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Erba, alcol, coca, eroina, crack (e cinema): Abel Ferrara ci racconta la storia della sua dipendenza

Intervista-confessione del regista americano sulla sua addiction e su come ne è uscito in una comunità di Caserta. In vista del film su Padre Pio, questo è già un miracolo

Foto: Rosdiana Ciaravolo/Getty Images

Il suo nuovo film avrà per protagonista Padre Pio, forse perché il vero miracolo Abel Ferrara lo ha ricevuto proprio in Italia. Nella lunga intervista che ci ha concesso, dopo la lettura di una poesia di Gabriele Tinti alla Pinacoteca di Brera ispirata alla figura di San Sebastiano, il regista americano ha spiegato il suo lungo rapporto con droga e alcol e di come sia riuscito a disintossicarsi grazie a una comunità a Valle di Maddaloni, vicino a Caserta. Una confessione, arrivata un po’ a sorpresa, mentre abbiamo avuto il piacere di cenare insieme a Milano.

Di fronte a un piatto di tagliolini ai funghi accompagnati soltanto da una bottiglia di acqua frizzante (che lui beve a canna) e mentre ci sfotte per l’usanza tutta italiana di fare un cin cin per qualsiasi cosa, Abel Ferrara ha raccontato di quando iniziò a consumare erba a 16 anni e, da lì in poi, finì per cadere nel vortice delle dipendenze: «Fumavo quando ce n’era e basta. Poi, col tempo e coi primi soldi, sono passato alla cocaina. Mi dicevo che non mi sarei mai fatto di eroina, però non è andata così…». Un consumo costante, tanto che «mentre giravo ero sempre strafatto», e anche nella vita di tutti i giorni non mancavano i problemi: «Per me era impossibile stare seduto a un tavolo a cena come stiamo facendo adesso. Dovevo assolutamente andare in bagno a farmi».

Il tutto accompagnato da fiumi di alcol: «Bevevo 40 birre al giorno. Una volta una fidanzata mi disse: “Sei l’unica persona al mondo in grado di bere una six-pack mentre dorme”». È sul set di Napoli Napoli Napoli che avviene la svolta: «Vivevo nei Quartieri Spagnoli, un posto delirante come Scampia dove puoi trovare di tutto, peggio del Bronx di New York». Qui però uno degli attori gli consiglia una comunità, che rispetto alle cliniche americane è gratuita e aiuta a uscirne, non solo a rimettersi in sesto per qualche settimana: «La crisi di astinenza è un incubo che davvero non ti so descrivere. Avevo solo un pensiero: come arrivare alla stazione che ti sembra Disneyland perché pensi a tutta la roba che ci puoi trovare. A Roma è diverso: la droga fa schifo ed è super costosa».

Ora assicura: «Non mi drogo e non bevo da nove anni», visto che «se bevo finisco in manette». E ripone grandi aspettative nella pellicola in lavorazione, soprattutto per il rapporto che si è instaurato con l’attore Shia LaBeouf, il quale sta lavorando con grande dedizione per entrare nel personaggio: «Passa il tempo a leggere libri di salmi e preghiere a determinate ore della giornata, è andato persino a conoscere dei frati che gli hanno passato tutto il materiale».

Un’immagine dal set di ‘Zeros and Ones’ di Abel Ferrara (il terzo da destra), vincitore del premio per la regia all’ultimo Festival di Locarno. Sulla sinistra si riconoscono Valerio Mastandrea e Ethan Hawke

Ha appena letto questa evocativa poesia di Gabriele Tinti al fianco del San Sebastiano flagellato a morte. Ma lei si è mai sentito così? Magari all’interno del mondo del cinema.
È il mondo che mi fa sentire flagellato, mentre il cinema per me è una sorta di difesa dagli attacchi della vita e dalle sue tempeste. È una cosa folle. Ed è un miracolo che io sia ancora qui. Non me lo sarei mai aspettato di arrivare fino a questa età.

Quindi ha trovato la sua redenzione?
Continuo a trovare la mia redenzione in ogni momento. Sto provando ad andare avanti giorno per giorno. Ho tante cose che necessitano di redenzione quando guardo indietro, a tutta la mia fase “cattiva”. Ne sono cosciente… Quindi cerco di farci i conti a poco a poco, passo dopo passo. Mi assicuro di essere giusto con le persone che amo, con quelle che mi stanno intorno. Di prendermi cura delle cose qui e ora.

