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In ‘Priscilla’ Elvis Presley è un mostro? Sofia Coppola vuole che giudichiate da soli

In un’intervista che abbraccia tutta la sua carriera, la regista parla della realizzazione del suo nuovo film, della lotta da ‘nepo baby’ per conquistarsi il rispetto che meritava, di George Lucas, della ‘Minaccia fantasma’ e tanto, tanto altro

Sofia Coppola scattata per RS USA

In Priscilla, l’ottavo lungometraggio di Sofia Coppola, la regista riprende le pinne sul retro delle Cadillac con la stessa cura con cui inquadra la sua ultima attrice protagonista (Cailee Spaeny, nel ruolo di Priscilla Presley), immortalando la bellezza e l’oscurità che si annidano dentro Graceland (e nell’America in generale). Nel corso del film, Coppola racconta la sua storia di adolescenza più struggente dai tempi del suo ottimo esordio alla regia, Il giardino delle vergini suicide del 1999. Questa volta si tratta della vicenda reale di un’adolescente trascinata nel mondo sfrenato di Elvis Presley (il Jacob Elordi di Euphoria, più alto e più spaventoso di Austin Butler) all’apice della sua notorietà: uno scenario che la maggior parte degli spettatori di oggi troverà senza dubbio orribile.

Priscilla (dal 22 marzo nelle nostre sale) sembra rappresentare il culmine dei due decenni e mezzo di cinema di Coppola e la conferma definitiva del fatto che è una delle più grandi autrici della Generazione X. Ma lei pare soprattutto orgogliosa di essere arrivata a una nuova generazione di fan, che continuano ad andare alle presentazioni di un libro retrospettivo fresco di stampa, in formato coffee table, sulla sua carriera: Sofia Coppola Archive. «Abbiamo appena fatto un firmacopie da Barnes & Noble a Los Angeles», racconta mentre fa colazione in un locale del West Village, non lontano da casa sua, «e ho incontrato tanti giovani che indossavano magliette del Giardino delle vergini suicide e parlavano di questo film e di Marie Antoinette. Mi rende molto felice il fatto che li apprezzino, perché li ho fatti per i giovani».

Priscilla sembra essere la summa di tutto ciò che hai realizzato fino a ora. Affronti argomenti di cui ti sei già occupata, ma in modo davvero nuovo.
Sembra proprio un mix di cose che ho già fatto in passato, ma spero non sia ridondante. Mi è capitato di pensare: “Oh, sì, quest’inquadratura mi ricorda qualcosa di Marie Antoniette“, o altro, ma mi piaceva. Mi sembrava di avere lì, davanti a me, tutte le mie cose, come in una cassetta degli attrezzi, ed è stato divertente combinarle insieme. Credo che scrivere il libro mi abbia spinto a osservare tutto l’insieme, cosa che non avevo mai fatto. E ho pensato: “Adesso riesco a capire come si incastrano tutti gli elementi”.

Se John Ford può girare un milione di western, perché mai tu non potresti fare tutti i film che vuoi, alla tua maniera?
Sì. A volte mi sembra di fare sempre la stessa cosa, ma poi penso agli artisti che ammiro e che fanno lo stesso. Cerchi sempre di inventarti qualcosa.

C’è un momento in cui una donna dell’entourage di Elvis commenta sottovoce quanto fosse giovane Priscilla: l’ho interpretato come una citazione esplicita di una scena praticamente identica, in Marie Antoniette.
Non ci avevo nemmeno pensato, ma sì. Non ci avevo proprio fatto caso, però, quando stavamo girando le scene di Elvis e Priscilla a letto e lui la respingeva, ho pensato: “Oddio, è la stessa cosa”.

Hai capito cosa ti attira così tanto nelle storie che parlano dei giovani?
Mi intrigano sempre le storie sull’identità e su come le persone diventano ciò che sono. Per me la trasformazione è interessante. Sarebbe noioso raccontare di qualcuno a cui non sta succedendo nulla.

