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Costanza Quatriglio, memorie nel cassetto

È uscito ‘Il cassetto segreto’, ultimo lavoro di una delle nostre più brave documentariste. Un tuffo nella storia personale che è anche Storia collettiva. Fino al gesto liberatorio finale: per lei, e per tutti

Foto: Cinecittà Luce

Era il gennaio del 2022 quando Costanza Quatriglio ha accolto in casa i bibliotecari che hanno catalogato l’enorme biblioteca e archivio di suo padre Giuseppe, grande giornalista, raffinato intellettuale, amico stretto di Leonardo Sciascia e Renato Guttuso oltre che di molti altri artisti e scrittori conosciuti nell’arco di una carriera durata oltre sessant’anni. Uomo dalla vorace curiosità e desideroso di documentare per i posteri, senza mai fermarsi alla cronaca del fatto, Quatriglio padre ha lasciato un patrimonio che Costanza, una delle migliori documentariste italiane di sempre (L’isola, Terramatta, Sembra mio figlio, tutti film che andrebbero visti e rivisti), ha esplorato con la stessa passione. Di questa ricerca ha fatto un film, Il cassetto segreto, che va naturalmente scoperto al cinema, dove è appena arrivato.

Ho fatto una lunga chiacchierata con Costanza, che prima di tutto racconta quanto ci è voluto per catalogare e poi anche per mettere insieme il film. «Due anni, perché ho cominciato nel 2022 ad accogliere bibliotecari archivisti nella casa di mio padre e mia madre per potere fare questa donazione alla Regione Sicilia e ho cominciato a filmare, ma in realtà l’idea del film è arrivata molto dopo. Ho filmato per testimoniare in qualche modo la presenza di queste persone che era un evento storico non ripetibile. Poi a un certo punto mi sono resa conto che avevo nelle tra le mani un materiale molto prezioso, unico, e che era in qualche modo già nell’organizzare la vita un atto narrativo quello che stavo facendo e la vita e il cinema si sono intrecciati».

Una delle cose fantastiche del film è la quantità di variazioni: passi dalla descrizione del mondo attraverso i viaggi e gli scritti di tuo padre fino a quella della tua famiglia e a racconti d’Italia dimenticati. Tutto in due stanze.
Ho cercato di fare quello che il mio sentimento mi diceva di fare. Entrando in casa con gli altri bibliotecari e le archiviste, ho provato immediatamente la sensazione che il mondo stesse tutto lì dentro, l’ho sentito molto più di quando ero ragazzina. Quest’idea che il mondo sia dentro cassetti che custodiscono memoria, che ci sia sempre un dialogo tra il privato e il collettivo, che ogni singolo gesto possa riverberarsi in un’avventura politica e civile, questa cosa l’ho avuta molto chiara fin dall’inizio. Il motivo del film è questo, non l’avrei mai fatto se non avessi avuto contezza della portata pubblica di questa esperienza di vita.

La colonna sonora è un elemento primario, composta come una di quelle compilation che ci facevamo da ragazzi.
È stata una scelta consapevole e sono molto felice che tu te ne sia accorto, è importantissima. Con Giovanni Di Giandomenico abbiamo fatto un percorso sui generi e abbiamo lavorato sulle variazioni degli stessi. Dagli anni ’80 al grunge e al punk, fino ai Manonegra che raccontano anche me e i miei vent’anni, perché il film ha un aspetto diaristico e la musica ne fa parte.

Tecnicamente il film ha un respiro quasi liberatorio.
Il documentario in generale, almeno quelli che ho fatto io, lo è, e in questo caso è frutto di una grande libertà che mi sono presa di cambiare strada, traversare montagne, fiumi, laghi, sentimenti, di seguire anche l’istinto in questo film che considero come un gesto che fotografa l’estemporaneità del momento in cui si compie e quindi è libero, nelle sue associazioni di idee nel montaggio, dalla paura del pregiudizio. So perfettamente che è un film molto personale di cui io stessa mi sono stupita. Allora ho anche cercato di giocare con con l’idea stessa di fare un film personale, per cui racconto quanto sia maldestra nel cercare di fotografare una casa che si sta svuotando e che nello stesso tempo riempi di storie.

Ultimamente tanti documentari fanno un uso davvero bello degli home movie e degli archivi familiari, risorse importantissime per il futuro della nostra memoria perché diventati nel tempo pezzi di Storia. Che ne pensi?
L’iconografia si rinnova in continuazione, a seconda delle epoche che viviamo. La bobina 8mm oggi per noi è archeologia, ma nello stesso tempo il filmino familiare è entrato nella coscienza di tutti, quindi penso che hai ragione. Generazionalmente il sapore della bobina ti riporta agli anni ’50, in questo caso anche ’40 e’ 60. I miei allievi del Centro Sperimentale prendono una cassetta di 8mm oppure anche banalmente una mini DV e la considerano archeologia, quindi ci dobbiamo fare tutti i conti.

Quali sentimenti avevi quando hai lasciato andare i libri definitivamente, una volta portati in biblioteca?
L’ho vissuto come un momento definitivo di distacco che non poteva che essere preceduto da tutto il processo. Quando sono venuti a prenderli ero pronta, la sera prima ho danzato per salutarli. Il documentario racconta esattamente le cose come sono andate cronologicamente. Non c’è stato in montaggio nessun tipo di infingimento. Con Letizia Caudullo, che è la montatrice di questo film e di tanti miei film e che purtroppo è scomparsa prima del Festival di Berlino e non ha potuto assistere alla gioia immensa della proiezione berlinese, abbiamo stabilito che si dovesse stare nella cronologia. Letizia si sarebbe messa a ridere come una matta perché alla fine del trasloco tutte le persone in sala hanno applaudito a scena aperta: hanno sentito che era il compimento di qualcosa enorme, come scalare l’Everest. Per me è stata una rinascita, perché dopo mesi lì dentro, conoscendo ogni singolo dorso di libro, ogni singola fotografia, ogni singola cosa, non puoi fare altro che lasciar andare.

Quante storie hai trovato che adesso vuoi raccontare?
Tantissime che racconterei e che in parte ha raccontato mio padre, ed è una delle cose che mi hanno colpito di più. Aveva una passione per le storie anche molto piccole, come quella del tipo che vende le madonnine a Tindari e che capisce essere il figlio di Antonio Meucci, o quella della maestra che dà la casa a Ingrid Bergman per l’appartamento di Stromboli di Rossellini, e quella della madre delle due ragazze che hanno recitato nella Terra trema. Questa cosa mi ha affascinato, e la storia che racconterei potrebbe essere quella di mio padre che andò nel Belice qualche giorno dopo il terremoto e non il giorno dopo, e forse questo ritardo lo ha condizionato nel suo peregrinare alla ricerca di tracce di vita che restano, che è ciò di cui è fatto anche il film.

Street Life di W. Jennings – J. Sample
Edizioni Musicali: Irving Music, Inc. – Four Knights Music Co. – BMG Rights Management (UK) Limited
Editore per l’Italia: Universal Music Publishing Ricordi Srl e BMG Rights Management (Italy) srl
Voce: Elodie Gervaise
Chitarra elettrica: Javan Avent
Recording, mix e mastering: Luca Rinaudo
Pianoforte e arrangiamento: Giovanni Di Giandomenico

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