Cos’è il peccato per Abel Ferrara?
Fare del male a qualcuno. Che posso dire? Vuoi che gli altri siano buoni con te, quindi cerchi di comportarti bene affinché questo accada. Sono buddista, noi abbiamo una lista molto semplice di ciò che è giusto e di ciò che non lo è.

Il suo prossimo film sarà su Padre Pio e ha scelto Shia LaBeouf per interpretarlo. Come mai?
Perché mi chiedi come mai?

È una scelta curiosa. LaBeouf è conosciuto per non avere un carattere semplice.
Shia è conosciuto per il suo talento e sta mettendo molto cuore in questo progetto, vuole davvero entrare nell’idea che abbiamo di questo film e renderla al meglio sullo schermo. Ci sto già lavorando e non vedo l’ora di continuare.

Johnny Depp dice che Hollywood lo boicotta impedendogli di lavorare. Lo prenderebbe in un suo film?
Quando ha detto di sentirsi boicottato?

In alcune interviste, per via dei problemi legali con la sua ex moglie.
Sì, ma guarda: l’unico boicottaggio possibile è quello che fai a te stesso.

Quindi farebbe senza problemi un film con lui?
Sto facendo un film con Shia in questo momento. Cosa vorreste suggerirmi? Vi piace Johnny Depp?

Be’, non ci lamenteremmo se ce lo presentasse.
E non vorreste conoscere Shia?

Perché no…
Posso farveli conoscere entrambi. Quale scegliereste?

Probabilmente Johnny Depp… A parte questo, dopo tanto tempo finalmente potrebbe dircelo: era tra gli attori del film porno The 9 Lives of a Wet Pussy?
In quel film? Certo che c’ero! Ma se volete saperne di più, recuperate quel film!

A questo punto la conversazione si sposta all’Osteria Da Fortunata, a pochi passi dalla Pinacoteca di Brera. È qui che Abel Ferrara si lascia andare a una lunga confessione, che preferisce non fare in video, sulle sue dipendenze e su come le ha affrontate, anche grazie a degli squisiti tagliolini al ragù e, per lui, solo acqua.

Che fase della sua carriera sta attraversando?
Ho appena vinto a Locarno il Pardo d’oro per la miglior regia col mio ultimo film, Zeros and Ones, però è stato uno choc…

Come mai?
Perché la proiezione è stata davvero terribile! Mi è spiaciuto molto perché era la prima volta che il film veniva proiettato davanti a un pubblico. È un film molto oscuro, visto che è interamente girato di notte durante la pandemia. Non c’era nessuno in giro. Può sembrare che ci sia una storia, ma in realtà ha uno spirito più impressionista.

È solo per la proiezione che è rimasto scioccato?
No, anche perché, dopo la proiezione del film, c’erano dei giornalisti che si sono messi a farmi delle domande stupidissime. A Cannes questo non succede, perché non c’è il momento delle domande e delle risposte post visione, per fortuna. Comunque, è stato un disastro di Locarno. Forse perché la gente, ora come ora, è più abituata a film con trame semplici tipo: lui e lei si incontrano, succede questo e poi c’è un finale. Tutto lineare. Ma questo non è il tipo di film con cui sono cresciuto e che faccio. A me piacciono i film impressionisti, come dicevo. In ogni caso, sono tornato nella camera d’albergo distrutto, come se fosse andato un po’ tutto male quella sera. Prima di andare a dormire, scopro che c’è già una recensione online, soltanto una, americana. La leggo e demoliva il film.

Soffre per le critiche?
No, anzi, di solito apprezzo molto le recensioni negative, mi divertono. Ma quella non faceva davvero sconti. Sembrava che il giornalista, oltre al film, detestasse proprio me come persona. Insomma, sono andato a letto pensando: “Fanculo, è stato un vero disastro”. Il giorno dopo ne ho parlato coi miei due produttori, che invece erano entusiasti. Gli ho risposto: “Ma andate al diavolo, siamo fottuti”. Poi è arrivato un tizio e mi ha detto: “Hai vinto il premio per la miglior regia”. Non potevo crederci, vista l’accoglienza della giornata precedente. Per questo dicevo che vincere è stato uno choc. Comunque, quando vinci premi non ti danno soldi. Invece ne guadagno quando leggo poesie (ride).