Da madre di adolescenti, hai detto che ora ti senti come se fossi tu il cattivo di turno.
È buffo, mi ritrovo dei figli adolescenti e sono diventata quella contro cui si ribellano. Di solito, nei miei lavori, mi schiero dalla loro parte, ma adesso devo stare dall’altro lato della barricata. È strano vivere l’adolescenza nei panni di genitore.

Tantissima gente, oggi, vedrebbe quella relazione iniziata quando Elvis Presley aveva 24 anni e Priscilla 14 come un caso di adescamento e sfruttamento. Ma nella sua autobiografia e nelle interviste, ancora oggi, Priscilla Presley dice chiaramente che la vede come una storia d’amore. Come sei riuscita a dar voce al suo punto di vista, pur sapendo che quasi nessun altro la vedrà in questo modo?
È stato difficile. Pensavo di continuo alla sua percezione e al suo punto di vista. Nel film cerco di non giudicare nessuno dei personaggi e di essere il più empatica possibile verso ognuno di loro. Mi sono concentrata sul suo punto di vista, anche se di fronte ai suoi genitori ti chiedi: “Come hanno potuto lasciare la figlia così giovane andare a vivere con Elvis?”.

Sembra che ci sia una richiesta crescente, da parte di alcune porzioni di pubblico, di arte che esprima giudizi netti.
Già. Sento che la gente sta cercando di farmelo fare, in questo film, mentre io credo che il mio compito sia solo quello di mostrare ciò che lei ha vissuto, e penso anche che si possano esporre le cose al pubblico perché ci rifletta e faccia le proprie valutazioni. Alla fine se n’è andata e ha trovato la sua identità a prescindere dagli uomini, cosa che, secondo me, deve aver richiesto una gran forza, soprattutto in quel periodo. Non avere fonti di reddito e divorziare da un uomo potente sono stati problemi enormi. Allora era una cosa grossa, lo so bene. Quindi mi ha colpito il fatto che abbia avuto la forza di farlo, di andarsene anche dopo che tutta la sua vita era stata plasmata da quella situazione.

Anche in Marie Antoinette sembra che tu abbia evitato di giudicare, allo stesso modo. La cosa potrebbe aver confuso i critici, all’epoca, per quanto quel film sia amatissimo oggi.
Sì, io volevo far vedere il suo lato umano. Nel libro di Antonia Fraser è ritratta come essere umano, non solo come una donna storicamente disprezzata. Mi ha colpito moltissimo: era una ragazzina di 14 anni ed è stata messa in quella posizione.

In Priscilla non ti fai troppi scrupoli nel fare a pezzi alcuni aspetti del mito di Elvis. Ne esce come un tossicodipendente distaccato, volubile e prepotente.
Non è mai mia intenzione umiliare nessuno e mancare di rispetto. Penso che vedere le sue difficoltà e il suo lato umano crei empatia, ma di sicuro c’è molta mitologia che lo ritrae come un dio. C’era anche chi tentava di farmi eliminare tutte le cose più negative.

Chi?
Una persona in qualche modo coinvolta nella storia, che si preoccupava della maniera in cui Elvis sarebbe stato percepito nel film. Ma io volevo davvero mostrare gli alti e bassi. Non si può raccontare un rapporto complesso facendo vedere solo il lato positivo.

Il fatto che Elvis di Baz Luhrmann abbia fatto innamorare della sua iconografia una nuova generazione è positivo per il tuo film, che dovrebbe aiutare i più giovani a comprendere Priscilla in modo più profondo.
Ho pensato che potesse essere un contraltare. Sapevo che Baz stava girando il suo film, mentre io lavoravo a questo. Mi hanno anche chiesto: “Questa cosa ti scoraggerà?”. E io ho risposto: “No, penso che sia ancora più bello che lui torni alla ribalta, che la gente pensi a lui, così noi potremo mostrare l’altro aspetto”. Lei è un personaggio appena accennato [in Elvis].

In alcune frazioni, quando Priscilla si lascia sedurre da quello stile di vita, mi è venuto in mente Quei bravi ragazzi: scommetto che è stato fatto apposta.
Quando vanno a Las Vegas, stavo pensando proprio a quello! Adoro Quei bravi ragazzi, quindi sicuramente è stato un omaggio.

