Tutto quello che vorreste sapere su The Bad Guy (ma non sapete a chi chiedere). E cioè: ma come si crea, come si costruisce e, soprattutto, come si gira una serie così, che è a mani bassissime una delle cose migliori viste in Italia negli ultimi anni (ormai manco ci pensiamo più alla distinzione tra cinema e serialità). Lo spoiler incombe, il pericolo è dietro l’angolo, ma il pericolo (e cioè il cinema) è il mestiere di Giuseppe G. Stasi e Giancarlo Fontana, aka i registi di The Bad Guy (la seconda stagione è disponibile dal 5 dicembre su Prime Video). Mettetevi comodi perché è una bella cavalcata non solo nel mondo di Nino Scotellaro/Balduccio Remora, ma una chiacchierata espansa con due super nerd del cinema che sono riusciti a realizzare in pieno quello che volevano. «Terribilmente», commenta Giuseppe. E già questo vi dà la dimensione della nostra conversazione.
Partiamo da quella che, a posteriori, pare quasi un’origin story dell’idea alla base di Bad Guy, e cioè il corto Il cavaliere Oscuro – Il ricorso, che i due avevano realizzato per il programma di Sabina Guzzanti Un Due Tre Stella nel 2012: «Ah, finalmente qualcuno che lo nota, che bello!», commentano in coro. «Come diceva Brecht in Vita di Galileo: “Sventurata la terra che ha bisogno di eroi”. Quando guardavamo Batman, per gioco ci dicevamo sempre: “Pensa questo in Italia quante denunce si beccherebbe”. Ovviamente per violenza e percosse, ma parliamo anche della Batcaverna abusiva, delle intercettazioni sui tetti delle abitazione private, dei maltrattamenti di animali perché gli ambientalisti lo massacrerebbero per i pipistrelli. Poi la Batmobile non è esattamente ibrida e fa un rumore….». Eccolo, il tema dell’eroe non compreso da chi gli sta intorno stava mettendo radici: «Pensavamo già che in un Paese come l’Italia, dove tutti si divertono a fare querele, l’eroe avesse un destino che è non esattamente quello che viene dipinto nel mito americano. E invece il cattivone, il Joker, viene eletto. D’altra parte: chi non voterebbe un clown? Gli americani con Trump hanno capito la lezione italiana». Ridiamo.
A livello temporale, lo spunto di Bad Guy non è molto lontano da quel video: «Forse un anno dopo, mentre montavamo Amore oggi, Giuseppe me ne parlò: “Ho avuto un’idea su un magistrato accusato di essere mafioso, che alla fine mafioso decide di diventarlo davvero”», ricorda Giancarlo. «A pensarci ora, credo che in parte mi abbia condizionato anche Il sospetto di Thomas Vinterberg , che uscì in quel periodo e venne candidato come miglior film straniero insieme a La grande bellezza», gli fa eco Stasi. «Le tematiche sono simili, quello è un microcosmo, nella comunità una persona viene accusata di un crimine terribile. Nella nostra versione viene creduto un mafioso. E decide: “Sai che c’è? Allora lo divento veramente”».
Poi Stasi&Fontana c’hanno messo del loro: «Questa visione drogata, sopra le righe, pop, perché siamo italiani, non scandinavi, loro vanno in sottrazione, noi aggiungiamo». E poi tanto, tanto cinema: dai fratelli Coen a Tarantino, da Scorsese a Guy Ritchie. Sì, sono davvero riusciti a fare quello che volevano. Ed era tutt’altro che scontato: «Il rapporto con le piattaforme è difficile. Le premesse sono di grande libertà, poi c’è sempre una mano sul freno pronta a tirarlo. Ci sono state delle mediazioni in alcuni casi, le abbiamo vinte quasi tutte per fortuna, a volte al prezzo di una lotta sanguinosa, ma semplicemente perché crediamo che la libertà venga premiata». Dal pubblico e non solo: «C’è questo paternalismo ingiustificato, come se gli spettatori non fossero in grado di capire determinate scelte autoriali, narrative o di montaggio, dove magari non è tutto immediatamente chiaro».
E invece è il contrario: quelle scelte hanno pagato, eccome: «Facciamo nostra una frase che Sorrentino ha usato nelle interviste e che in realtà avevamo già detto noi, la rivendichiamo: “Le serie e i film non devono dare risposte, devono sollevare domande”. Chi sono gli autori, i produttori, le piattaforme per ergersi a oracoli? Noi dobbiamo mettere in scena la domanda nel modo più efficace, ingigantire, spettacolarizzare il dubbio. Chi pretende di dare delle risposte, fallisce sempre perché la gente non vuole sentirsi dare delle risposte, vuole condividere un dubbio. E quando lo vede rappresentato si sente fortemente appagata». Sempre sul pubblico sovrano: «Te ne buttiamo lì un’altra: assecondare il pubblico è difficile, impossibile. E allora bisogna confonderlo. Questo lo diceva Goethe, ce l’abbiamo scritto su una lavagna nel nostro ufficio, è la prefazione del Faust. Dovrebbero tatuarsela tutti quelli che fanno il nostro lavoro come il protagonista di Memento, in modo da leggerlo allo specchio e ricordarselo».
