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Cristiana Dell’Anna, if I were a boy

«Mi tratterebbero diversamente ai provini, e non sarei condannata ai soliti ruoli di madre o di moglie». L’attrice consacrata da ‘Gomorra , La serie’ è un volto sempre più richiesto dal cinema italiano (e internazionale). Ora arriva su Sky con ‘La coda del diavolo’, un action dove recita accanto a Luca Argentero e che cerca di abbattere qualche cliché

Foto: Sky

Signor Dell’Anna, se ci sta leggendo: grazie. Sul serio. Avrà forse un filo traumatizzato sua figlia con quel giochino dell’“indovina la voce” («Mi faceva sentire le voci di grandi cantanti come Aretha Franklin e Nina Simone, e io dovevo distinguerle al volo»), ma è stato grazie a questo se Cristiana Dell’Anna è diventata attrice: «Fin da piccola sognavo di fare la cantante», spiega, «ma quel passatempo inventato con papà mi ha trasmesso un tale rispetto per il canto per cui, nella mia testa, o lo si faceva ai massimi livelli o meglio darsi a un’altra forma d’arte». E mica per dire: da bambina i suoi modelli erano «Giorgia e Whitney Houston: volevo diventare come loro».

Non sapremo mai se abbiamo perso una grande cantante («La voce c’è, ma sotto la doccia»), di sicuro abbiamo guadagnato un’ottima attrice: lanciata da Gomorra – La serie (tra i suoi fa anche Ed Sheeran, che ha dato di matto in aeroporto quando ha visto la mitica “Patrizia”: «È un fan di Gomorra», conferma lei), solo quest’anno Dell’Anna ha inanellato quattro film. L’abbiamo vista in versione PM nel controverso Una storia nera, madre tormentata in Tre regole infallibili, santa nel biopic Francesca Cabrini e, ora, giornalista d’assalto nel film d’azione La coda del diavolo di Domenico de Feudis, in onda il 25 novembre su Sky Cinema Uno e in streaming su NOW. Il protagonista maschile è un Luca Argentero super dark: niente camice, ma al suo posto la divisa di una guardia carceraria. Il secondino, ex poliziotto, si chiama Sante Moras e finisce per essere incastrato in un omicidio che non ha mai commesso. A credere nella sua innocenza è solo la giornalista Fabiana Lai, interpretata appunto da Dell’Anna.

A tenere banco è il desiderio di farsi giustizia da soli: una tentazione che sta prendendo sempre più piede nella nostra società?
Sì, purtroppo è tutto fuorché uno spunto di finzione. Si è persa la fiducia nel nostro sistema giudiziario: mi rendo conto che ci sono degli aspetti da aggiustare, ma non si può certo rinunciare alle istituzioni. Altrimenti è il caos: si torna al Far West, all’occhio per occhio. Tra l’altro secondo me è sano aspettare che la giustizia faccia il suo corso: il tempo è fondamentale per far sì che si attenuino i sentimenti, si sgretolino i pregiudizi e si arrivi così a maturare un giudizio, se non addirittura a contemplare un parziale perdono. Oggi invece la sentenza viene emessa subito: si è colpevoli fino a prova contraria. La prima impressione assurge subito a verità.

Cristiana Dell’Anna con Luca Argentero in una scena di ‘La coda del diavolo’. Foto: Sky

Nel film non scatta alcuna love story tra i due protagonisti. Era ora che si rompesse l’assioma “lui più lei uguale amore garantito”?
Certo. È fondamentale provare a ricreare una verità che non ricalchi il solito stereotipo. Dare continuamente in pasto all’audience lo stesso immaginario finisce per convincere lo spettatore di quella narrativa. Tra l’altro, facci caso, è sempre la donna a innamorarsi dell’uomo, difficilmente accade il contrario. È un dettaglio che può apparire trascurabile, invece è ricorrente. Nel mio piccolo, riconoscendomi nel femminismo, cerco di provare a sovvertire le cose.