Non ti hanno concesso di includere la musica di Elvis nel film. Cosa speravi di usare, se ne avessi avuto il permesso?
Nel primo montaggio avevo messo qualche canzone di Elvis, ma solo due o tre, per creare l’atmosfera. Ho sempre saputo che avrebbero potuto non autorizzarci, quindi ho cercato di non contarci troppo. Adoro Pocketful of Rainbows. Me l’ha fatta conoscere mio marito e l’ho ascoltata spesso durante le riprese, quindi avrei davvero voluto usarla. Poi, quando lui parte per la Germania e c’è una lunga sequenza triste, avevamo messo Are You Lonesome Tonight?, così si sentiva la voce di Elvis mentre lei veniva lasciata indietro. Comunque non abbiamo potuto farlo, così i Phoenix hanno fatto la parte strumentale, e sono molto contenta di come è venuta la musica.

Hai usato in modo magistrale la musica pop nei tuoi film. C’è mai stato un momento in cui hai pensato di diventare una musicista?
Non ho alcun talento, ma c’è molta musica nel DNA della mia famiglia, quindi forse ho qualche gene che non è riuscito a esprimersi pienamente. Mio cugino Jason [Schwartzman] è un prodigio della musica, sa suonare qualsiasi cosa, e da parte di mio papà c’erano tanti musicisti. Suo padre [che ha contribuito alle musiche del Padrino] e suo zio sono musicisti. Crescendo, mio fratello Roman mi ha sempre fatto ascoltare musica bellissima. E io mi chiedevo: “Come si fa a scoprire la musica senza un fratello maggiore figo?”.

Hai espresso un certo rammarico per lo stato in cui versa Hollywood. Però sembra che, con il successo di Oppenheimer in particolare, la frenesia per i franchise stia svanendo.
Sì, sono felicissima che ci siano film non incentrati sui supereroi. Senza offesa [per quei film]. Sono solo contenta che la gente vada di nuovo al cinema.

Elvis (Jacob Elordi), Priscilla (Cailee Spaeny), e Sofia Coppola sul set di ‘Priscilla.’ Foto: Sabrina Lantos/A24

Hai detto di aver visto Barbie. Cosa ne pensi?
Sono contenta che abbia riscosso tanto successo e che sia stato realizzato per un pubblico di ragazze e donne.

Uno dei tratti distintivi di molti dei tuoi film è il fatto di prendere sul serio i sentimenti e le esperienze delle giovani donne, e ho visto persone fare dei parallelismi col lavoro di Taylor Swift. Ti piace questa artista?
So che ai miei figli piace e lo rispetto… però non è roba della mia generazione. Comunque apprezzo tanto quando qualcuno scrive il proprio materiale. Credo sia molto più interessante che non avere un team di autori. Penso che sia ammirevole.

Ormai è palese che Marie Antoinette è un classico: ogni singolo fotogramma è splendido. Faccio fatica a capire perché all’epoca sia stato accolto con giudizi così contrastanti.
Grazie. La gente era confusa per via della musica [moderna]. Per me aveva senso. Mio fratello mi ha fatto vedere Lisztomania, il film di Ken Russell, e ho pensato che fosse bellissimo fare qualcosa di storico senza fare i precisini… la storia dei fischi a Cannes è stata un’esagerazione. Sono rimasta piuttosto delusa [dall’accoglienza], ma più che altro per Kirsten [Dunst], perché pensavo che avesse fatto un ottimo lavoro ed eravamo molto orgogliose del film. A ogni modo, sono felice che la gente lo stia apprezzando ora.