Le interviste la annoiano?
Ma no! Mi danno noia solo quelle in cui tra me e il giornalista c’è lo schermo del telefono che filma. Mi piace parlare con le persone guardandole in faccia. E poi davvero mi veniva da tirare fuori il mio telefono e filmarti mentre mi facevi le domande. Deformazione professionale…

Le capita di pensare alla morte?
Sai, passi la vita a cercare di ucciderti con le droghe e l’alcol e poi arriva una pandemia, così pensi: “No, non voglio morire davvero. Non voglio”. In ogni caso, prima o poi accadrà, ma non è che mi vengano attacchi di panico al pensiero. Sai, io sono buddista, perciò credo nella reincarnazione. La morte non è un pensiero che mi spaventa. Invece Shia credo stia diventando cattolico (ride).

Padre Pio ha fatto un altro miracolo?
No, voglio dire che ha preso molto a cuore il ruolo di Padre Pio che gli ho assegnato, e adesso sta facendo un sacco di cose, tipo leggere libri di salmi e preghiere a determinate ore della giornata, è andato persino a conoscere dei frati che gli hanno passato tutto il materiale.

Beve solo acqua frizzante, neppure un calice di vino. È diventato astemio?
Vi racconto come sono diventato completamente sobrio. Non mi drogo e non bevo da nove anni, ormai. Sono stato in una comunità a Valle di Maddaloni, vicino Caserta.

Perché ha scelto proprio la comunità di Maddaloni?
Sono andato lì perché ho familiarità con quelle zone. Mio nonno era nato in quella zona. Comunque, ero a Napoli e stavo girando questo documentario che si chiama Napoli Napoli Napoli. È una serie di interviste fatte nel carcere femminile di Pozzuoli. Mentre giravo, ero sempre strafatto. Vivevo nei Quartieri Spagnoli, un posto delirante come Scampia. In quei posti puoi trovare di tutto a livello di droghe, è peggio del Bronx di New York. Un giovane attore che mi amava come se fosse un figlio per me mi ha suggerito di smettere. Ero atroce, oltraggioso perfino per Napoli, credo che nei Quartieri si ricordino ancora di me.

Per esempio?
Per me era impossibile stare seduto a un tavolo per cena come stiamo facendo adesso. Dovevo assolutamente andare in bagno a farmi, ma poi non riuscivo a stare fermo. Mi ci sono voluti 15 anni di meditazione per imparare una cosa così semplice come stare seduto e cenare. Anche quando uscivo con una donna, le dicevo: “Ok, vai al ristorante, ordina del cibo e due bottiglie di vino e chiamami quando arriva tutto”. Perché io non riuscivo a concepire di dover stare lì fermo ad aspettare. Poi fingevo, magari un mal di stomaco, per avere la scusa per allontanarmi dalla cena e tornare a farmi. Con l’alcol non andava certo meglio…

In che misura ne ha abusato?
Bevevo 40 birre al giorno… Tenendo conto che non dormivo praticamente mai, era come berne due all’ora, quindi nemmeno così tante… Per questo riuscivo a lavorare lo stesso. Una volta una fidanzata mi disse: “Sei l’unica persona al mondo in grado di bere una six-pack di birra mentre dorme”. Le persone magari si svegliano la notte e fumano una sigaretta. Io, ammesso che riuscissi a dormire, mi svegliavo comunque per bere sei birre e poi tornavo a letto.

A che droghe si riferisce?
Eroina e cocaina… e tantissimo alcol. Tornando a come ne sono uscito, questo ragazzo che avevo scelto per fare l’attore, molto giovane e pulito, mentre stavamo girando a Napoli mi dice: “Prova ad andare nella comunità di Maddaloni, puoi entrarci anche domani, quando vuoi”. Era anche gratis, quindi alla fine ho deciso di provare. E così, dopo quattro mesi di permanenza, ho smesso.