Si parla tanto di storie al femminile, ma oggi c’è davvero vita oltre al ruolo di moglie o madre?
Su questo siamo ancora parecchio indietro. Nonostante ci sia un’apertura verso la regia e la scrittura al femminile, sopravvive una retorica maschile. Anche in noi donne. Siamo le prime ad aver introiettato stereotipi patriarcali, con cui lottiamo quotidianamente. Per esempio ci sono dei mondi legati alla femminilità che sono ancora del tutto inesplorati, e che vanno ben al di là della sensualità e delle curve. Inoltre c’è quest’idea della donna che è eroica nel momento in cui rinuncia a sé stessa per aiutare l’altro. E se invece fosse più eroico farsi una volta tanto i cavoli propri, mettendo noi stesse al primo posto?

È vero che hai chiesto espressamente di uccidere Patrizia in Gomorra?
Sì, confermo. Per tanti motivi: ero un po’ stanca e tutta quella malvagità mi stava entrando negli occhi. Non l’ho vissuta però come una forzatura. La morte del personaggio arriva nel momento giusto, al terzo atto, con toni da tragedia greca: la madre (io) che uccide la figlia (Patrizia).

Oggi Patrizia è una riga sul tuo curriculum o sei destinata a dividere per sempre la scena con lei?
Me la sto lasciando alle spalle: sta diventando sempre di più una voce nel CV. La verità? Sono contenta. Ero un po’ spaventata dall’idea di rimanere imbrigliata a lei. All’epoca fu una mossa rischiosa, ma la rifarei.

Cristiana Dell’Anna alias Patrizia con Salvatore Esposito/Genny Savastano in ‘Gomorra – La serie’. Foto: Sky

Alla voce “scelte lavorativamente rischiose” possiamo includere la decisione di non vivere né a Napoli, né a Roma, né a Milano, ovvero le tre città chiave del mondo dello spettacolo?
Includi, includi pure. Ho scelto la Toscana perché volevo vivere in campagna e, sì, in parte è un autogol. Sul lavoro ne ho pagato le conseguenze, ma va bene così: stare lì mi ha regalato tante altre cose. Diversamente questo mestiere mi avrebbe ingoiata.

Recitare è un mestiere che divora?
Ho scelto questo lavoro per il puro piacere di recitare: la fama, i red carpet, le interviste erano solo dei – pur piacevoli – fatti collaterali. Negli ultimi anni l’industria tende però sempre di più ad associare l’idea di successo con la fama. Di questo passo, vuoi o non vuoi, un pezzo di te si corrompe: quando vedi che non hai la stessa popolarità dei colleghi, un po’ ti fa male.

Parli per esperienza personale?
In passato, un po’ ci ho sofferto. C’è stato un momento in cui mi sono mangiata le mani, per esempio non ho mai sfruttato il mio viso carino. L’ho sempre un po’ “abbassato”, ho sempre cercato di distogliere l’attenzione dall’aspetto fisico. Ai provini andavo struccata, o come si sarebbe vestito il mio personaggio, e mi sentivo a volte dire: “Non sei presentabile, sembri appena tornata dalla spesa”. A un uomo non lo avrebbero mai rinfacciato… Ho quindi pagato un prezzo, ma ho capito che è stato meglio così: la mia maturità di attrice e di donna passa proprio da qui, dall’essere stata fedele agli ideali con cui ho cominciato a recitare.

Hai vissuto a lungo anche in America. Un commento sulla vittoria di Trump?
È una sconfitta, soprattutto per noi donne. Il trionfo di Trump non è stato la vittoria di Trump su Kamala, ma il non volere una donna al potere. Quel plebiscito è l’espressione plastica di una misoginia ancora fortemente radicata nell’America conservatrice, che a quanto pare è pure molto forte. Trump non a caso ha perso solo una volta su tre: l’unica in cui si scontrava con Biden, cioè con un uomo.

Quindi, che si fa?
Sarà un guaio, anche per noi in Europa. Ci attende una deriva sociale che arriverà, come una risacca, da qui ai prossimi dieci anni. Per non parlare di tutti i passi in avanti che avevamo fatto nell’accoglienza o nell’economia green: temo che spazzerà via tutto.

Deduco che non vuoi trasferirti in America…
Per ora resto in Toscana, anche perché ormai l’industria si è strutturata in modo tale che si può lavorare per gli americani anche abitando in Italia. Per esempio, ho appena finito di girare un film meraviglioso, che si intitola The Panic: è incentrato sul panico scatenato dalla crisi finanziaria del 1907, sventata da J. Pierpont Morgan. Interpreto la sua bibliotecaria di fiducia: un personaggio bellissimo, che nasconde un segreto legato alle sue origini.

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