Una volta hai detto che credevi di aver chiuso con la regia, dopo quel film. Come mai?
Mi sono divertita molto con Kirsten [Dunst] e Jason [Schwartzman], a Versailles e a Parigi, in quel periodo. Ma è stato difficile gestire così tante persone. Ero sfinita e pensavo: “Non voglio farlo mai più”. Poi, quando ho incontrato [il direttore della fotografia] Harris Savides e abbiamo parlato di cinema minimalista, mi è venuta l’ispirazione di provare a fare Somewhere e tornare alla dimensione di due persone in una stanza d’albergo, concentrandomi sull’azione e sulla storia. [Marie Antoinette] è stato difficile da girare e per un attimo ho voluto staccare. Era nata mia figlia e stavo cercando di prendermi una pausa. Ma fare film crea una specie di dipendenza. Ti viene un’idea e ti assilla finché non la realizzi.

Tuo padre sta girando una grande opera a 84 anni: sembra che tu condivida con lui la stessa determinazione.
Sono quarant’anni che parla di quella storia. Ho frequentato il CalArts, studiavo pittura, e ricordo che l’insegnante di arte ci ha fatto vedere uno spezzone di Incontri ravvicinati del terzo tipo, quando il tipo crea la montagna con il purè di patate, per mostrarci cosa provano gli artisti. Penso che tutte le persone creative abbiano qualcosa in testa e poi debbano capire come realizzarla. Credo che questo sia il modo migliore per capire cosa significhi essere un artista.

Finalmente tuo papà ha anche rimontato Il padrino – Parte III in una nuova versione: mi è piaciuta molto. C’è un tuo film con cui faresti lo stesso?
Mio padre ama rimontare i suoi film e mi dice sempre: “Puoi farlo anche tu!”. Non ho alcun desiderio di farlo. Sento che sono quello che sono, anche con le loro ingenuità e la loro goffaggine: rappresentano ciò che pensavo in quel momento.

C’è una certa fissazione sul tema dei nepo baby. Ovviamente venire da una famiglia di registi ha i suoi vantaggi, ma so che per te ha anche significato che hai dovuto lottare per essere presa sul serio come meritavi.
Credo che la gente se ne dimentichi, perché ora pensa solo che io abbia una carriera avviata, ma ho lavorato molto, molto duramente per essere presa sul serio. E chi ne parla in modo superficiale manca di rispetto verso tutto il lavoro che ho fatto. Per me è stato difficile.

L’incipit sognante di Priscilla, dove la si vede mentre si applica le ciglia finte, mi ha ricordato un po’ l’inizio di Lost in Translation. Da dove nasce la tua predilezione a creare atmosfera in questo modo?
Mi piace tantissimo Wong Kar-wai e l’idea che i film possano evocare stati d’animo. Inizio sempre con delle immagini di riferimento e dei moodboard. In Lost in Translation è una suggestione: lei è una giovane donna che aspetta. Il mood è astratto. In Priscilla volevo offrire degli scorci o delle immagini di lei come la conosciamo e poi iniziare a raccontare la storia di come è diventata così.

Sofia Coppola e Priscilla Presley sul red carpet di ‘Priscilla’ a Venezia 80. Foto: Daniele Venturelli/Wireimage/Getty Images

L’altro giorno ho riguardato Lost in Translation per la milionesima volta e la scena del karaoke è ancora fortissima dal punto di vista emotivo. Cosa provi quando la vedi?
È molto romantica e Bill [Murray] è davvero toccante, ci mette il cuore. Si percepiscono quel desiderio e quella malinconia romantica che provi quando ti trovi in sintonia con qualcuno, ma sai che non potrai starci assieme. È la stessa sensazione agrodolce che evoca certa musica, romantica e malinconica allo stesso tempo.

Secondo te, i personaggi di Scarlett e Bill si rivedranno mai, dopo la fine del film?
È divertente. Non ho mai pensato che l’avrebbero fatto. Credo che siano tornati alle loro vite.

In molti amano Bill Murray, ma allo stesso tempo diverse persone, tra cui parecchie attrici, hanno avuto esperienze negative con lui. Cosa ne pensi e come riesci a conciliare il lato di Bill che conosci con il suo presunto lato oscuro?
È sempre stato molto rispettoso e disponibile con me, un ottimo collaboratore, ma so che si è scontrato con alcune persone. Credo che abbia diversi lati, come tutti, e non è uno che va d’accordo con tutti.

