Ha ottenuto una menzione speciale al ViacomCBS International Studios Award ed è la rivelazione del MIA Market che si sta tenendo in questi giorni in concomitanza con la Festa del cinema di Roma. Parliamo di Cult, serie in preproduzione per Notorious Pictures dedicata alla mafia nigeriana, ispirata dallo scrittore Sergio Nazzaro e il cui regista è Francesco Patierno, che abbiamo incontrato in esclusiva. Si preannuncia come un viaggio in un “capitolo” della criminalità organizzata ben poco noto, che da anni costituisce materia di indagine per le forze dell’ordine. E, per la profondità di analisi, la qualità del risultato cinematografico la candida preventivamente a diventare un nuovo caso, sull’onda lunga di Gomorra.
Quel che emerge dalla vostra serie è che la mafia africana in Italia non è affatto un fenomeno nuovo.
Sergio Nazzaro: Si vuole indicare come recente, ma la verità dei fatti è che la sua presenza è ormai datata a vent’anni fa almeno, ovvero da quando il commissariato di Castel Volturno fece la prima informativa per 416bis denominata Restore Freedom nel 2000. Poi abbiamo avuto i primi processi e condanne per mafia nel 2006 con l’operazione Niger, e con l’operazione Viola nel 2008 a Napoli. Proprio nel 2008, quando vengono definite le caratteristiche dei gruppi criminali di origine africana, diventano mafia qui in Italia. Tengo sempre a sottolineare che, ovunque ci sia una mafia, ci sono persone sfruttate, e questo avviene sempre all’interno delle proprie comunità. Le ragazze di colore sulle strade italiane sono le prime vittime, anche se poi tutti guardano e passano oltre, mentre gli altri le sfruttano per poche decine di euro.
Perché avete deciso di concentrarvi proprio su questo tema ancora così poco conosciuto?
Francesco Patierno: Tutto è nato da Castel Volturno, il libro (edito da Einaudi, ndr) di Sergio Nazzaro. Dopo alcune pagine, ho realizzato che nessuno aveva mai fatto un film su un padrino mafioso nero. Io, che da sempre sono appassionato di crime in generale, ho finito di leggere il libro pensando alla chiave giusta per mettere in scena una storia che mai nessuno aveva raccontato. Il tempo ha dilatato l’ispirazione iniziale in qualcosa di più ampio, ed eccoci qua. La mafia nigeriana è ormai impiegata ovunque nel mondo, e la criminalità nostrana ha subìto un processo di globalizzazione e ha un appeal cinematografico molto internazionale.
Ma quali sono i rapporti che ha intrecciato la criminalità organizzata nigeriana con quella nostrana?
SN: Sono rapporti complessi e articolati. Di sicuro le mafie italiane sono saldamente al comando, e la mafia nigeriana sa di essere ospite in Italia. Sono relazioni di interesse, di opportunità e di sfruttamento delle nuove rotte del narcotraffico. Lo spaccio al dettaglio è l’outsourcing del lavoro più pericoloso. Le nostre mafie controllano le grandi rotte che comunque passano anche e soprattutto dall’Africa occidentale, lavorano con la corruzione, i grandi appalti pubblici. Le mafie straniere lavorano invece nei campi che poi creano allarme sociale, e questa è una precisa strategia criminale nostrana. Più volte ho ascoltato la tesi per cui la mafia nigeriana starebbe prendendo il controllo in Italia. Ecco, è un’assurdità: se la mafia nigeriana, come le altre mafie straniere, è presente sul suolo italiano, è perché ha il lasciapassare della criminalità organizzata italiana.
Qual è il giro d’affari che la mafia nigeriana muove in Italia?
SN: Un giro d’affari importante, che ha la sua rotta principale nel ritornare sotto forma di ricchezza illegale in Nigeria, nei propri paesi di appartenenza. Siamo un mercato per il malaffare, i nostri vizi rendono denaro che poi torna per creare ulteriori sistemi criminali in patria. Le mafie di origine africana e in primis quella nigeriana si muovono in ogni ambito, dal traffico di esseri umani a quello del narcotraffico, dalle truffe telematiche alla gestione del deep web. Una mafia che ha però connotazioni ancestrali nei propri riti e anche per il ricorso ai riti voodoo.
Sembra che Cult abbia sin da principio le basi tematiche necessarie per diventare un prodotto made in Italy vendibile anche all’estero, un po’ come Gomorra. Tutti sappiamo che oggi film come Il caso Mattei o Le mani sulla città sarebbero progetti “irrealizzabili”, e non soltanto perché quello di Francesco Rosi era un vero cinema d’impegno civile e che non si limitava a “giocare” a sembrarlo, ma anche perché oggi la produzione cinematografica italiana ha forse un problema di pluralismo.
FP: Della nostra industria cinematografica cambierei la mentalità. Quasi sempre i nostri progetti vengono valutati da funzionari del marketing più che da produttori capaci di leggere un progetto guardando al di là del proprio naso.