Chi la conosce dice di rivederla in alcuni tratti del personaggio che ha ispirato il suo esordio alla regia. Su tutti il coraggio, la caparbietà e l’incoscienza di bussare ad ogni porta, anche più di una volta. Nata a Treviso da una famiglia della middle class (gli inglesismi non mancheranno in questa nostra chiacchierata), oggi mi risponde da Londra, dove abita ormai da 11 anni. Proprio a Londra, oltre 6 anni fa, Miriam Leone l’ha raggiunta per piantare il primo seme di un progetto che si è tradotto nella nuova scommessa di Minerva Pictures e Paramount+, ogni martedì in prima serata su Rai 1. Ieri un cortometraggio intimo ed acclamato, A Cup of Coffee with Marilyn, oggi una serie internazionale in otto episodi, Miss Fallaci, basata sui libri Penelope alla guerra e I sette peccati di Hollywood, diretta da Luca Ribuoli, Giacomo Martelli e Alessandra Gonnella, scritta a ben 12 mani da Viola Rispoli, Tom Grieves, Laura Grimaldi, Alice Urciuolo, Alessandra Gonnella e Miriam Leone.
Ventenne fuorisede all’estero, Gonnella ha scoperto Il sesso inutile ed è rimasta folgorata da Oriana Fallaci. Non la Fallaci che tutti ricordiamo, eccellenza italiana nel mondo e suggestivo termine di paragone per chiunque si avvicini al giornalismo. L’altra Fallaci, la giovane Oriana. Quella degli amori tormentati, dei primi viaggi in America, la firma dell’Europeo che negli anni Cinquanta volava a Hollywood per spiare e poi terrorizzare dall’interno la gabbia dorata dello star system. “La ragazza del cinema” che odiava il cinema, o almeno così diceva, puntando alla geopolitica in un mondo in cui scrivere di guerra e intervistare capi di Stato era un lusso riservato agli uomini. Nessuno osava scrivere come lei – individualista, controversa, senza regole – ma tutti volevano leggerla. Nel suo corto d’esordio Alessandra Gonnella raccontava l’inizio del mito attraverso un episodio preciso, il dietro le quinte di quella famosa intervista mancata con Marilyn Monroe, nel corso di un’avventura impossibile a New York da cui oggi prende il via la serie. In Miss Fallaci Luca Ribuoli raccoglie il testimone per capire come quella giovane donna talentuosa sia poi diventata “la più grande scassacazzi del giornalismo italiano”. Umorale, capace di una terribile antipatia, spietata quanto e più di un uomo, fonte d’ispirazione per molte donne senza mai dichiararsi davvero femminista. «La sua era una visione a metà tra il romanticismo e il disincanto», osserva Gonnella. «Il suo è stato un femminismo che ha aperto diverse strade anche alle altre donne, concretamente, ma sempre pensando a sé stessa. Lottando per sé e per il suo spazio».

Miriam Leone in ‘Miss Fallaci’. Foto: press
Da Treviso a Londra: è il segreto per esordire in Italia prima dei trent’anni?
(Ride) Diciamo che sono arrivata di traverso, un po’ come Oriana arrivava ad ottenere certe interviste. L’industria cinematografica è davvero un negozio chiuso, non si entra dalla porta principale. You have to break in, devi irrompere nella stanza. È quello che fa Oriana anche nella storia che mettiamo in scena.
Come sei entrata nella stanza?
Io non ero nessuno, ero una studentessa di cinema come milioni di altre. Però ho creduto fortemente nel mio progetto, ho voluto fare quel corto e ci ho investito anni, energia, sangue, con pochissimi mezzi e una grande persona che mi ha detto di sì svoltando le cose, Miriam Leone. Quando fai un salto nel vuoto non sai mai cosa uscirà fuori, poi realizzi il prodotto e per la gente è più facile saltare sul carro. Ma quando non sei nessuno, nessuno ti crede, nessuno ti vuole dare i soldi, nessuno ti vuole stendere il tappeto rosso. Il corto è stato molto apprezzato e così si è messa in moto tutta la macchina. Da lì sono entrata nel sistema, sennò non avrei saputo come altro fare.
