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Francesca Fagnani, anatomia di una ‘Belva’

Gli ospiti che avrebbe voluto, i rifiuti, l’affaire Lamborghini, Morgan, la Guerritore e Rettore. A tu per tu con la conduttrice di una delle trasmissioni più scaricate su RaiPlay e più commentata sui social

Francesca Fagnani nello studio di 'Belve'. Foto: Rai


Già l’anno scorso era finita nell’occhio del ciclone per le sue interviste. Quest’anno Belve ha confermato l’interesse del pubblico, soprattutto quello “non generalista”, che va a ricercare i contenuti su web o piattaforme. Dato da considerare attentamente alla luce della Total Audience, in grado di monitorare sia l’utenza televisiva tradizionale sia i device connessi. A questo si aggiunge che la conduttrice, Francesca Fagnani, ha dovuto barcamenarsi in una collocazione non semplice, televisivamente parlando. Ed è comunque riuscita, tra una zampata e l’altra, a lasciare il segno. Vuoi per gli ospiti che ha avuto, vuoi per le dichiarazioni che (nel programma e dopo) hanno rilasciato i personaggi intervistati. Ne parliamo con la diretta interessata per capire se, anche lei, è così “belva” come sembra.

Tiriamo le somme su questa stagione di Belve che va verso la conclusione.
Sono felicissima. È stata esaltante, con ospiti giusti e identitari per il programma. E con una bella risposta del pubblico: siamo sempre fra i tre programmi più scaricati su RaiPlay.

Potevi fare di più?
No. Si può fare sempre di più, ma sono contentissima di come è andata.

Il programma è diventato cult con il passaggio a Rai 2. Perché è finita con il Nove?
Era scaduto il contratto. Poi sono passata in Rai e, visto che il format è mio, l’ho proposto e ho avuto l’opportunità di farlo. Si tratta di un miglioramento, di un upgrade.

Quindi ti sei presa una rivincita su Discovery?
Ma no, sono grata a Discovery che mi ha messo in onda per primo, ben felice.

La stampa è dalla tua parte, sui social impazzano le tue interviste. I detrattori, però, lamentano ascolti non esaltanti.
Gli ascolti bisogna leggerli. Siamo una delle trasmissioni più scaricate di RaiPlay. E quando si è il secondo programma più scaricato della Rai, significa che la collocazione non è proprio fortunata. Poi bisogna vedere, in gergo, quante teste fa, calcolare gli ascolti.

In pratica?
Fare il 7% a mezzanotte e mezza con 200mila spettatori e dopo un traino è un conto, rispetto a fare 500mila spettatori dentro la prima serata degli altri. Noi non partiamo alle 23:30, ma come un prime time e, come si sa, dopo le 23:00 finisce la fascia protetta, si possono trattare argomenti come il sesso. Da quell’ora in poi i programmi fanno un bottino di ascolti, perciò la mia partita, il mio campionato è su RaiPlay, sui social. E sono felicissima.

Arriviamo alle interviste. Mi hai fatto a pezzi la Rettore.
Mi dispiace si sia esposta negativamente.

Non ha avuto parole benevole nei tuoi confronti. Che rispondi?
Cos’ha detto?

Che le hai fatto sempre le solite domande, che dovresti fare una cura di fosforo e che era sul punto di mandartici…
Non rispondo. C’è la libertà di fare una domanda e di accogliere qualsiasi tipo di reazione. Sempre.

Mai sentita in colpa per un’intervista che hai fatto?
No. Non ho la responsabilità delle risposte altrui.

Nei backstage in onda a fine programma, sembrano tutti molto tranquilli. Anche Rettore. Poi che è successo?
Ci avrà ripensato.

Molti ospiti, come Monica Guerritore, sembravano scocciati a parlare del passato.
Guarda, è molto interessante, perché le mie interviste sono dei ritratti, non sono solo sull’attualità. Ogni ritratto parte dall’infanzia, poi si arriva alla carriera, all’amore. Magari c’è chi non ha piacere a ricordare certi passaggi. E si secca se vengono riproposti.

Ma non sanno in che programma vanno?
Dovrebbero. Ma che ti devo dire? Magari pensano che, per loro, valga un’altra regola d’ingaggio.

Foto: Press

Perché le “belve” sono più donne che uomini?
È nel progetto del programma, che nasce per intervistare le donne. Si parla sempre di loro come vittime di qualcosa, mentre volevo rivendicare un’immagine di forza, anche dei difetti: dove l’ambizione è considerata pregio per un uomo e difetto per una donna. Era per uscire un po’ dallo stereotipo. Vanno bene i programmi che parlano dei soprusi di cui sono vittime, ma bisogna fare un salto culturale e proporre anche un’immagine diversa. Belve è dedicato alle donne. La quota azzurra è una provocazione a quelle rosa.

Tipo Morgan.
Nella prossima puntata ci sarà Teo Teocoli.

Oltre a lui?
Rita Rusic.

Ma perché Teocoli? Non mi sembra “belva”.
Ma come no? Ha litigato con tutto il mondo. Poi è un talento vero, eh!

