Quali sono gli stilemi di un period drama? Quali sono stati gli elementi che hanno esaltato il ritratto estetico di un’epoca passata? Fin da Barry Lyndon di Stanley Kubrick, nel 1975, in cui la grandiosa messa in scena e l’apparente regalità del suo protagonista tessevano la tela di un povero squattrinato deciso a scalare la società britannica, al romanzo di formazione a Versailles di Sofia Coppola, Marie Antoinette, che mostrava la giovane regina di Francia nelle vesti un’autentica punk rocker, la musica ha sempre determinato lo svolgersi e l’alimentarsi di vicende e trame nascoste. Ma chi ne sta portando avanti l’evoluzione?
Con la sua miscela di eleganza storica e trame da dramedy romantica, Bridgerton ha conquistato il pubblico di tutto il mondo sin dalla sua prima stagione nel 2020. Tra i molti elementi che contribuiscono al fascino della serie creata da Chris Van Dusen e prodotta da Shonda Rhimes, la colonna sonora svolge un ruolo fondamentale nel trasportare gli spettatori nell’atmosfera regale e coinvolgente dell’epoca georgiana, attualizzandola ai giorni nostri con alcuni classici del pop reinterpretati fedelmente in stile operistico. Abbiamo parlato con il compositore della serie, Kris Bowers (Green Book, Una famiglia vincente – King Richard, Il colore viola, Dear White People) per esplorare la complessità musicale di un period drama e il processo dietro la creazione di una partitura che catturi lo spirito dei tanti protagonisti, le anime di Bridgerton e le intricate relazioni familiari. Concentrandoci ovviamente sulla coppia composta da Colin Bridgerton e Penelope Featherington, al centro dei nuovi episodi.
Bridgerton è senza dubbio un’opera corale, suddivisa in più capitoli e che prende in esame di volte in volta personaggi e atmosfere diversi. Come hai cercato di raccontare questo aspetto da un punto di vista compositivo?
È una bella domanda, penso che molto sia dipeso da come è stato concepito il copione iniziale sin dalla prima stagione e da come si sviluppano conseguentemente i diversi personaggi. E quella sensazione è davvero molto chiara se si considera il procedere degli episodi. Per me è stato fondamentale a livello musicale e compositivo raccogliere e catturare tutte quelle emozioni che contraddistinguono ogni componente della famiglia Bridgerton. Per Colin, ad esempio, in quest’ultima stagione era fondamentale creare un nuovo suono che provocasse qualcosa di differente rispetto al passato, soprattutto in relazione ai protagonisti precedenti come Kate, Anthony e Daphne. Il mio approccio è stato prettamente emotivo e ho cercato di rappresentarlo attraverso i viaggi che aveva intrapreso prima di tornare a casa. Quindi il nuovo Colin che vediamo, anche dal punto di vista strettamente sonoro, è un personaggio che ha vissuto esperienze incredibili, è cresciuto dal punto di vista esperienziale, ma soprattutto ha scoperto una nuova virilità, una nuova immagine di sé, con un diverso livello di fiducia e spavalderia. Per questo il tema che ho composto per lui nasconde al suo interno tutti questi sentimenti che sono fondamentali nella costruzione del suo personaggio non solo in termini di sceneggiatura. La cosa davvero fondamentale per me è che ogni personaggio rappresenti una differente anima della famiglia e, di conseguenza, come ognuno di loro si distingua dagli altri nei momenti in cui lo incontriamo nell’arco della narrazione. Sia nella scrittura che nella recitazione dovevo ritrovare tutti quegli elementi che mi permettessero poi di connettere i diversi personaggi a livello musicale.
Secondo te c’è effettivamente una linea sonora che collega tutti i membri della famiglia Bridgerton, così come le altre famiglie nobiliari che sono all’interno della storia?