Racconto loro che parlando di Iddu – L’ultimo padrino, Fabio Grassadonia e Antonio Piazza sottolineavano che la chiave grottesca del film era in realtà già tutta contenuta nella realtà, nei pizzini tra Matteo Messina Denaro e i suoi. E immagino che lo stesso discorso valga per Bad Guy, per quanto riguarda strettamente l’ambito mafioso ma anche il ritratto dell’Italia contemporanea, dal ponte sullo Stretto di Messina, al Ministero dell’Interno dove si gioca a Risiko: «È un po’ una crociata che condividiamo con loro, tra l’altro c’è una stima reciproca, abbiamo amato Iddu e ci abbiamo ritrovato molte cose. “Grottesco” è un termine che spesso viene usato non a sproposito, ma quando uno non sa come identificare quello che ha visto: c’è qualcosa di strano che può sembrare sopra le righe, fuori dalla realtà… e lo definisco “grottesco”. Ecco, secondo noi questa serie non è grottesca, è iperrealista, per assurdo», spiega Fontana. «E qua ti cito la bomba», interviene Stasi. «La post fazione del Fu Mattia Pascal, dove Pirandello dice che l’obbligo che ha l’arte nei confronti della verosimiglianza la realtà non ce l’ha, può essere esageratissima, ma l’opera d’arte no, perché sennò rischia di essere surreale. E lui si scagliava contro quest’idea, che all’arte si chieda sempre di essere verosimile, quando la realtà a volte è iperrealista».
Ancora sul grottesco: «Il problema è che, vivendo in questo meraviglioso Paese, tu sei abituato all’asticella dell’assurdo che è altissima, irraggiungibile, cioè Tamberi non ce la farebbe ad arrivarci. Noi cerchiamo soltanto di inseguirla, di mettere un po’ di ordine», afferma Giancarlo. «E di bellezza», aggiunge Giuseppe. «L’opera ha bisogno di paletti, di una certa struttura, poi giustamente sottolineare il grottesco per noi è positivo perché abbiamo riportato fedelmente quello che abbiamo visto, cercando di sgrassarlo anche un po’. Abbiamo messo in scena un super latitante, capo dei capi di Cosa Nostra, che ricatta le istituzioni, ma nella realtà c’è un’influencer di Pompei a far dimettere una parte delle istituzioni. Quindi qual è la circostanza più grottesca delle due?».
È il momento di scendere del tecnico: come si crea quel meraviglioso “buddellu”? «Venivano da un anno di Covid, eravamo carichi, affamati come dopo un lungo digiuno… quando abbiamo messo mano a Bad Guy dovevamo sfogarci. Poi la risposta seria te la dà lui», attacca Stasi, lasciando la parola a Fontana per quanto riguarda l’approccio cinematografico alla serialità: «Non ci siamo mai messi a tavolino a dire: “Questa è una serie e quindi dobbiamo girarla seguendo canoni seriali”, non abbiamo mai pensato a chi guarda sul cellulare, sul tablet, abbiamo sempre – anche forse sbagliando – immaginato di girare qualcosa che avesse una dignità cinematografica, che in una sala potesse avere il suo massimo godimento. Da qui scelte anche abbastanza impopolari per una serie come un intero episodio girato di notte. Però fa parte di quel discorso che facevamo prima, non autocensurarsi, non coccolare il pubblico cercando di dargli quello che vuole, perché poi in realtà non lo sa nemmeno quello che vuole, dobbiamo essere noi a guidarlo. Ci siamo trovati ad affrontare sfide produttive importanti, a dividerci anche, perché spesso giravamo in due città diverse, o magari nella stessa location ma uno al piano terra e uno al primo piano».
