasperazione – di quello che ha intorno non sa più che farsene. “Non me la menare, non capisco cosa vuoi / Tanto lo sapevi che non ero come voi“. Qui-e-ora specifico che risuona attraverso il tempo e lo spazio. Le mode passano, lo scazzo mai.

È difficile, dicevo, parlare degli 883 senza abbandonarsi ai giochi di retorica, ma da qualche parte si deve iniziare. Hanno ucciso l’Uomo Ragno – La leggendaria storia degli 883, la nuova serie firmata Sydney Sibilia (la trilogia di Smetto quando voglio, L’incredibile storia dell’Isola delle Rose, Mixed by Erry) e prodotta da Sky Studios e Groenlandia, decide di cominciare nel 1894, sempre dalle rive del Ticino. Un certo genio dai capelli spettinati, uno che cambierà la Fisica per sempre, si trasferisce a Pavia con la famiglia. Vi rimarrà due anni, e lì getterà le basi della relatività generale.

Questo non trasforma la provincia in una terra di dèi ed eroi: questa non è l’epica greca. Anche perché gli ambienti piccini, si sa, per le grandi idee non son fatti. Nel ristretto l’intuizione può nascere, poi però si deve divincolare, prendere rotta verso casa di Dio – che un po’ in tutto il Nord Italia vuol dire andarsene lontano, ma così lontano… –, fare tutto il giro e tornare da dove si è cominciato. La storia di due qualunque che si sono incontrati per una serie di coincidenze dà vita al gruppo pop che dimostra che, per arrivare ai cuori e al cuore della questione, si può anche parlare come si mangia.

«Amavo le canzoni degli 883, anche se non le capivo tutte benissimo. A Salerno, che è da dove vengo io, non si sapeva che cosa volesse dire “non me la menare”. Ma menare che cosa? Da quelle parti non significa nemmeno picchiare, bisogna salire fino a Roma», dice Sydney Sibilia. «Però erano bellissime. Quando da più grande ho capito i testi, ho visto che erano di una sincerità spiazzante, emozionante. È stato un cambiamento forte, il cantante fino a quel momento era un figo, uno alla Marco Masini (che infatti compare nella colonna sonora della serie, nda), che cantava Vai con lui perché io non so darti altro che guai, lasciami perdere. Da belli e dannati, gli 883 li resero sfigati, e nelle canzoni parlano di loro stessi come due loser: noi vogliamo fare musica ma guardaci, dov’è che andiamo con ’ste facce… È esattamente ciò che pensa chiunque di sé, a meno che non sia un mitomane».

hanno ucciso l'uomo ragno 883

Elia Nuzzolo (alias Max Pezzali) e Matteo Oscar Giuggioli (Mauro Repetto). Foto: Sky Italia

Sydney Sibilia è uno che la vita reale, per metterla sullo schermo, la mastica da tempo. Cominciamo a parlare e per prima cosa mi chiede se mi sono divertita, guardando la serie (a quell’altezza, i primi quattro episodi), se mi sono affezionata ai protagonisti. Non intende Max e Mauro, ma Elia Nuzzolo e Matteo Oscar Giuggioli, che li interpretano rispettivamente. Sì, gli dico, i ragazzi hanno quella magia. E si ride, di quei tempi comici assestati con garbo che neanche li noti, e te ne accorgi che già sorridi. Anche con loro parleremo, con Elia e Matteo.

«Trovarli è stata la sfida più complessa di tutte. I protagonisti delle storie che abbiamo raccontato con L’Isola delle Rose o Mixed by Erry non erano conosciuti, qui invece si trattava di leggende nazionali. C’era un’iconografia da rispettare e il sedimento del tempo, che prende l’essere umano e lo trasforma in un culto. Dovevamo essere fedeli senza scadere nel macchiettismo, trovare un equilibrio. I casting sono durati circa un anno, abbiamo spostato la serie, eravamo pronti a fermarci se non fosse andata bene. Avevamo parlato con Max e Mauro, erano felici che volessimo farla, la nostra responsabilità era anche verso di loro. E poi all’improvviso», eccolo qua un gancio, «sono arrivati loro: ragazzi di altre generazioni, che non hanno per nulla vissuto quel periodo. Ma anche attori molto tecnici, di cui avevamo bisogno per portare a casa questa commedia ad altro tasso di narrazione. Perfetti insieme, grandi singolarmente. Sono convinto ne sentiremo parlare».

