Lino Guanciale, noi abbiamo già pronto il bugiardino. Sappilo.
Quale bugiardino?
Il tuo. Aspetto, te lo leggo: “Lino Guanciale, posologia: prima dose su Rai 1, con Sopravvissuti dal 3 ottobre, poi a seguire i booster La porta rossa 3 e Il commissario Ricciardi 2. Il ciclo garantisce una copertura completa da qui al 2023 inoltrato”. Che ne pensi?
Confermo: i responsabili dei palinsesti Rai hanno consultato un apposito Comitato Tecnico Scientifico per capire quando inoculare le dosi di Guanciale! (ride, nda)
Prima ancora che sex symbol, Guanciale dovrebbe essere eletto a vaccino degli ascolti tv. Se infatti in onda c’è lui, le reti – a qualunque orario, mese o stagione dell’anno – scoppiano di salute. All’occorrenza LinoVax funziona persino in replica, come dimostra il successo riscosso, recentemente, dalla riproposizione della serie tv La dama velata: una roba, diciamocelo, da sceneggiato anni ’50, che grondava mélo a ogni inquadratura, ma che aveva lui come protagonista, ergo ha sbancato in ascolti. Ora l’attore torna sui canali Rai con ben altri tre progetti che ha girato non si sa come e non si sa quando, visto che gestire più set contemporaneamente è un’impresa titanica, soprattutto se, come nel suo caso, si è appena messo su famiglia. Il nostro è infatti da poco diventato papà. Nel mentre ha pure trovato il tempo di pubblicare un libro: il racconto lungo Inchiostro (Round Robin Editrice).
Lino, io voglio la stessa cosa che prendi tu…
Guarda, sarei curioso anch’io di capire la sostanza endocrina che mi tiene in piedi: per certi versi, sono un sopravvissuto a me stesso!
Ma non dovevi rallentare, ridimensionando i tuoi impegni?
In realtà l’ho fatto.
Quando, scusami?
L’anno scorso. Dopo le riprese della Porta rossa 3 è nato mio figlio, e quindi ho preso solo degli impegni teatrali, a Milano, in modo da stare il più possibile in famiglia. Non voglio perdermi nemmeno un minuto con lui.
Dal 3 settembre sei protagonista di Sopravvissuti, una serie che non hai esitato a definire “un incrocio tra Lost e Homeland”. Diciamo che sei stato giusto un filo ambizioso…
Ho cercato di dare delle reference, ma è chiaro che poi bisogna fare i dovuti distinguo! (ride, nda) Sicuramente credo molto in Sopravvissuti, trovo che sia un progetto davvero innovativo.
Qual è l’aspetto di rottura?
Prima di tutto la spettacolarità. Quasi tutte le scene legate al naufragio e alla tempesta sono state girate in studio, e questo ha implicato un grande investimento negli effetti speciali: una scelta poco usuale per il mercato italiano. Dal punto di vista della scrittura, è una narrazione che non concede molti punti di “rifiato” verticali: a comandare è la linea orizzontale, e tutto è al servizio di una suspence continua. La storia è una lunga corda tesa, dal primo all’ultimo episodio.
Comunque, dopo tutto quello che è successo – pandemia, guerra, crisi di governo – pure io mi sento un po’ una sopravvissuta.
Vale anche per me.
Secondo te, a occhio, la nave Italia affonderà?
È difficile dirlo adesso. Diciamo che non conviene a nessuno che affondi, e quindi si farà tutto quello che è necessario per convincere i mercati e l’Unione Europea che siamo affidabili. Metteremo quindi la nostra migliore faccia da capitano. Credo comunque che ci sarà molto da dibattere, soprattutto sul riconoscimento di alcuni diritti che ritenevamo acquisiti e invece potrebbero essere messi in discussione. Penso, fondamentalmente, all’aborto.
Ma delle tre tempeste, ossia pandemia, guerra e crisi di governo, quale ti ha spaventato di più?
Probabilmente la guerra. La pandemia ha generato una risposta globale di grande compattezza, nonostante alcuni Stati, come la Russia e la Cina, brillino per opacità. Sulla guerra invece non c’è stato un compatto fronte comune. Per certi versi non mi sento nemmeno di dire che si scontrano due blocchi, perché sul fronte alleanze pro Putin il banco inizia a scricchiolare… Tutto sommato, anche sulla crisi politica italiana la guerra ha avuto un grande peso, così come anche sulle scelte future che il governo dovrà prendere.
Torniamo a te e al tuo lavoro da attore. Sbaglio o Luca di Sopravvissuti è il tuo primo personaggio profondamente dark?
È così, anche se all’inizio non lo è per nulla: sulle prime, Luca assomiglia quasi ad alcuni miei personaggi passati. Poi però arriva la tempesta che, come un asteroide, sconvolge la sua vita, catapultandolo in un contesto primordiale di mera sopravvivenza. Per vivere farà qualsiasi cosa e, una volta tornato a casa, proverà a mettere tutto a tacere nell’illusione di potersi riprendere la sua vita precedente, così come l’aveva lasciata. Mi sono quindi misurato con un personaggio che guarda dentro un abisso che, di rimando, guarda lui. È stata una prova attoriale a dir poco entusiasmante.
