Emma Stone ne ha abbastanza di un certo modo di descrivere i personaggi femminili nel cinema: «Da quando abbiamo iniziato a promuovere questo film la stampa non fa che ripetere che le tre donne al centro della storia sono forti. Peccato che, di solito, non si senta mai parlare di personaggi maschili forti, a meno che non si tratti di culturisti» spiega con una risata la 30enne attrice americana, co-protagonista al fianco delle superbe Olivia Colman (la video-intervista) e Rachel Weisz de La favorita (ora in sala), Gran Premio della Giuria al Festival di Venezia e 10 nomination agli Oscar.
«Le donne che interpretiamo non sono necessariamente così: si rivelano deboli, fragili e spaventate, ma anche divertenti e sexy. Si tratta di persone normali, come tante. Perché nella vita noi donne sappiamo anche essere forti, ma non è mica una regola». Per la sua ultima fatica da regista, un dramma in costume punk, imprevedibile e moderno da 15 milioni di dollari, il greco Yorgos Lanthimos (qui la nostra intervista) ha scelto di raccontare la storia della potentissima regina Anna (Colman) e delle perfide donne che si contesero i suoi favori nell’Inghilterra del 18esimo secolo: la manipolatrice Lady Sarah Churchill (trisavola di Winston, la interpreta Weisz), che sfruttando le debolezze della sovrana ne approfitta per prendere decisioni importanti sulla gestione del Paese, e l’ambiziosa Abigail Masham (Stone), cugina di Sarah e nobildonna decaduta, che fa di tutto per sedurre Sua Maestà e riconquistare così il potere perduto.
Il triangolo amoroso che deriva da tanta rivalità, segreti e inganni è davvero esplosivo. «Abigail è una sopravvissuta che, nella vita, ne ha passate tante. Arriva a palazzo bisognosa di protezione e, forse, anche di qualcosa di più. La considero soprattutto una donna che lotta duramente per farcela, in un mondo durissimo» prosegue Stone. Secondo alcuni critici La favorita è (nonostante una prima versione della sceneggiatura fosse in circolazione da circa venti anni) un manifesto del movimento #MeToo. Lei, però, è in disaccordo: «Un suo collega mi ha detto, poco fa: “Questo film rappresenta una rivincita delle donne sugli uomini, che se ne stanno relegati sullo sfondo. Le donne vanno persino a letto insieme”. L’ho osservato sbalordita. E questo cosa vorrebbe dire, che fanno sesso tra di loro per vendicarsi?» sgnignazza, senza riuscire a nascondere un certo disappunto. «La realtà è che non siamo abituati a vedere film in cui i personaggi femminili sono così centrali, ma potrei citare 60mila titoli in cui accade esattamente il contrario e dove nessuno si sognerebbe mai di alzarsi in piedi per lamentare che le donne non sono abbastanza in scena. Non si tratta di vendetta, ma di semplice parità».
La sceneggiatura, scritta a quattro mani da Deborah Davis e Tony McNamara, parte da un’accurata ricostruzione storica per prendersi alcune libertà. Lady Sarah e la regina erano amiche d’infanzia, ma si scambiavano anche numerose lettere d’amore. Ciò non significa che fossero anche amanti, come mostra invece la pellicola. Per quanto riguarda Abigail, Stone non ha avuto molto materiale da cui attingere. «Mi sono preparata facendo ricerche sul periodo storico e cercando di comprendere fino in fondo quanto fosse difficile essere donna a quei tempi. A partire dai corsetti, che mi hanno aiutata parecchio». Da che punto di vista? Spalanca i grandi occhi verdi: «Era la prima volta che li indossavo ed è stato interessante notare l’effetto che hanno sulla respirazione e sul corpo. Mi sono resa conto che le donne dell’epoca erano intrappolate nei propri abiti, che le costringevano a stare in una tensione costante: ci si sente svenire, finché il corpo si adegua e gli organi si adattano alla pressione. Le donne che lavoravano per i reali, poi, indossavano corsetti strettissimi e, allo stesso tempo, accendevano il camino, pulivano i pavimenti e portavano pesi. Era una vita terribile!».
C’è chi dice che questo ruolo rappresenti una deviazione nella sua carriera, costellata da eroine romantiche, e lei ammette che Abigail potrebbe in effetti risultare sgradevole. «Di certo questo è uno degli aspetti positivi dell’andare avanti con l’età: i nostri sogni si espandono, iniziamo a desiderare altri tipi di sfide. Quando non hai più 21 anni (ne aveva 20 quando ha debuttato sul grande schermo con la commedia Suxbad – Tre menti sopra il pelo, nda) inizi a ricevere proposte diverse e, perché no, anche più interessanti». Tra gli esempi più recenti c’è la miniserie targata Netflix Maniac, di cui era protagonista e produttrice esecutiva: «La libertà di scegliere è un privilegio. Noi attori siamo abituati ad essere solo un ingranaggio nella macchina del cinema, ma è incredibile poter prendere delle decisioni da un punto di vista creativo e sentire di avere una voce con cui potersi esprimere». Non aspettatevi, però, che inizi a condividere pubblicamente le proprie opinioni.
«Ci sono persone eloquenti e capaci di spiegarsi in modo splendido. Io, invece, divento molto nervosa ogni volta che devo dire qualcosa. Quando si parla di social media, poi, li trovo spaventosi». Perché? «In quanto artisti, ci vengono spesso poste domande inerenti argomenti che vanno ben oltre il nostro mestiere, dall’evoluzione del femminismo alla politica. E guai a te se, quando dici la tua davanti ad un microfono, dai una risposta sbagliata!». Scuote la testa. «È una cosa che mi spaventa e che mi spinge a non espormi, se non conosco bene il tema di cui devo parlare. Allo stesso tempo, per chi è sicuro di sé, i social possono essere un’opportunità fantastica. Io, semplicemente, non appartengo a quella categoria» dice con un sorriso. Il futuro è roseo: oltre a rivederla nei panni di Wichita nell’atteso sequel di Benvenuti a Zombieland (stesso cast dell’originale, uscirà a ottobre), sarà Crudelia de Mon nell’origin story sulla villain de La Carica dei 101. E chissà che, la notte del 24 febbraio, non sia proprio lei a salire sul palco del Dolby Theatre di Los Angeles per ritirare il suo secondo Oscar, dopo quello vinto nel 2017 per La La Land.