Sì, sicuramente. Anche se la serie si focalizza su protagonisti diversi, appartenenti alle tante famiglie che compongono il mondo di Bridgerton, credo sia fantastico che consenta ai vari temi sonori di crescere contemporaneamente allo svilupparsi e allo scorrere delle stagioni. Per questo nella nuova stagione non ascoltiamo soltanto i nuovi temi composti per Colin e Penelope, ma allo stesso tempo si uniscono a loro anche i leitmotiv sonori ideati precedentemente per Kate, Anthony, così come per Lady Danbury, Violet Bridgerton e la Regina Carlotta. Man mano che l’universo di Bridgerton si espande, cresce anche la sua anima sonora, tanto da creare nuove linee inscindibili dalla narrazione centrale.
Sin dalla prima stagione ci sono sempre stati dei chiari riferimenti alla musica pop reinterpretata in chiave operistica come Thank U, Next di Ariana Grande, Material Girl di Madonna, Wildest Dreams di Taylor Swift, bad guy di Billie Eilish e Stay Away dei Nirvana. In che modo ti interfacci con il dipartimento dei supervisori musicali, in cui sono passati negli anni nomi come Alexandra Patsavas (The O.C., Gossip Girl, Grey’s Anatomy) e oggi Justin Kamps, e che connessione c’è tra la tua musica e il lavoro di supervisione musicale?
Penso che sia sempre utile avere un confronto diretto con Alex e Justin, mi aiuta a capire quando la musica che compongo ha bisogno di avere anche delle sfaccettature che si avvicinino di più alla forma della canzone pop, in modo da poter mettere in risalto anche le loro scelte legate alla supervisione musicale. C’è un continuo confronto anche rispetto agli arrangiamenti di alcuni classici che abbiamo scelto di integrare nelle stagioni precedenti, cercando perennemente di attualizzarli rispetto al momento storico in cui la vicenda si svolge. Soprattutto nella prima stagione con Alex (Patsavas), utilizzare musica di matrice pop è stato parte integrante per me nella fase di sviluppo sonoro: non appena ho ascoltato i tanti riferimenti che Alexandra aveva scelto, è stato facile farmi influenzare e iniziare a trovare tante modalità diverse per sfruttare la musica pop come modello per la partitura che stavo scrivendo. Ha influenzato le scelte ritmiche, la linea melodica, l’armonia, e tutto quell’insieme di elementi che dovrebbero essere all’interno di una colonna sonora originale. Ancora oggi rappresenta una parte fondamentale del DNA della partitura. Mentre compongo, mi capita spesso di ascoltare alcuni brani pop che saranno all’interno della serie solo per comprendere come il tempo, il ritmo o la scena in cui vengono utilizzati potrebbero influenzami. In altri casi invece, dove sono assenti parti di musica edita, la musica originale deve operare a metà strada. Potrebbe essere una scena di ballo in cui la colonna sonora non deve solo dare ritmo alle figure in scena che danzano, ma anche mantenere intatta la sua matrice originale, così come descrivere ciò che sta accadendo, e quindi in quelle situazioni mi devo interfacciare con Justin e con il team e capire che tipo di musica avevano pensato di inserire in quella sequenza e come farla convivere con il tempo e il ritmo della mia composizione. Poi è molto interessante il fatto che, nei momenti in cui ci sarà una cover orchestrale di un grande classico della musica pop, la partitura deve essere abbastanza differente, non deve subito risultare all’orecchio dello spettatore che stiamo effettivamente riproducendo quel brano, in modo che non lo distragga. Quindi dobbiamo assicurarci che la musica pop svolga la sua funzione, ma che allo stesso tempo la mia partitura rimanga indipendente. E che risultino perfettamente due anime distinte dello stesso progetto.
Come lavori musicalmente, dovendo concentrarti in ogni singola stagione su due nuovi protagonisti? Lo trovi un vantaggio che ti permette di scoprire nuova musica, e soprattutto il miglior modo per rimanere connesso alla serie?
Sì, esattamente. È quello che mi aiuta a rimanere perfettamente focalizzato sulla serie. Penso che se fossimo rimasti sempre ancorati agli stessi personaggi sarebbe stato molto facile rischiare di ripeterci, quindi avere nuovi protagonisti e nuove storie da raccontare mi permette costantemente di avere nuove iniezioni musicali, nuova energia sonora, proprio perché ci sono nuovi temi da comporre e nuovi protagonisti da seguire anche con la partitura.