In soli quattro mesi? Il miracolo Padre Pio lo ha fatto a lei… Come l’hanno aiutata?
Allora, c’erano questi ragazzi molto giovani e tutti tossici da Torre del Greco, Benevento e altre zone limitrofe. Alcuni di loro erano anche delinquenti che avrebbero dovuto stare in prigione per rapine e reati più gravi, ma erano stati mandati in comunità come alternativa al carcere. Erano tutti isterici e volevano farsi. Io gli dicevo: “Ragazzi, voi dovete stare qui tre anni per aver fatto uso di sostanze per qualche anno. Be’, seguendo questa logica, se dovesse essere una cosa proporzionale, io dovrei stare qua dentro 50 anni!”. Quel posto è il migliore del mondo per curare tossicodipendenti.

Cosa facevate durante il giorno?
Il programma di riabilitazione dura, appunto, tre anni e si basa sul lavoro. C’erano anche una fattoria, un’officina… La mia giornata tipo lì dentro era molto semplice: mi svegliavo ogni giorno alle 7, mi rifacevo il letto e iniziavo a meditare, poi si andava a lavorare, ognuno con la propria mansione, e alle 13 c’era il pranzo tutti insieme. Ho fatto un po’ tutti i lavori, a turno, ma in particolare mi piaceva coltivare la terra, specialmente mi occupavo delle zucche. Già dopo la prima settimana lì, ho capito che avrei voluto restare sobrio per il resto della mia vita.

Quando aveva iniziato con le droghe?
Io sono un tossico da quando avevo 16 anni. Ho iniziato con l’erba, come tutti. Fumavo quando ce n’era e basta. Poi, col tempo e coi primi soldi, sono passato alla cocaina. Mi dicevo che non mi sarei mai fatto di eroina, però non è andata così… Più ti ritrovi soldi in tasca e più cerchi droga migliore. È andata a finire che stavo sempre a drogarmi e a bere. Successivamente ho scoperto il crack, che è la fine del mondo, il più grande demone di tutti i tempi! Intanto, continuavo ancora con l’alcol e la cocaina, mentre nel frattempo non smettevo di fare film, anzi. Sui vari set, ho scelto molti collaboratori solo perché sapevo che avrebbero potuto procurare la droga facilmente.

Il suo film dove è girata più droga in assoluto?
Ah, decisamente Go Go Tales. Bellissimo! Un film molto divertente, c’era anche Asia Argento. Tantissimo alcol, anche. Tutto il giorno… Mi hanno tutti ringraziato molto alla fine delle riprese.

Ma alla fine è riuscito ad uscirne…
Sì, grazie alla comunità di Maddaloni. La crisi di astinenza è un incubo che davvero non ti so descrivere, ed è la prima fase della disintossicazione. Può durare fino a 40 giorni. Stai male proprio fisicamente. In quel periodo devono fare il possibile per provare a trattenerti perché tu hai un solo pensiero: come arrivare alla stazione di Caserta che sta a una decina di chilometri da Napoli e in quei momenti ti sembra Disneyland, perché pensi a tutta la droga che ci puoi trovare. A Roma è diverso: la droga fa schifo ed è super costosa. Poi lì ci sono un sacco di poliziotti sotto copertura. Mancano solo il KGB e il Mossad, ma magari ci sono pure quelli (ride).

Perché non ha scelto l’America per disintossicarsi?
Perché nei rehab americani non sarebbe stato possibile. A parte che costano tantissimo, non fanno un buon lavoro. Lì ci vanno Britney Spears e tutti quei personaggi che valgono un sacco di soldi e quindi non possono fermarsi: li spediscono là tre settimane, un periodo di tempo ridicolo per una disintossicazione reale, in modo che si rimettano a posto fisicamente, ma psicologicamente il problema rimane, non si risolve niente.

L’importante è solo continuare a lavorare, the show must go on?
Il problema è che i loro manager non possono permettersi di non fare soldi per più di tre settimane, anzi, è già tantissimo dal loro punto di vista. Quindi, una volta che fisicamente sono ok, li risbattono sul palco o sul set. Di questi tempi non si sa mai per quanto tempo qualcuno rimane famoso, quindi si deve battere il ferro finché è caldo e incassare il più possibile fino a che dura la loro popolarità. Di fatto, però, il problema è che queste persone non vengono curate. Io invece ora sono pulito da nove anni, anche se vado ancora agli alcolisti anonimi tre volte a settimana. Perché, sai com’è? Ormai sono allergico all’alcol, ma se bevo finisco in manette.

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