Buongiorno. La prevista intervista “Sono una donna, non sono una santa, ora te racconto le peggio cose mie, ma solo se mi dài la cover, tanto che ce frega, però non me chiede’ del fidanzato mio che siamo in crisi nera e poi la gente, sai com’è, nei social non hai visto quanti haters ce stanno, ma non se’ vergognano questi, mi raccomando poi famme domande facili” per problemi tecnici non sarà pubblicata. Al suo posto, l’intervista a Emanuela Fanelli di Una pezza di Lundini (il cult di Rai 2 appena ricominciato, tutti i martedì alle 23.30).
Emanuela, andiamo subito al dunque: sei tu, mica Lundini, la vera rivelazione del programma.
Oh, meno male, diciamolo: il cognome nel titolo è solo un inganno! (ride, nda)
Quali suggerimenti dài ogni settimana a Lundini per fargli fare bella figura?
Ovviamente tutto quello che lui dice è scritto da me (ride ancora, nda). In realtà, battuta a parte, ognuno di noi due fa quello che lo diverte di più, cercando di farci ridere a vicenda.
Quando le star femminili sfondano in tv come te, a un certo punto immancabilmente sottolineano che hanno dovuto faticare il doppio, per non essere considerate solo belle. Vuoi dire anche tu qualcosa di simile?
Pensavo che finissi dicendo: “Invece, Emanuela, tu che sei un cesso…”
Ma mica sei brutta!
Ok, ok. Comunque. Devo dire che all’inizio, quando facevo i casting, mi capitava di imbattermi in ruoli brillanti, perfettamente nelle mie corde, ma che prevedevano una fisicità molto diversa dalla mia. Quindi mi scartavano.
Capito: se sei troppo bella ti sottovalutano, ma se non lo sei abbastanza ti scartano. Da Lundini, invece, sei l’unica donna: com’è il clima, un po’ cameratesco?
Praticamente stiamo facendo il militare insieme. Scherzi a parte, lui mi prende assolutamente sul serio, valorizzandomi molto.
È vero che fino a un paio di anni fa facevi la maestra d’asilo?
Tutto vero. D’altronde nella vita bisogna anche lavorare: non potevo mica fare l’attrice e basta. E poi, anche se non era il sogno della mia vita, insegnare ai bambini mi piaceva molto, e questo mi ha messo nelle condizioni di poter scegliere quali ruoli accettare. Perché avrei dovuto interpretare un personaggio che non mi convinceva? Tanto vale restare a scuola: certo, lì non mi vedeva nessuno, ma almeno facevo qualcosa che mi piaceva ed ero contenta.
Il successo è arrivato però un po’ tardi.
Guarda, meglio così: se fossi diventata famosa, che so, a vent’anni, non sarei riuscita a gestire la notorietà. Meglio adesso.
Col senno di poi, pensi però di aver commesso qualche passo falso?
Onestamente no. Credo di aver fatto tutto bene. Mi fa sorridere quando mi chiedono: “Ma dove sei stata finora?”. In realtà io c’ero: ci sono sempre stata. La differenza è che ora ho incontrato qualcuno, come Valerio Lundini, che vede qualcosa in me. Dico davvero: è proprio questo che mi ha fatto svoltare. Per esempio, tornando al discorso dei provini: adesso mi capita di partecipare ai casting un po’ di corsa, senza nemmeno chissà quale verve, e spesso rientro fra i preferiti. Eppure in passato sostenevo molto meglio i provini… e non mi prendevano! Inizio a pensare che avere la fortuna di incontrare qualcuno che vede in te il talento è forse quasi più importante che avercelo. Devo quindi molto a Lundini, così come a Corrado Guzzanti, Serena Dandini e Giovanni Benincasa (l’ideatore di Una pezza di Lundini, ndr). La tv ti dà molto visibilità, poi ovviamente devi sapertela giocare: quando sei sul palco, o la va o la spacca. È lì che si capisce se hai davvero qualcosa da dire.
Mica facile: tra opinionisti dell’ultim’ora, starlette e influencer imbeccati dai pubblicitari, l’impressione è che non si dica mai nulla di rilevante.
Con i social abbiamo l’illusione che le nostre vite siano interessanti per gli altri. Siamo tutti diventati registi di questa splendida sceneggiatura che è la nostra vita e ci adoperiamo per renderla intrigante agli occhi del pubblico. Questo crea un meccanismo frustrante: quando scorri la bacheca di Instagram, pensi: “Ammazza oh, sono l’unica sfigata che le va tutto male?”. Sembra infatti che il resto dell’umanità viva appassionanti relazioni d’amore, vacanze da sogno, per non parlare dei successi lavorativi… Tutti, tranne te.
E tu quindi cos’hai da dire al mondo?
Ah, boh, guarda… (ride, nda) Per ora tutto quello che ho da dire lo riverso in Una pezza di Lundini: per esempio, mi andava di scherzare sulla citazione di Anna Magnani («Lasciami tutte le rughe, ci ho messo una vita a farmele venire», ndr) e mi sono inventata Simonetta, la sua truccatrice. Però dipende molto dal momento: lo so, dovrei dirti “Restate in contatto, ho un sacco di idee”, ma la verità è che io vivo nel costante terrore che, prima o poi, finisca tutto. Anzi, guarda, sta’ sicura che quando dirò “Ce l’ho fatta” sarà finita là e non avrò più spunti.
