«Ci siamo già visti, vero? Dove?» mi chiede Daredevil. «A Londra, un annetto fa» rispondo io. Sono piccole grandi soddisfazioni, soprattutto alle 10 di una domenica mattina di inizio ottobre in una Milano già nebbiosetta. Charlie Cox è arrivato alla Games Week un paio d’ore prima direttamente del Comic-Con di New York e in serata partirà per Bogotà. È la dura vita del supereroe, che in promozione deve dare il meglio di sé. E bisogna dire che Charlie lo fa senza tradire nessuna stanchezza, sorridendo e rispondendo con un garbo tutto british, ma mai costruito. Se prima per tutti era il ragazzo di Stardust, poi è diventato l’irlandese di Boardwalk Empire. Ora è, semplicemente, Daredevil.
Cox è a Milano per il panel dedicato alla terza stagione della serie Marvel sul Diavolo di Hell’s Kitchen, dal 19 ottobre su Netflix, insieme al nuovo showrunner Erik Oleson. Subito prima dell’incontro ci facciamo una chiacchierata, a partire proprio dai nuovi episodi, in cui il nemico giurato Wilson Fisk (Vincent D’Onofrio) esce di prigione, si palesa un nuovo villain all’orizzonte, Bullseye, e il giustiziere abbandona il suo costume rosso, per tornare alle origini. Si ricomincia esattamente dove è finito Defenders: Daredevil combatte con Elektra, l’edificio crolla e tutti lo credono morto.
Daredevil è più solo che mai, si è persino lasciato alle spalle Matt Murdock…
Erik, il nostro nuovo showrunner, ha ereditato il punto di partenza: un uomo che in poche settimane ha perso uno degli amori della sua vita, lo ha ritrovato per un momento e lo ha perso di nuovo, ha avuto questa bizzarra esperienza con gli altri supereroi e gli è caduto addosso un palazzo. Matt Murdock che ha davvero toccato il fondo. Non solo fisicamente, ma anche mentalmente, emozionalmente e spiritualmente.
Perché il tema della fede acquisisce un’importanza ancora maggiore?
Lo showrunner ed io abbiamo avuto lunghe conversazioni su quello che significava toccare il fondo e abbiamo capito che tutto ciò ha modificato fondamentalmente una cosa del personaggio: la sua relazione con Dio. E questo per qualcuno come Matt Murdock, cambia tutto. Non ha perso la fede, è sempre lì, ma la natura di Dio è mutata: è passato dal pensare che fosse una forza benevola, amorevole e gentile a un essere che invece è crudele e punisce. E questo rende un supereroe duro, avventato e instabile.
Come ti prepari per diventare Daredevil ogni volta che inizi a girare una nuova stagione?
Quando ci prepariamo a girare parlo con gli sceneggiatori di quale fumetto stiano leggendo, se c’è un aspetto particolare su cui concentrarsi… Non so se c’è qualcosa di differente rispetto ad altre serie tv long term, questa è la prima per me, e quindi voglio assolutamente che continui a rimanere avvincente e diversa, però bisogna anche riconoscere che le persone nella vita non attraversano dei cambiamenti giganteschi e fondamentali come Matt (ride). In ogni caso lui deve essere sempre lo stesso, quindi faccio delle modifiche sottili, a seconda delle esperienze che vive. Con i long term televisivi puoi avere la sensazione di portare avanti la stessa conversazione ancora e ancora, ma anche nella vita è così: porto avanti la stessa conversazione con mia madre ancora e ancora (ride). Basta mantenere tutto interessante.
Ho letto che tua madre ti manda le recensioni negative, è vero?
(Ride) No, dai, così mettiamo mia madre in cattiva luce! Lei è fantastica, siamo molto vicini, quello che volevo dire è che ha un gran senso dell’umorismo sulla fama e tutto quello che ne segue. Mi ha mandato una review negativa di cui ho parlato in passato, lo trovava divertente e in effetti lo è.
Hai usato la musica per entrare nel personaggio?
Da quando ho iniziato a preparare il character (e ancora oggi) ascolto un sacco Ludovico Einaudi – è italiano, vero? – È straordinario, credo che la sua musica sia incredibilmente toccante. Penso a Matt Murdock come a qualcuno che ha gusti molto sofisticati quando si tratta di musica. E quei brani aiutano moltissimo. Pensa che lo scorso week end mi sono sposato e c’era una canzone di Einaudi in sottofondo, mentre mia moglie percorreva la navata.
