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Danny Boyle: «La fantascienza ci salverà»

Il regista premio Oscar, chiamato a curare la prossima Soggettiva della Fondazione Prada, riflette su intelligenza artificiale e futuro. Ma racconta anche i 20 anni di 'The Beach' e perché con Bond non ha funzionato

Foto: Gareth Cattermole/Getty Images

Danny Boyle, su sfondo di torre d’oro, mi parla della sua Soggettiva in partenza il 28 febbraio alla Fondazione Prada di Milano, vale a dire la rassegna d’autore – prima, tra i colleghi-curatori, ci sono stati Nicolas Winding Refn e Pedro Almodóvar – con titoli selezionati a loro (e nostro) piacimento. «All’inizio volevo fare una cosa sulla musica nei film, poi ho pensato che no: il tema cruciale del nostro tempo è un altro». La fantascienza. Ecco dunque, nella selezione del regista di Trainspotting, i classiconi Metropolis di Fritz Lang e Il Golem di Paul Wegener, ma pure Blade Runner e Alien di Ridley Scott, Lei – Her di Spike Jonze, e gemme perdute come THX 1138 di George Lucas e La fuga di Logan di Michael Anderson.

Partiamo proprio da quella cosa che hai detto: la fantascienza è il genere più importante del nostro tempo.
Lo è, senza dubbio. Stiamo vivendo una crisi, oddio, non so se chiamarla crisi… Un momento critico, ecco, che riguarda l’intelligenza artificiale, e la conoscenza delle macchine. Ho sempre amato la fantascienza, ma non quella “fantastica” alla Star Wars in cui tutto è possibile. Mi piacciono i film che provano a fare un salto nel futuro per capire come sarà. A volte sono ridicoli, perché cannano clamorosamente le previsioni. Altre volte ci azzeccano e sono, per questo, sbalorditivi.

Torniamo al momento critico.
Sai, la storia dell’uomo ha da sempre a che fare con un sistema di credenze che ci connette tutti. Gli uomini, si dice, possono relazionarsi al massimo con 150 persone: un villaggio, com’era al principio. La ragione per cui ci siamo spostati nelle città è il fatto che abbiamo imparato a comunicare con gli estranei: altre 150 persone, e poi 150 ancora. Ciò che ci mette in relazione è quel sistema di credenze. È Dio, che ovviamente è esistito ed esiste in mille forme diverse. Nel secolo scorso, abbiamo iniziato ad abbandonare Dio. L’uomo l’ha rimpiazzato con se stesso. E con i soldi, che sono diventati il nuovo sistema di credenze collettivo. Ora lo scenario sta cambiando di nuovo.

In che modo?
I soldi, intesi come materia tangibile, sono diventati svantaggiosi. Ora è tutto contactless: paghiamo Uber, e le piattaforme di streaming, e qualsiasi altra cosa senza toccare niente. E, per questo, spendiamo molto più facilmente. L’esperimento chiamato Universal Basic Income serve anche a invertire questa tendenza: lo Stato ti dà, che so, 300 euro per vivere, così tu hai soldi fisici che altrimenti smetteresti di maneggiare e lo Stato stesso continua a produrne. Ci stiamo a poco a poco separando dai soldi, e spostando verso un nuovo sistema di credenze: i dati. Ne siamo tutti schiavi, anche se non pensiamo di esserlo. Uno dei trucchi è la comodità, l’intuitività di questo sistema: Steve Jobs è tra i principali responsabili di tutto questo. È un potere così seduttivo che gli regali tutto te stesso senza pensarci. Non fai nessuna fatica. Pensi di essere virtualmente dentro The Irishman e non sei nemmeno uscito di casa. La vera crisi arriverà quando l’intelligenza artificiale inizierà a replicare se stessa. E allora che cosa faremo? Che ne sarà dell’essere umano?