Il padre di Oriana non sa dirle brava, la madre spera che possa vivere una vita migliore della sua. Tu che famiglia hai alle spalle?
I miei genitori mi hanno concretamente sostenuta, grazie a loro sono potuta andare a Londra a studiare. Mia mamma è un’insegnante e mio padre è un uomo low profile, una tipica famiglia della middle class che ha saputo lasciarmi libera, sono persone molto intelligenti che credono nel valore dell’istruzione. Sicuramente da parte mia c’è l’ostinazione di voler dimostrare che si può fare anche un lavoro artistico: state tranquilli, genitori, avete investito tanto su di me, magari non avete ancora compreso esattamente cosa sto facendo, ma fidatevi che ho un progetto. Anche Oriana era mossa da questa voglia di riscatto per dimostrare ai genitori che poteva farcela, che poteva vivere quella vita al posto di sua mamma.
Nel corto racconti l’episodio Fallaci-Monroe immaginando anche gli aspetti più fragili di Oriana, mostrandoci un accenno di pianto nervoso per quell’intervista mancata, che nella serie si traduce soprattutto in rabbia, in una forte determinazione.
È stato un viaggio diverso, con la serie entri in un altro campionato e ci sono molti più soldi in ballo. Quando abbiamo proposto la serie all’interno del MIA Market hanno fortemente voluto replicare alcuni elementi del corto: Miriam Leone, il mood, il ritmo, questa visione molto girly che è piaciuta. Quel cedimento era una mia necessità, potremmo definirlo il sintomo di una femminilità, un momento intimo tra Oriana e Oriana che non ce la fa più. Io ho esperienza di questi momenti ogni giorno, è una specie di riso disperato.
Nell’episodio che hai diretto, il sesto, torneranno momenti di fragilità come questo?
È un episodio molto intimo, perché si entra negli inferi di Oriana. Mostreremo cose mai viste, raccontate nella sua biografia ma sconosciute ai più. Aborti, crisi esistenziali e scenari semitragici molto da rockstar. Come l’epilogo della frequentazione con Alfredo Pieroni (giornalista interpretato da Maurizio Lastrico, nda), un amore che da parte di Oriana è sfociato in un attaccamento ossessivo, folle e tossico, che finisce abbastanza male. Nel mio episodio raccontiamo la coda di questa relazione con elementi molto distruttivi e anche molto femminili, quindi sono contenta, essendo l’unica donna alla regia, di aver potuto raccontare questa visione intima di Oriana.
L’idea che una donna così forte nel lavoro possa essere al contempo così debole e poco lucida nell’ambito amoroso un po’ ci legittima?
Assolutamente. La biografia di Cristina De Stefano (Oriana. Una donna, nda) racconta i suoi grandi amori e anche i periodi in cui Oriana è stata più farfallina, perché veniva annientata da questi folli innamoramenti, certo, ma si divertiva anche. De Stefano conclude che Oriana era una belva sul posto di lavoro, metteva i piedi in testa a tutti, ma quando si innamorava diventava una pezza da piedi come molte di noi.

La regista Alessandra Gonnella. Foto: press
Spesso le donne costrette a competere in un ambiente maschilista poi cedono nella sfera privata, possibile?
Sì, il mondo maschile ti dice che per sopravvivere a questo gioco, se non lotti più degli uomini non ottieni niente. Ma questo suo comportamento in amore dimostra che invece, alla base, ci sono delle grandi sensibilità e fragilità. E c’è anche dell’idealismo, no? Uno dei motivi per cui lei veniva tanto delusa dagli uomini è che li metteva sul piedistallo. Aveva questo ideale di uomo coraggioso, virile, intelligente, un uomo perfetto insomma.
Fallaci scriveva spesso delle sue contraddizioni, era una caratteristica del suo stile e del suo individualismo. Oggi ti sembra più difficile farlo?