In generale, dopo il #MeToo certi uomini sono stati messi in discussione e alcune persone hanno dovuto rivedere le proprie percezioni rapportandole alle esperienze di altri con gente che conoscevano. Hai qualche idea più articolata in proposito?
Penso che sia importante ascoltare le esperienze delle donne.

Hai avuto dei contatti coi grandi Studios, compreso un meeting per discutere la regia dell’ultimo Twilight. Come è andata a finire?
Abbiamo avuto un incontro, ma non se ne è fatto nulla. Pensavo che tutta la storia dell’imprinting del lupo mannaro fosse strana. La bambina… troppo strana! Parte degli episodi precedenti di Twilight potevano essere realizzati in modo interessante. Pensavo che sarebbe stato divertente fare una storia d’amore tra adolescenti e vampiri, ma l’ultimo capitolo si spinge troppo oltre.

L’idea di vederti fare un film di genere, sia esso horror o altro, è davvero intrigante.
Penso che sarebbe divertente girare un film di fantascienza e credo che sarebbe bello fare uno horror gotico, che è un genere che amo, ma non cruento. Non ho nessuna idea, però.

Si è anche parlato molto di una tua versione live action di La sirenetta per la Universal. C’è stato un punto di rottura particolare?
Sì. Ero in una sala riunioni e un tizio dello sviluppo mi ha chiesto: “Cos’abbiamo di interessante per la fascia di pubblico dei trentacinquenni?”. Io non sapevo cosa dire. Non ero nel mio elemento. Mi sembrava di essere una sprovveduta e poi mi sentivo molto simile al personaggio della storia, che cercava di fare qualcosa al di fuori del suo elemento: è stato un parallelismo divertente con la storia, per me.

Ti è capitato spesso di scontrarti con quel tipo di muro d’incomprensione?
Succede spesso, perché di solito le persone che finanziano i progetti sono uomini etero. Quindi devi cercare di spiegare cose tipo: “Gente, non a tutti piace quello che piace a voi”. Ma io ho sempre voluto solo fare cose che mi piacessero ed esprimessero il mio punto di vista.

Compi gli anni lo stesso giorno di George Lucas e credo che tu lo conosca da sempre. Hai persino avuto una piccola parte nella Minaccia fantasma: eri una delle ancelle di Padmé.
[Ride] Me ne ero dimenticata!

È evidente che siete due registi diversissimi, ma mi incuriosisce sapere cosa hai tratto da questo legame.
Quando ho saputo che stava facendo un altro film della saga di Star Wars, dato che la prima volta ero molto piccola, gli ho detto: “Voglio venire a dare un’occhiata”. Poi mi hanno detto che potevo partecipare ed è stato il modo più bello di stare sul set. È stata un’esperienza molto divertente: nel frattempo stavo scrivendo la sceneggiatura del Giardino delle vergini suicide! Voglio bene a George come a uno zio e sono fiera di festeggiare il compleanno nel suo stesso giorno. C’era un libro sui compleanni e a proposito della nostra data di nascita diceva “il giorno del pensatore”: mi piace accostarmi a lui in questo modo. Ha fatto un cortometraggio sulle auto da corsa che girano su una pista [1:42.08, del 1966] e ha ispirato la scena iniziale di Somewhere. George è molto sincero in quello che fa e io lo adoro.

Alcuni artisti iniziano a pensare di avere tanti progetti e si domandano se avranno il tempo di realizzarli tutti. Tu ti senti così?
Dopo aver pubblicato il libro, mi sembra di aver fatto un sacco di cose. Non ho fretta di fare altro. Se mi fermassi, mi sembrerebbe comunque di aver fatto abbastanza.

È possibile che tu ti senta così solo perché hai appena terminato un film?
Ne sono sicura. Quando stavo finendo Priscilla, ho detto a mio marito [Thomas Mars dei Phoenix]: “Non voglio più farlo”. E lui mi ha risposto: “Lo dici ogni volta”.

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