Nella tua carriera è come se ci fosse un prima e un dopo: l’era del “se il personaggio non è un alfa tormentato, non lo vogliamo” e poi quella attuale, all’insegna della sperimentazione. Ecco, io voglio sapere cos’è successo nel mezzo: qual è la molla che ha sancito il cambio di passo?
Partiamo dal fil rouge: sia prima che dopo, ho sempre fatto teatro. Non l’ho mai lasciato e lì ho sempre scelto testi più impegnativi e complessi possibili. Quanto alla tv, ho iniziato tardi e, come succede a tutti gli emergenti, il mercato sulle prime non sa cosa fare di te. Deve capire come usarti. Quando capisce in cosa eccelli, tende a chiederti sempre quello. I miei primi ruoli sono stati leggeri, da comprimario e sempre in commedia: penso per esempio a Una grande famiglia e Che Dio ci aiuti. Funzionavano ma, onestamente, ero terrorizzato all’idea di fare solo quello, tanto che, se fosse andata a finire così, avrei valutato l’idea di lasciare la tv. Poi però mi è arrivata la proposta, peraltro inaspettata – conta anche la fortuna, nel mio mestiere – della Dama velata: avevo l’occasione di passare dai “beta di commedia” agli “alfa tormentati”. L’ho quindi colta al volo perché desideravo ampliare il mio spettro di riconoscibilità dimostrando al mercato che potevo toccare anche altre corde. Dato che il gioco funzionava, sono stato allora più ambizioso e ho cercato dei personaggi sempre più sperimentali, come per esempio Cagliostro o Ricciardi. Io concepisco il lavoro così: come qualcosa che ti deve mettere sempre in discussione. Il ruolo deve essere scomodo: sì, mi piace avere l’ansia (ride, nda). Vorrei proprio che passasse quest’idea, ossia che non mi limito a proporre sempre la solita cosa, pur di andare sul sicuro.
Be’, mi sembra giusto, altrimenti il cachet lo chiamavano reddito di cittadinanza…
Mi sembra un pendant più che corretto.
Però, perché questa fissazione di ammazzare i personaggi? Dopo tre stagioni, puntualmente dai forfait.
Il mio ragionamento è: uccidilo prima che lui uccida te.
In che senso?
Votarsi tutta la vita a un solo personaggio è da egoisti nei riguardi del pubblico, oltre che miope a livello professionale. Impegnarsi a tempo indeterminato con una lunga serialità, arrivando magari a cinque, otto, dieci stagioni, vuol dire inevitabilmente non avere tempo materiale per provarsi su altri fronti. È una scelta che finisce per impoverire il proprio percorso artistico.
Sperimentare vuol dire però, inevitabilmente, anche sbagliare. Noi, per esempio, non si è rivelato il successo atteso. Cosa non ha funzionato?
Ho l’impressione che abbiamo sofferto il periodo di messa in onda, che ha coinciso con il periodo più caldo della guerra. Tra l’altro gli ascolti non hanno premiato né Noi né Vostro Onore (la serie con Stefano Accorsi remake di Your Honor con Bryan Cranston, nda), ma tutto sommato nemmeno Studio Battaglia (reboot dell’inglese The Split con Lunetta Savino e Barbora Bobulova, nda), che in altri momenti, avrebbe potuto avere più attenzione. Credo quindi che abbia molto pesato questo fattore tempistico.
Tu ti sei sempre interessato di politica. Cosa resta oggi del piccolo Lino, boy scout anarchico?
È vivissimo e tiene le orecchie belle tese per capire dove andare e come fare per manifestarsi nella maniera più convincente possibile. Non è un caso se ho scelto, per esempio, di essere testimonial di UNHCR, che aiuta i rifugiati.
Sei andato a votare?
Sì, certo. Se c’è una cosa che mi è spiaciuta tremendamente di queste elezioni è il numero di persone che non sono andate a votare. Tra l’altro rappresentano un problema anche per chi ora è al governo.
Le reazioni alla vittoria di Giorgia Meloni non sono state esattamente pacifiche. Si è esagerato nei toni?
Purtroppo noi italiani non capiamo il concetto di “rispetto dell’avversario”, e questo vale sia per la destra che per la sinistra. È stata una campagna elettorale terrificante dal punto di vista dei contenuti. Chi mi conosce sa bene che non ha vinto le elezioni chi era nei miei desiderata, tuttavia penso che questa sia un’occasione irripetibile per la sinistra, anzi per l’area progressista in generale, per ripensarsi dalle fondamenta. Ho l’impressione che si sia chiuso un ciclo storico e mi auguro che si abbia la maturità e la lucidità di vederlo: possono nascere buoni frutti da questa crisi elettorale.