Sicuramente c’è un appiattimento, sembra non si possa essere davvero contraddittori e provocatori senza pagare un prezzo. Puoi permetterti di farlo se hai uno star power, il problema è per noi giovani che stiamo entrando in questo mondo mediatico e già veniamo scrutinati per ogni cagata che diciamo. Siamo portati a stare più attenti, a non dare fastidio, a esprimere un pensiero che rispecchia la maggioranza. Ha ragione Ethan Hawke quando dice che si scelgono gli attori anche in base ai follower, e i follower non se ne vanno se posti i gattini.
A proposito di opinioni, Miriam Leone l’hai scelta tu dal principio, come protagonista del corto e ora della serie. Per molti un’idea brillante, per altri un motivo di pregiudizio. Perché proprio lei?
Ero partita cercando un nome noto per fare Oriana nel corto, e let’s be honest, guardando alla fascia di attrici famose con un bel volto somigliante alla giovane Oriana, ho pensato subito a Miriam. Mi ricordava alcune sue foto che avevo trovato, e per me la sua bellezza non è mai stata un problema, anzi, credevo nell’operazione contraria: Oriana da giovane era affascinante, aggraziata, aveva un carisma che anche Orson Welles ha descritto perfettamente: “A Hollywood non c’è niente di più comune di una bella donna. Oriana ci ha stupito per la sua grazia innata”. Miriam ce l’ha. Quando giravamo a Londra molti non la riconoscevano, ma si giravano comunque a guardarla. È una questione di charme che anche Oriana emanava, abbastanza da farsi aprire certe porte e poter chiedere quel favore in più. La bellezza non guasta mai, e io questo lo difendo.
Passare da un piccolo corto a un progetto seriale scritto a 12 mani, con la direzione creativa di Luca Ribuoli e la partecipazione alla scrittura della stessa Miriam Leone, sembra un salto impegnativo. Come è andata?
Quando tutto è iniziato, cinque anni fa, non sapevo come funzionasse esattamente il mondo della serialità. C’è stata subito la necessità di chiamare persone come Viola Rispoli e Luca Ribuoli, rispettivamente head writer e head director del progetto, che avessero dieci o vent’anni di esperienza alle spalle. Miriam aveva espresso da sempre il desiderio di partecipare alla sceneggiatura, ne parlavamo già durante il corto. Ha studiato tantissimo, è intelligentissima, quindi why not? Io credo nel valore dei progetti talent driven e la produzione ha aderito. Di fatto era Miriam ad andare sul set ogni giorno, così potevamo permetterci di modificare delle cose e continuare a farci delle domande sul personaggio anche in fase di riprese.
In questo vortice produttivo, hai mai avuto nostalgia del tuo periodo londinese con Miriam?
Sì, c’era sempre questa vibe tra noi, “ti ricordi la Memory Lane?”. Forse la nostalgia di un gioco che era diventato più di un gioco, senz’altro più grande di me. Miriam mi ha dato molta carica sul set. Io andavo ogni giorno, anche quando giravano gli altri registi, attenta a non scavalcare nessuno. Ho aspettato che iniziassero le riprese del mio episodio, e ricordo il pensiero di Miriam, anche davanti agli executive di Paramount, di ribadire da dove nasceva tutto, la mia visione di giovane ragazza e il mio rapporto con il personaggio di Oriana. Questa complicità ci ha accompagnato sempre. Spero e credo che lei sappia che ha una persona su cui contare, io le sarò sempre grata.
La serie si apre nello Studio Ovale della Casa Bianca, con Kissinger che dice a Fallaci: “Lei riesce a far dire alle persone cose che non direbbero mai”. Era uno degli aspetti più intriganti del metodo Fallaci, che poi scriveva dei suoi intervistati cose che nessun altro avrebbe scritto mai. Diventerà depositaria delle confessioni dello star system dell’epoca – non solo Hollywood: farà a pezzi anche la Hollywood sul Tevere – ma non senza conseguenze. Dal dissacrante ritratto che fece di Fellini al colpaccio con Chanel nel ’58, fino al famoso episodio con Mastroianni, che prima le confessò l’indicibile e poi le tolse la parola. Come ti sei spiegata il suo metodo?