Come va invece con la sindrome dell’impostore? Leggevo che per anni non ti sei sentita all’altezza del lavoro di attrice.
Penso che mi avrebbero potuto eleggere testimonial mondiale della sindrome dell’impostore. Ora va un po’ meglio, ma ogni tanto sento ancora la vocetta che mi dice: “Brava, anche a ‘sto giro li hai fregati, pure stavolta non si sono accorti che sei scarsa”. Più che altro, dentro di me ho sempre nutrito il desiderio di fare l’attrice, ma dirlo ad alta voce e perseguirlo voleva dire assumersi il rischio di un possibile fallimento. Era un’ipotesi troppo dolorosa così, per molto tempo, ho preferito limitarmi a fantasticare sul mio futuro di attrice. Della serie: quanto sarebbe bello farlo, ma senza provarci mai.
Veniamo a questa nuova edizione di Una pezza di Lundini: ti sei sbizzarrita. Non sei mai stata tentata di andare invece sul sicuro?
Una pezza di Lundini ha un suo pubblico di spettatori affezionati che, peraltro, è molto indulgente con noi. Se avessi riproposto Voci di donne sarebbero stati tutti felici, ma ho preferito rischiarmela con una cosa nuova. Voglio sperimentare, sia per rispetto del pubblico sia per tenere l’adrenalina alta.
A proposito, con Voci di donne avevi preso di mira i monologhi dolenti teatrali ma anche, diciamolo, il femminismo. C’è qualcosa che non ami di quella retorica?
Mi colpisce molto il fatto che, se una donna dice qualcosa, parla a nome della categoria, mentre se invece parla un uomo è sempre a titolo personale. Questo non va bene. Non mi piace nemmeno quando un progetto è concepito a tavolino tutto al femminile: bisogna ingaggiare non le donne, ma i più capaci. Senza contare che io non voglio essere la più brava delle attrici, ma la più brava tra tutti i colleghi.
Alcuni giornalisti, dopo aver visto il trailer del tuo finto film con Alessandro Borghi ambientato “in periferia romana”, ti avevano chiesto di partecipare alla proiezione stampa di A piedi scarzi. A ‘sto giro hanno capito che la fiction Simonetta Datti, la truccatrice della Magnani è finta?
Macché… Ho già ricevuto delle richieste di conferma della data di messa in onda. Per me è una soddisfazione: se mi prendono sul serio, vuol dire che il pezzo è riuscito. Volevo che sembrasse vero perché le trovate che mi fanno più ridere sono proprio quelle dove la parodia non viene sottolineata.
Ma è vero, come sostengono gli addetti ai lavori, che vi ispirate ai Monty Python?
Vuoi sapere la verità? Io dei Monty Python ho visto pochissime cose. Quando con Valerio leggo questi commenti sorrido, perché noi facciamo semplicemente quello che ci diverte. Non siamo così illuminati.
Il fenomeno comico del momento è LOL. Per certi versi, Una pezza di Lundini può considerarsi una sorta di padre putativo?
Effettivamente Lundini e io dobbiamo restare serissimi e, paradossalmente, ci ha fatto gioco non avere il pubblico in studio. Se si sentisse anche solo mezza risata crollerebbe tutto, perché in teoria Una pezza lo spacciamo come programma di approfondimento, non comico.
Parteciperesti alla seconda edizione di LOL?
Io già faccio fatica a restare seria con Lundini, persino se so perfettamente cosa succederà da lì a breve. A LOL durerei 30 secondi, anche perché lo show punta su un tipo di comicità basic, molto umoristica e sorprendente. Non ce la farei proprio a trattenermi. Al tip tap di Elio sarei stata già eliminata, per non parlare di Lillo.
Che cosa vuol dire per te fare ridere?
Provocare ilarità… ti cito il dizionario! (ride, nda) È difficile dare una definizione, però la risata ha qualcosa a che fare con la gratitudine. L’umorismo è una sorta di dono: io mi sento molto riconoscente agli artisti che mi fanno ridere. È un regalone. Quando poi tocca a me stare sul palco, non parto mai dal presupposto: “Ok, ora devo farli ridere”. Semplicemente faccio cose che, da spettatore, troverei spassose. Poi non sono ancora da ricovero, nel senso che non riascolto le mie battute e mi spiscio. Se sono brava lo devo però anche a mia nonna, che è stata la mia grande insegnante, nonché il mio primo pubblico: insieme facevamo gli scherzi telefonici. Ora purtroppo non c’è più, ma lei rideva molto alle mie battute e viceversa, e questo ci rendeva immensamente felici. Il nostro rapporto era fondato sull’umorismo.
Domanda finale, come si fa con le attrici serie: dopo Una pezza di Lundini, quali saranno i tuoi prossimi progetti?
Ho appena finito di girare il nuovo film di Paolo Virzì, Siccità. Uno dei miei sogni era proprio lavorare con lui. Tra l’altro mi ha affidato un ruolo bellissimo e inaspettato. Di più però non posso svelare…