Sembri più affascinato che preoccupato da ciò che immagini.
Ieri leggevo sul giornale che hanno trovato un nuovo potentissimo antibiotico capace di debellare i cosiddetti superbug. Sono state le macchine a scoprirlo, e per questo l’hanno chiamato halicin, in riferimento a HAL 9000, il sistema operativo di 2001: Odissea nello spazio. Leggevo questa roba e pensavo: cooosa?! Ma è fantastico! Il fatto è che le macchine funzionano. È un processo inevitabile. Non andremo in guerra contro i robot, come abbiamo visto nei film di Hollywood. Ma verrà un punto critico in cui dovremo fare i conti con questo scenario. Io una risposta ce l’ho.

Spara, subito.
È ciò con cui sono cresciuto, con cui mi sono formato. Non è Dio: è la cultura. È l’unica cosa che ci separa dalle macchine. Certo, mi dirai: anche le macchine possono produrre cultura, ci sono musicisti artificiali, e cyber-scrittori, e bla bla bla. Ma le macchine sono fatte per correggere le nostre debolezze, i nostri difetti. L’uomo, ce lo spiegava Shakespeare secoli fa, è invece fatto per tenerseli. L’amore è una di queste fragilità e, guarda caso, la maggior parte dei film di questa retrospettiva di fantascienza è lì che va a parare. Bisogna ridare all’uomo la possibilità di esplorare se stesso attraverso la cultura. Solo così potremo mantenere una relazione tra esseri umani.

A parte Sunshine, il tuo film più canonicamente sci-fi, per le tue storie sembri più attratto dalla realtà che dalla fantascienza.
Ho riflettuto molto su questa cosa che dici. Soprattutto dopo aver girato Steve Jobs, che sì, era una biografia, ma mi ha illuminato sulla realtà digitale intuitiva, a misura di bambino, che viviamo tutti i giorni, ma di cui non ci rendiamo conto così profondamente. Per colpa del GPS abbiamo perso il senso dell’orientamento, che era connaturato all’essere umano. Tra un po’ perderemo pure i ricordi, perché tanto non ci servono più.

L’altro giorno, nel locale dove si raccoglie la spazzatura nel mio condominio, ho visto dei vecchi atlanti stradali buttati nel bidone della carta: tanto c’è il navigatore a dirci dove andare.
Esatto. E prendi il caso del coronavirus. Che cosa succederà, domani, se le macchine saranno più brave degli scienziati a trovare potenziali virus? È facile che ciascuno, specialmente se anziano, avrà un sistema sanitario direttamente a casa propria: è ciò che racconta Robot & Frank, che ho voluto nella rassegna; ma, in fondo, anche Big Hero 6 della Pixar, presente pure quello. Quel sistema sanitario, magari, deciderà che, se hai la febbre, non potrai uscire di casa. E ti bloccherà a letto. Il che, da un punto di vista strettamente sanitario, è corretto. I robot saranno forse più svegli delle autorità cinesi, che non sanno gestire l’epidemia: vanno alla cieca, scelgono a caso chi deve usare la mascherina e chi no. Ma noi in che cosa ci trasformeremo?

Da Trainspotting a The Millionaire, il tuo cinema è più politico di quanto si possa pensare. Come sarebbe il film sulla Brexit di Danny Boyle?
In tanti, di questi tempi, mi fanno tornare alla cerimonia d’apertura delle Olimpiadi di Londra del 2012, che ho diretto. Era un evento che dava un’immagine positiva dell’Inghilterra e dei suoi valori, che io credo siano intatti. Ma è vero, abbiamo attraversato un periodo turbolento che i politici hanno scelleratamente amplificato, e a cui i media sono andati dietro. In Inghilterra è esplosa una follia collettiva che ha lanciato il giudizio fuori dalla finestra. Ma i valori di quella cerimonia, dicevo, sono sopravvissuti. Una delle figure che celebrammo allora fu Tim Berners-Lee, colui che ha inventato Internet e che, soprattutto, ha voluto fosse libero e gratuito: pensava che solo in questo modo le persone avrebbero potuto avere un reale potere. Io oggi credo che sia molto più complicato di così. Tutti abbiamo questo potere, è vero, ma la maggior parte della gente non sa cosa comporta. Vede che Google funziona, ma non sa perché.