Credo che un grande carisma possa essere irresistibile. Secondo suo nipote, Oriana era anche molto umorale. Edoardo Perazzi, che conosceva bene sua zia e sapeva che era una belva ingestibile, mi ha raccontato un episodio preciso: erano a una festa, presentò sua zia a un po’ di gente e questo tizio poi andò da lui: “Ma cosa dici? È gentilissima, dolcissima, buonissima!”. Lui gli rispose: “Aspetta domani, ché magari ti mangia vivo”. Non sapevi mai quale versione di Oriana ti saresti ritrovato accanto. Anche a cena con Paolo Nespoli, suo grande amore poco precisato, ho notato che per lui era ancora un tasto dolente parlare di Oriana. Evidentemente era una persona che ti segnava nel profondo.
Miss Fallaci ci ricorda che Oriana non voleva scrivere di cinema. Proprio lei che ci ha insegnato l’arte d’intervistare una celebrità sognava la geopolitica e riteneva inutile il giornalismo di costume. Rincuorante, no?
Non so come pormi nei confronti di questa cosa, ma ho sempre pensato che in realtà il giornalismo di costume le avesse dato molto più di quel che lasciasse intendere. Probabilmente, quando poi è arrivato il momento di intervistare i grandi politici, forse grazie al fatto che aveva intervistato queste star arrivò più preparata. Sapeva fronteggiare ogni situazione e trattare tutto come uno show. Ho amato l’intervista a Fellini, i retroscena del loro rapporto, il giudizio che esprimeva sul film mentre tutti osannavano il genio di 8½. Poi arrivò lei a dirgli che era angosciante e pieno di morte. Oggi è difficile che un giornalista dica a un regista: “I tuoi film sono troppo pesanti e autoreferenziali”. Questo già significava avere il coraggio di essere disliked. Non so se Oriana sarebbe sopravvissuta nell’epoca dei social, sai? (ride)

La regista Alessandra Gonnella. Foto: press
Stai lavorando al tuo primo film. Vederti ovunque con le T-shirt di Notting Hill e Nora Ephron dovrebbe suggerirci qualcosa sui temi che affronterai al cinema?
Certo, voglio segnalare alle persone e agli addetti ai lavori che la mia massima ambizione è quella di diventare la nuova rom-com girl della mia generazione (ride). Anche nel campo della commedia romantica si può fare molta politica, c’è ancora tanta strada da percorrere sulla questione della gender battle. Ci sono troppe protagoniste “stronze perché lavorano troppo”, con l’idea che una donna in carriera non possa credere nell’amore. Forse era cute vent’anni fa, ma lo schema della commedia romantica è difficile da ribaltare. Cerchiamo almeno di essere innovativi nella caratterizzazione dei personaggi e di non promuovere queste visioni distorte dell’amore. Proprio perché è un genere pop sarebbe interessante fare un’operazione culturale importante e trovare arene di nicchia.
La casa di produzione che hai fondato a Londra si chiama Nervosa Pictures. È un altro indizio?
Ho scelto questo nome proprio per fare leva sul cliché del nervosismo riservato all’universo femminile. Vorrei renderlo in un’accezione più divertente, alla Diane Keaton. Oltre che fare le mie cose mi piacerebbe costruire una community di filmmaker donne e comiche.
La domanda inevitabile: quindi, se fosse riuscita ad incontrarla, cosa avrebbe chiesto Oriana Fallaci a Marilyn Monroe?
“Ma i tuoi capelli sono veri o è una parrucca?”. Avrebbe fatto scaldare il personaggio per poi decostruirlo: “Comodo sposarsi con Arthur Miller, non trova?”. Sicuramente Oriana non si sarebbe risparmiata.