Sydney Sibilia sul set con i due protagonisti e Max Pezzali. Foto: Lucia Iuorio/Sky Italia

Entrambi del 2000, entrambi di provincia. Nuzzolo di Prato, Giuggioli (Il filo invisibile, Gli sdraiati, Vostro Onore) cresciuto a Rho, alle porte di Milano. Sono stati assieme otto mesi, mi dicono, la sintonia della scena è passata nella vita reale. Non sorprende, forse. Stupisce di più che Max Pezzali e Mauro Repetto non fossero nomi di alieni da una galassia lontana, per loro: tutt’altro. La musica per loro è evasione, suonano entrambi; ma anche studio e caratterizzazione, perché ogni personaggio ha un suo tema, una sua progressione. «Un tempo-ritmo interno». Si accigliano insieme: «Forse è linguaggio da scuola di recitazione. Vabbè, possiamo anche togliere ritmo. Teniamo tempo. Tieni il tempo». Eccolo, un altro gancio. C’è di più: Elia gli 883 li ha sempre ascoltati, protagonisti dell’adolescenza passata insieme agli amici. «La lingua della provincia è sempre la stessa», rincara Matteo, «i dialetti cambiano, le dinamiche no. Gli 883 parlano di cose che conoscevamo, che valgono ancora oggi, anche per la nostra generazione».

Pavia, fine anni Ottanta. Il liceale Max Pezzali viene bocciato in quinta senza essere ammesso alla maturità. C’entra, crede lui, l’essersi appassionato alla musica, l’aver frequentato serate punk, si è perso via. Traccia la fila precisa delle azioni e reazioni che lo hanno portato lì, sul banco di una nuova scuola, nell’anno scolastico in cui è ripetente e spaesato sul futuro, conscio solo della sua voglia di ribellione. Sul percorso c’è stato un flirt con la ragazza più desiderata della città, Silvia (Ludovica Barbarito), per metà vera e per metà d’aria, come quella di Leopardi. Sibilia dice che «dentro di lei ci sono finite almeno un paio di frequentazioni di Max», la prima canzone, le maglie sempre più strette dei genitori. Su quel banco nuovo e già odiato, alla fine, ad aspettarlo c’è Mauro Repetto.

Parte la trafila delle serendipità, complice anche un episodio pilota che tira fuori il Sibilia migliore: strizza l’occhio alla nostra voglia di azione e, aiutato dalla voce narrante di Max – «Alcune frasi sono prese paro paro dal suo memoir, I cowboy non mollano mai», uscito nel 2014, dice il regista – ci fa anche pensare: toh, guarda, anche a me quella volta…

Elia Nuzzolo/Max Pezzali in cameretta. Foto: Lucia Iuorio/Sky Italia

Elia e Matteo, però, su questo sono perentori: il kairos, attimo fortunato e irripetibile, non arriva da solo. Va propiziato con l’esercizio, homo quisque faber e poi la smettiamo con le citazioni in lingue classiche. «Il destino non esiste, esistono le occasioni, cose non scritte che puoi saper cogliere. Nella storia di Max e Mauro non c’è mai fortuna o sfortuna: ci sono due ragazzi che ci hanno sbattuto la testa finché ce l’hanno fatta. Che nel tragitto hanno imparato a sorbirsi tutti i “no” del caso, che si sono messi subito sui binari giusto per diventare chi volevano essere. Non è nemmeno giusto, capisci, dare il merito alla fortuna. Se fai una cosa bella è una cosa tua, non degli altri».