Come definiresti musicalmente Colin e Penelope?
Sicuramente sono accomunati entrambi da uno spirito molto amichevole, in quanto ovviamente sono grandi amici, ma c’è anche molto imbarazzo nel comprendere se decideranno o meno di impegnarsi in questa relazione. Per questo motivo penso che ci sia anche la sensazione ritmica di un continuo tira e molla, l’idea che forse si arrenderanno a questa loro condizione oppure decideranno di impegnarsi l’uno nei confronti dell’altra. Penso che il tema che ho composto si strutturi proprio secondo queste specifiche sezioni.
Pensi che la tua musica si comporti come le trame nascoste che Lady Whistledown vuole mostrare?
In realtà non ci ho mai pensato (ride). Credo che la musica che ho composto abbia sempre cercato di fare un servizio a quello che la sceneggiatura racconta, così come l’evolversi dei suoi protagonisti. Sicuramente ci sono dei momenti in cui cerco di mettere in risalto ciò che Lady Whistledown sta effettivamente tramando, ma penso che a parte questo sia importante per me mettere in risalto tutto, e non solo quelle che possono essere le trame nascoste.
Hai esordito nel mondo cinematografico con Green Book, film fortemente musicale, legato a un certo genere di composizione. Come pensi si sia evoluta la tua idea di musica per il cinema negli anni, avendo lavorato anche a tante serie tv?
Ottima domanda. Oggi penso di fidarmi molto del mio istinto, è qualcosa su cui ho sempre contato. Ma in passato avevo un po’ di timore a lasciarmi andare e avere tutte queste esperienze. Imparare così tanto da ciascuno di questi progetti e con ciascuno dei miei collaboratori mi ha portato nel tempo a fidarmi molto di più di ciò che istintivamente l’immagine poteva trasmettermi subito a livello musicale. Quindi penso che si tratti in gran parte di avere imparato a lasciarmi guidare, così da far crescere anche il mio rapporto con i registi. Un altro aspetto che si è decisamente evoluto nella mia formazione come compositore di musica per lo schermo è stato comprendere cosa i registi intendano rappresentare quando vogliono raccontare una storia, cosa vogliono dire. E poterlo comprendere mi permette di sapere perfettamente dove poter operare con la mia musica, cosa esaltare o meno.
A marzo hai vinto il tuo primo Oscar come produttore e compositore per il miglior cortometraggio documentario, The Last Repair Shop, che mette in luce una storia meravigliosa: Los Angeles è oggi l’unica città dove si riparano gratuitamente gli strumenti musicali per tutti gli studenti delle scuole pubbliche. Come pensi che il percorso scolastico e quello accademico possano continuare a far crescere nuove voci nel mondo della composizione per il cinema?
Credo che diventare musicista aiuti tante persone sotto molti aspetti della vita che vanno ben oltre l’essere un musicista, come hai detto tu. Svolgere un compito difficile come può essere ad esempio riprodurre un brano e scomporlo in piccole parti eseguibili e renderle fruibili rispetto a quella che è la tua conoscenza in quel momento corrisponde perfettamente a quasi tutto quello che può accaderti nella vita. Ma anche l’idea di suonare con un gruppo di persone e imparare ad ascoltare qualcuno che è accanto a te e in sintonia con te si traduce molto bene in quella che potrebbe essere una conversazione e nell’ascolto delle persone con cui interagisci e parli. Quindi è stato davvero molto interessante poter mostrare questa storia che impersonifica la realtà musicale di Los Angeles: molte persone possono testimoniare di essere diventati degli esseri umani migliori mentre stavano imparando a suonare uno strumento. È stato davvero importante per noi poter mostrare come nell’educazione musicale non conti solo l’esercizio o la disciplina, ma soprattutto i benefici che queste persone ne trarranno potendola studiare liberamente.