La seconda stagione infatti è stata più complessa della prima a livello di produzione e di tempistiche: «Abbiamo iniziato più tardi a lavorarci per poi consegnarla prima, per rispettare i due anni canonici. E la sceneggiatura (scritta dallo stesso Stasi con Ludovica Rampoldi e Davide Serino, nda) non si è certo risparmiata nelle trovate». E lo stesso vale per il cast, che aggiunge grandi nomi a grandi nomi: «Il bello del nostro mestiere è che possiamo veramente lavorare con i nostri idoli, la fortuna di Bad Guy 2 poi è che, essendo una seconda stagione, c’era già grande entusiasmo da parte degli attori dopo il primo capitolo». Da parte di Accorsi, per dirne uno: «Stefano ha accettato senza neanche leggere il copione, lo stesso Aldo Baglio ha voluto esserci, anche se gli avevamo detto che era una parte piccola, ma pure Carolina Crescentini. Insomma, se facciamo la terza stagione ci tocca andare a fare i casting in America».
L’approccio agli attori però non è certo convenzionale, in qualche modo c’è sempre un contrasto o una trasformazione, vedi la scelta di Luigi Lo Cascio che fanno diventare un cattivissimo: «Alla fine della serie – e questo non è uno spoiler, perché Bad Guy così – dev’essere un latitante ricercato da tutto lo Stato italiano, quindi deve averne combinate davvero tante, dev’essere diventato un boss che però non nasce da quel lato della barricata, ma in origine è un magistrato. Ci serviva un buono che, spinto da determinate circostanze, diventasse il bad guy della situazione. E lui era perfetto, ha il fisico non adatto per fare il cattivo, anche se poi Luigi è tipo il bidello Willie dei Simpson: gli togli la maglia ed è un fascio di muscoli», dice Fontana.
«Ma pure questa», sottolinea Stasi, «è una lezione che abbiamo ereditato, perché siamo dei nerd maledetti. Sergio Leone prende Henry Fonda per fare il cattivo in C’era una volta il West, perché il cinema mondiale era abituato a vederlo come il buono, tanto che Fonda stesso chiese a Leone se poteva mettergli dei baffi, una barba, se poteva nasconderlo. E Leone gli risponde: “Se ti nascondo, il gioco non c’è più”. Nella prima scena, il buono per eccellenza dell‘universo del western ammazza il suo compare. È questa la grande trovata di Sergio Leone, che l’ha fatto in un momento in cui il cinema era mitologia pura. Noi allo stesso modo prendiamo un eroe dell’antimafia che è appunto Peppino Impastato, interpretato dal grande Lo Cascio nei Cento passi, e lo trasformiamo in Badalamenti. Come dice Luigi: non è che abbiamo fatto qualcosa di molto diverso da quello che faceva Peppino Impastato, e cioè abbiamo ridicolizzato la mafia fondamentalmente, usando due modi, due linguaggi diversi in tempi diversi».
Nei nuovi episodi però si va oltre, si fa un passo in più: al centro c’è il mitico archivio di Suro, che contiene le intercettazioni tra il boss e pezzi grossi dello Stato: «Sì, anche se credo che se davvero uscissero delle intercettazioni così scottanti non accadrebbe assolutamente nulla. Anzi, ti do un’anticipazione. Nel caso dovessimo fare la terza stagione, la prima cosa che metteremmo in scena sarebbe questa: l’archivio finalmente esce. E non succede nulla. Questo fa parte del mondo di Bad Guy, se ci pensi», ridacchia Stasi. «Un set up di sei puntate nella seconda stagione in cui diciamo che quest’archivio è una bomba atomica e poi arriviamo all’inizio della terza in cui non accade niente. In Italia andrebbe così», aggiunge Fontana.
Ma quindi c’è già stata una richiesta di terza stagione? Ancora Fontana: «No, siamo l’ultima ruota del carro. Noi però sappiamo dove vogliamo arrivare, e cioè alla continuazione della primissima scena di tutta la serie. Era prevista per questa seconda stagione ma non l’abbiamo neanche girata. Non dipende da noi». Conclude Stasi: «Alle brutte faremo un podcast o una graphic novel».
Ok, è il momento degli aneddoti che rendono l’idea di quanto sia complesso far funzionare tutto: «Il mood di Bad Guy rispecchia fedelmente pure quello che c’è stato dietro le quinte. Fa parte del DNA italiano anche sapersi industriare con niente, trovare una soluzione con pochissime risorse». Merito anche del direttore della fotografia Gogò Bianchi, della costumista Monica Gaetani, dello scenografo Gaspare De Pascali e di tutto il reparto regia che «dal nulla riescono a tirar fuori delle magie, sono dei veri prestidigitatori. Il cinema è quello, ti distraggo per fare il trucco di nascosto. Quindi con delle soluzioni semplicissime, anche a costi relativamente bassi rispetto a quello che sarebbe una macchina più grossa, americana, abbiamo ottenuto la massima resa».