Grandi più di noi, loro. «Quei due sono saggi», chiosa Sibilia. «È un ragionamento che cerchiamo di fare anche nella serie con un’immagine diffusa, quella dei treni che passano, si dice, una sola volta. Noi vogliamo dissentire: i treni mica passano una volta, ne passano di diversi, e sta a te salire su uno o sull’altro». Max e Mauro a un certo punto si sono trovati sullo Shinkansen, il treno giapponese che raggiunge i 400 chilometri orari. «Mi viene da dire che Elia e Matteo hanno dato una risposta salomonica. E mi viene anche in mente una storia: Corto Maltese, che un bel momento si fa leggere la mano al luna park e gli dicono che non ha la linea della fortuna. Allora se l’era incisa lui, tagliandosi la mano, così da poterla governare, questa cosa che è la fortuna».

Questo bullet train sparato alla velocità della luce ha una meta prestabilita: la dipartita dal progetto di Mauro Repetto. Ma questa è la storia completa, e senza fare spoiler diciamo che di Hanno ucciso l’Uomo Ragno ci possiamo già aspettare una seconda stagione, in lavorazione. Che qui siamo solo nel primo, omonimo album.

«Abbiamo raccontato il momento in cui nasce una storia d’amore, lateralmente parlando», dice Sibilia. «Lo abbiamo fatto quasi per mettere un punto fermo alla questione: è stata una narrazione da anni Novanta, di quelle che giravano di bocca in bocca e ognuno se ne faceva una propria versione. Qui vogliamo dipanare la matassa. Vi racconteremo tutto, non vi preoccupate. Abbiamo sentito che c’era qualcosa in questa storia che stava tornando attuale, le canzoni anche soliste di Max tornavano di moda. Ma non era solo quello, perché naturalmente in mezzo per noi sono passati anni di gestazione. Non sono processi consci. Ecco, forse era questo il nostro momento propizio».

Matteo Oscar Giuggioli/Mauro Repetto sul palco. Foto: Lucia Iuorio/Sky Italia

D’altronde, dopo la febbre degli anni Ottanta arriva quella per i Novanta. E la nostra ossessione con il decennio in cui, alla prova dei conti, gli 883 si sono conosciuti è terminata solo di recente. «Sì, la nostalgia può invogliare a vedere la serie», ragiona Elia. «Ma la storia vera di quei due, alla fine, è quella di chi insegue un sogno, un sogno che sembra impossibile, ma poi si finisce comunque a correrci dietro. Fai un passo avanti ogni volta, hai voglia di continuare a crederci». E Matteo: «È la storia degli underdog, anzi, è la storia nostra che siamo quelli che tifano per gli underdog. Sono dei ragazzi che non erano tagliati per il successo, nessuno avrebbe scommesso su di loro. Eppure lo fanno. Anche qui è ancora la provincia che ti lascia a bocca asciutta, che ti fa venire voglia di azzannare, di non arrenderti all’evidenza. Io, facendo Mauro, il suo disagio lo sentivo proprio, il suo non ritrovarsi, non sentirsi abbastanza. Credo che anche per me ed Elia sia stato così: la spinta a prenderci tutto è venuta dall’essere creature di provincia».

La timidezza metodica di Pezzali, l’esuberanza di Repetto che imparò il “suo” ballo facendo l’animatore nei villaggi turistici, Claudio Cecchetto (Roberto Zibetti) e tutta la voglia di costruirsi il proprio mondo. In cui i supereroi esistono e sono costantemente minacciati da qualcuno che vuole farli fuori in un’ennesima, solita notte da lupi sotto la nebbia che sale dal Ticino. Tra i figli (o gli amici, in teoria) non si sceglie, ma il mio preferito, mentre l’ottava puntata volge al termine, potrebbe essere il Mauro rifatto da Giuggioli. Stretto male come una vite difettosa che girata fino in fondo proprio non ci sta. Anche nella felicità porta con sé il germe dell’evasione, del sentirsi altro, forse di più. Forse nemmeno lo sa.

Sibilia si giostra abilmente a cavallo tra i due: «Ho il realismo di Max e la faccia tosta di Mauro. E di sicuro condivido, o diciamo che ho condiviso con lui, lo spaesamento legato all’impossibilità del proprio sogno: voglio fare cinema, ma sono nato a Salerno. Oppure: tutti qui a raccontare i loro sogni, ma il mio qual è? Su questo punto ritorniamo all’apertura della serie, su Einstein: a Pavia si annoia, e dalla noia scaturisce la sua intuizione. Anche in una città “in cui non succede niente” ci sono spiragli di luce. Io cerco sempre di annoiarmi, almeno due o tre ore a settimana».