In cosa consiste la preparazione fisica? Perché ricordo che a Londra avevi raccontato che per te era più facile rispetto – per esempio – a Iron Fist, che doveva essere più preciso nei movimenti…
Matt Murdock è come un attabrighe da pub, picchia e basta, ha sua una tecnica, ma quando la situazione diventa difficile è un MMA fighter, mentre ad esempio Iron Fist ha dei movimenti molto precisi. Ricordo che sul set di Defenders mi dispiaceva per Finn perché lui non doveva imparare solo la coreografia, ma proprio lo stile. La mia preparazione fisica è cambiata nel corso delle tre stagioni: in quest’ultima la parte nuova del mio regime è stata, anche un po’ per forza, lo yoga, perché il mio corpo era stanco dopo 3 anni. Quindi pratico molto hot yoga, pesi e arti marziali, ovviamente.
Ho sentito che non sei un grande fan dei supereroi, anche se Daredevil è piuttosto diverso, no?
Quando l’ho detto intendevo che non lo sono rispetto ad altri. In questi anni ho avuto il grande piacere di incontrare dei super fan e dire che sono un fan rispetto a loro mi sembra davvero uno scherzo. Per me è come se qualcuno dichiarasse: “Sono un tifoso dell’Arsenal”. E io gli chiedessi: “Vuoi vedere la partita?”. E lui: “No”. Capisci cosa intendo? Ho visto tutti i film, li ho amati, così come le serie tv, ma non sono cresciuto con i supereroi come altri miei coetanei, ecco.
Come gestisci tutta questa storia della celebrità?
Non ha avuto un grande impatto sulla mia vita, davvero. Viviamo in un periodo in cui ci sono così tanti film e serie che, come conseguenza, ci sono molte “celebrità” (le virgolette le ha mimate Charlie con le mani, nda). Non è più come essere una star negli anni ’70 o ’80, era uno stagno piccolo allora, ora ce ne sono tante. Vivo a New York, prendo la metro ogni giorno e le persone mi dicono: “Ehi, come va?”, ma non sono invadenti. Non sono sui social, non leggo niente di quella roba, non so cosa succede lì, magari mi odiano!
Cosa ne pensi di tutto l’hype che in questo momento circonda gli attori britannici come te?
Non so, sono così tanti! E ci sono tanti supereroi britannici. Qualche anno fa c’erano Orlando Bloom, Robert Pattinson e Daniel Radcliffe che sono diventati delle grandi star, giovani attori inglesi che erano i protagonisti di giganteschi franchise: beh, tutti quei ragazzi hanno creato un precedente. Mi sento come se andassi a cavalluccio sulle loro spalle, perché c’è qualcuno di noi che è stato molto fortunato e in parte è perché loro hanno avuto successo.
Che serie tv guardi?
Non guardo tanta tv perché ho un figlio, lavoro parecchio e quando accendo la televisione è per il calcio… sì (ride), è una cosa molto italiana. Ma ho visto The Leftovers, penso che sia fantastica, una delle mie preferite. Su Netflix poi ci sono delle straordinarie documentary series: ho visto Wild Wild Country poco tempo fa, è incredibile!
Cosa ti piace di questo tipo di eventi, tipo il Comic-Con e le Games Week?
Eravamo a New York ieri – oggi per me (ride) – stavamo sul palco davanti a 5 mila persone super entusiaste e pensavo: puoi fare un film, vincere un Oscar, essere un attore famoso e premiato e comunque non vivere un’esperienza del genere… Dove altro potresti provare una cosa così? Essere in un show di genere, con una fortissima fan base molto entusiasta, uscire sul palco davanti a tutto quel pubblico ti fa sentire come un Rolling Stone per un attimo, è così strano, dà dipendenza, è una sensazione incredibile, dici qualcosa che magari non è nemmeno divertente e tutti ridono, è folle! Solo in pochi hanno la fortuna di provare questa esperienza: super rock star, attori tipo Brad Pitt e poi protagonisti di serie tv di genere, è bizzarro! È la mia cosa preferita venire qui e incontrare fan così appassionati. Sai, quello che facciamo non è così importante nel grande quadro, ma ti fa sentire che in qualche modo hai un impatto sulla vita degli altri.