Ad esempio, in scrittura nei nuovi episodi viene fuori che tutta la prima puntata si svolge nella casa di Giusy Corifena, il magistrato capo del pool antimafia: «Quella casa è a Palermo, ma non era utilizzabile per fare tutta la puntata, perché è un soppalco, è molto piccola, quindi abbiamo dovuto inventarci, grazie al nostro scenografo Gaspare e al suo team, che oltre quella stanza che si è vista nella prima stagione c’era una “porta spazio-temporale”: tu entri in quella stanza che sei a Palermo, esci che sei a Frascati due mesi dopo… quella casa è stata divisa in due location e in due momenti diversi: il salone è a Palermo, il bagno è a Frascati, la cucina è a Palermo, la dispensa è a Frascati, l’ingresso è a Palermo e via così». Risate.
Altra difficoltà: le location che dopo due anni non sono più disponibili, «come la casa di Leonarda che nel frattempo è stata affittata. Ma lì la soluzione c’era già in sceneggiatura. E non diciamo altro». Oppure problemi di permessi. Pronti? «L’elicottero da cui si cala Stefano Accorsi: grande scena, fighissima, in realtà poi scopriamo che non può arrivare un elicottero di notte lontano da un aeroporto su terreno non asfaltato, dev’esserci un pilota militare autorizzato, ce n’è soltanto uno in Italia e ovviamente non poteva. Quindi il nostro direttore della fotografia ha avuto l’idea di affittare un drone con una luce. Una soluzione alla Spielberg che, non potendo utilizzare l’animatronic dello squalo perché non funzionava, si è inventato il pontile che si stacca e i barili…». Provo a rivedermi la sequenza dell’entrata in scena di Accorsi post-intervista: «C’è una luce, un suono di elicottero, sì, poi a un certo punto si vede effettivamente l’elicottero, ma giusto in due inquadrature, chiaramente un QFX. Potremmo andare avanti per ore».
A volte avere una location centrale nella storia a disposizione per una settimana significa «dover girare tutta una serie di scene madri, una dietro l’altra in sette giorni, perché è lì che accade tutto: Claudia era disidratata, distrutta, il pianto ti sfibra. A ogni stop andavamo ad abbracciarla, perché sapevamo che per restituire quella sofferenza doveva soffrire davvero», ricorda Giancarlo. «Quando gli attori devono scavare nell’incoscio senza l’ausilio del mentolo è sempre un grande spettacolo. Sul momento è sentito da tutti perché è teatro, e magari ti ritrovi mezza troupe in lacrime. Se arriva poi dopo mesi arriva anche sullo schermo è davvero una vittoria». Arriva, eccome se arriva.
Ultima, ma non ultima la musica di Bad Guy, a partire dalla colonna sonora di Francesco Cerasi: «Come diceva Sergio Leone di Morricone, Francesco è quasi un altro sceneggiatore. Anche se noi di solito quando siamo al mix spesso togliamo brani e tendiamo a preferire il tessuto sonoro. Quello sulle musiche è un discorso complesso nel nostro cinema, perché spesso sono i pezzi sono tappetoni oppure finiscono per essere ridondanti rispetto a una scena drammatica o comica, assecondano o guidano il pubblico. Con Francesco la cosa bella è che lui ragiona proprio per contrasto, le toglievamo sempre le tracce a malincuore e solo perché magari il nostro sound designer aveva fatto un grande lavoro di effetti». Cerasi ha fatto un gran lavoro, riprendendo il lavoro della prima stagione, «ma aggiungendo due temi clamorosi. Uno è quello di Testanuda, che è stato paragonato a un barrito di elefante, e poi c’è il tema dello Stato che richiama come sonorità, come melodia, il Va’ Pensiero», spiega Fontana. E invece sulle canzoni celebri utilizzate lascia la parola «a Giuseppe che è un grande ascoltatore di Spotify, lo consuma quotidianamente e si salva tutti i pezzi: “Questo lo potremmo usare nel film che faremo tra 10 anni”». Ridiamo.
«Diamo sempre una playlist agli sceneggiatori per scrivere, molti brani sono già in sceneggiatura. La scena dell’esplosione della vasca, ad esempio, è stata scritta riportando anche il testo di Florence & The Machine, c’era proprio il verso della canzone che si incastrava con il dialogo», racconta Stasi. Nella primissima puntata della serie c’è Bandiera bianca di Battiato:« “Quante squallide figure che attraversano il Paese/Com’è misera la vita negli abusi di potere”, sembra quasi un aperitivo della seconda stagione, dove invece c’è (e non vi diciamo dove, nda) Com’è profondo il mare: un questo caso crediamo che il mare rappresenti per la nostra serie – e ci perdoni Lucio Dalla da lassù – l’onestà, visto che questa seconda stagione ruota tutta intorno alla verità. La libertà non la puoi cambiare, “così stanno uccidendo il mare”».