Gli 883 di ‘Hanno ucciso l’Uomo Ragno’. Foto: Lucia Iuorio/Sky Italia

«La ricerca del proprio talento è un tema che mi affascina», aggiunge Matteo. «Si possono aprire dei grandi what if. Per esempio: che cosa sarebbe successo se LeBron James avesse deciso di fare il cuoco invece che giocare a basket? Ed è normale che questi momenti e queste domande arrivino nel percorso di ogni adolescente. Per me il clic per capire ancora meglio il personaggio che nella serie esprime di più questo lato, che è Mauro, è arrivato quando è uscito il suo libro (intitolato Non ho ucciso l’Uomo Ragno, 2023, nda), proprio mentre stavamo girando». Matteo, Repetto non l’ha mai incontrato. Elia il suo “doppio” invece sì: Max è arrivato sul set più volte, si cantava insieme, a volte «rideva tanto alle scene che bisognava rifare il ciak».

Il rendez-vous più importante, comunque, è quello con la musica. «Se siamo arrabbiati, servono canzoni che lo urlino. Se siamo spensierati, avremo brani diversi. La musica fotografa la società, sempre», ed è Giuggioli a dirmelo. «È troppo facile dire che De André è meglio, o è stato più importante, di un trapper di oggi. Non sono paragoni commensurabili. Non è vero che quello di ieri è meglio di quello di oggi».

Rimane solo una questione da dirimere: ma di Sydney Sibilia, Elia Nuzzolo e Matteo Oscar Giuggioli, qual è la canzone preferita degli 883? Comincia Sibilia: «La mia preferita è una B-side mai lavorata del tutto, infatti poi uscì in versione demo anche su disco: Il problema, finì nel primo album. Il ritornello parte a dire “Il problema è che noi siamo cresciuti qui“, ma finisce su “Il problema mi sa tanto che siamo noi“. Racchiude tutto lo spirito di quell’avventura».

Elia: «Io vado sul classico: Nessun rimpianto». Matteo: «È una domanda importante. Ho risposto male un sacco di volte. Ora ho la risposta giusta da dare: S’inkazza (Questa casa non è un albergo), mi piace perché era in un periodo di ricerca, stavano capendo che cosa fare, ci sono chitarre dure e, appunto, arrabbiate. Senti tutto il momento in cui l’hanno scritta». Sia S’inkazza che Il problema arriveranno nella serie, tranquilli.

Hanno Ucciso l’Uomo Ragno | Nuova serie | Trailer

Ok, no, di affari ce n’è pure un altro, prima di chiudere (e far partire la serie). L’Uomo Ragno, in teoria, sappiamo tutti chi è, cos’è. Corretto? «Per me è l’eroe che potrebbe arricchirsi facilmente interpolando la sua identità “regolare” con quella straordinaria ma che sceglie di non farlo, e che preferisce mettersi dalla parte dei più deboli. Lavora contro l’opportunismo di una società che stava diventando più marcia». Questo quello che mi dice Elia.

Per Matteo, «rappresenta il passaggio all’età adulta, quando bisogna togliersi la calzamaglia e atterrare nella realtà. Credo sia valso anche per Max e Mauro, la necessità di uccidere le cose da ragazzini, di fare sul serio e prendersi le proprie responsabilità». Chi è stato, non si sa. Forse sono solo cose che succedono.

«Chi o che cos’è l’Uomo Ragno? Be’…», fa Sibilia, «l’Uomo Ragno sono i sogni e sono anche Max e Mauro. È il supereroe per antonomasia, che ha tanti poteri e più responsabilità. Hanno ucciso l’Uomo Ragno è una canzone bellissima, sincera. È per tutti quelli che non ce l’hanno fatta». Forse quelli dalla mala, forse la pubblicità. A crederci siam rimasti solo noi, che con solo un deca in tasca non sappiamo nemmeno dove andare.

Forse con due però, Max e Mauro, qualcosa cominciamo a capire. E anche una città paranoica di brutto sembra avere, in fondo, il suo perché.

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