The Beach, incredibilmente, ha appena compiuto vent’anni.
Stanno lavorando a un nuovo adattamento per la tv di quella storia, pensa. Oggi tutto diventa tv, stai attento che anche tu tra poco diventi tv! (ride, ndr). Ho letto il copione e il punto di vista di questa rilettura mi è parso molto interessante.

The Beach è diventato un cult forse pure al di là delle aspettative.
C’era Leonardo fresco di Titanic, il che ha contribuito a renderlo tale. Ma poi il pubblico si è accorto che, oltre DiCaprio, c’era una storia tristissima sull’impossibilità di trovare il paradiso. All’epoca ci criticarono aspramente, anche per le posizioni ecologiste.

Invece pure quel film fu, a suo modo, profetico.
Prendi un altro titolo della Soggettiva: Generazione Proteus, uscito nel 1977. Ricordo che, quando lo vidi la prima volta, lo trovai stupidissimo. C’era questa specie di Alexa ante-litteram che intrappolava Julie Christie dentro casa e la metteva persino incinta. Ovviamente scenari simili non si verificheranno, ma c’era un’altra deriva che invece potrebbe accadere. La macchina impediva all’uomo di fare esperimenti scientifici, in quanto dannosi per il pianeta. Se non facciamo qualcosa noi per il cambiamento climatico, un giorno le macchine potrebbero decidere al posto nostro. Le automobili non si accenderanno più, le fabbriche smetteranno di funzionare, tutto si fermerà. Il grande chimico inglese James Lovelock, che l’anno scorso, nel giorno del suo centesimo compleanno, ha pubblicato il suo ultimo saggio, resta molto positivo sull’evoluzione dell’intelligenza artificiale. Sostiene che le macchine preserveranno la Terra più di quanto non abbiamo fatto noi, che abbiamo portato tantissime specie all’estinzione e stiamo radendo al suolo l’Amazzonia. Le macchine non faranno i nostri stessi errori? Chi lo sa.

Non hai fatto una retrospettiva sulla musica nel cinema, ma ce ne metti moltissima nel tuo: fino ai Beatles del tuo ultimo film, Yesterday.
La fortuna è fare un mestiere che mi permette, indirettamente, di occuparmi di musica. Oggi mi diverte pensare che, quando uscì Trainspotting, in tanti mi accusarono di aver fatto un film “alla Mtv”. A me pareva invece una cosa di cui andare orgoglioso. All’epoca, Mtv mi sembrava l’esempio più concreto, e in costante cambiamento, di come musica e immagini possano andare insieme.

Posso chiederti perché non hai più diretto il prossimo capitolo di 007, di cui eri il regista originale?
Io e la produzione avevamo idee completamente diverse su quel che volevamo venisse fuori. E, se questo succede quando ci sono di mezzo budget così grossi, è impossibile procedere.

Tornando alla cerimonia d’apertura delle Olimpiadi, resta la splendida intro con Daniel Craig e la regina Elisabetta.
In fatto di James Bond, è il punto massimo a cui sia potuto arrivare! (ride, ndr)

Ultima cosa: il film più bello di questa stagione.
Ce l’ho: Diamanti grezzi. Il finale, quando Adam Sandler si chiude dentro il negozio, è geniale. E tutta la performance di Sandler. All’inizio pensi che esageri, non senti quello che dice. Poi, capisci che stai vivendo la sua stessa ansia. È un film meraviglioso e sono rimasto scioccato dal fatto che non abbia ricevuto nessuna nomination agli Oscar. Anche se sono felicissimo del trionfo di Parasite. Ho visto stamattina che Trump ci si è messo contro: un’altra grande vittoria del film.

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