Cosa bisogna fare per essere invitati a Belve?
Essere persone fuori dall’ordinario, avere un carattere forte, determinato. Oppure un vissuto straordinario, come l’ex camorrista Cristina Pinto. O Martina Caironi, atleta paralimpica – anche lei nell’ultima puntata – che, diciottenne, perde una gamba e, in tre anni, diventa campionessa internazionale. Se non è una “belva” lei…

Quindi le “belve” sono anche positive.
È ampio lo spettro dell’essere “belva”. L’accezione è positiva o negativa, se si pensa alla ferocia di una ex camorrista.

A proposito dell’ex camorrista. Pensi sia stata un’intervista un po’ trattenuta? Poteva uscire di più?
Be’, dichiarazioni così, in Rai, non le ho mai viste. È stata intensa e spietata, anche con sé stessa. Ha tirato fuori cose fortissime, rispondendo a domande che l’hanno messa a nudo anche sulle prime volte. Se per una ragazza o un ragazzo erano determinate cose, per lei era sparare: ha detto di non aver sentito niente. L’ho trovata scioccante. Poi quella signora non è abituata a stare davanti alla telecamera, a parlare con i ritmi televisivi e lanciare la frase a effetto. L’ho trovata una testimonianza difficile. Ho intervistato Anna Carrino, una delle più grandi collaboratrici di giustizia in Italia. Quella, però, è una cosa più vista. Intervistare chi si è fatto 23 anni di galera senza essersi mai pentito, be’, insomma, non è facile. Per questo è importante già il solo fatto che la Pinto si sia fidata, si sia seduta su uno sgabello e abbia parlato della sua storia. Quando le ho chiesto se pregasse, mi ha risposto che chiede a Dio di tenerla calma perché il lupo sta sempre sotto. Quell’intervista è stata un unicum. È tutto molto più complesso di come sembra.

Qualcuno ha rifiutato il tuo invito?
Qualcuno? C’è una lista lunga…

Ti è dispiaciuto per qualche rifiuto in particolare?
Mi dispiace per tutti, ma rispetto sempre. Belve è un’intervista difficile, che bisogna sentire, ci si mette in gioco. Preferisco chi rifiuta piuttosto di chi viene e poi mi inizia a dire “taglia questo, taglia quest’altro” o fa mille problemi, come la Lamborghini.

Ok, ma qualche nome di chi avresti voluto?
Sono sempre i soliti nomi, se vuoi te li faccio.

Ci sarà qualche personaggio che avresti voluto vedere sullo sgabello, ma non ce l’hai proprio fatta.
Poi me ne faccio una ragione, non è che piango, eh. La Golino, la Morante… io non scelgo il nome importante, ma quello giusto. Ho invitato anche Buffon e mi ha detto no.

Ah.
Lui ha un bel vissuto, è un simbolo, un personaggio molto interessante.

Mi dici chi ha cercato di venire, ma tu hai preferito non ospitare?
Non lo farei mai, perché non è gentile. Non sarei mai scorretta verso una persona.

Parliamo di Pamela Prati. La sua intervista è diventata virale sui social, ci sono meme, tiktoker che l’hanno ripresa. L’hai più sentita?
Un paio di volte, dopo. Era molto meravigliata di quante visualizzazioni avesse, ma non ho capito se era contenta o dispiaciuta. Mi è rimasto il dubbio.

L’intervista che ti ha dato più soddisfazione?
Alcune mi sono piaciute di più, altre meno, però hanno tutte un elemento che mi ha sorpreso, che non mi aspettavo. Quando mi dicono qualcosa che, pur avendo studiato tanto, non mi aspettavo, allora sono contenta. Anche Morgan, con cui ci sono state delle tensioni, l’ho trovato molto disposto all’ascolto e all’accoglienza. Si infastidiva, ma mi ascoltava e mi rispondeva. Così come la Guerritore che si è stranita. Io ho una logica che non considera necessariamente il personaggio con cui ho avuto più feeling.

E qual è la logica?
Quella di chi dà di più nel programma. E la Guerritore, con quella sua reazione, ha dato molto. Poi c’è chi è stato generoso e chi meno. Ilary Blasi è stata molto generosa e interessante, come Paola Barale.

Il pregio di Belve, in generale, è che fai domande che tutti vorrebbero fare.
Questa cosa me la disse Giovanni Floris quando iniziai il programma sul Nove. Pongo questioni che, un po’ per pudore e un po’ per gentilezza, uno non fa. Mi piace uscire dal chiacchiericcio per chiedere al diretto interessato la cosa.

Se un ospite, a mente fredda, ti chiede di tagliare qualcosa, lo fai?
No, perché lo dico all’inizio. I patti sono chiari: non faccio rivedere le interviste e non permetto a nessuno di fare editing di un programma Rai. Anche nel rispetto del nostro lavoro giornalistico e dell’azienda. È un viziaccio che gli ospiti si dovrebbero togliere. Lo rivendico per tutte le trasmissioni e tutti gli articoli. Se mi fai un’intervista, io accetto le domande e il rischio. Ma non chiedo di rileggerla: sarebbe un atto di sfiducia. In Belve si esce come si esce, non per come si vuole uscire dopo.

Potrai immaginare e vivrai anche tu, essendo una giornalista, quanti interventi si hanno in alcune occasioni con artisti e uffici stampa.
La trovo una cosa sgradevolissima, sempre, in tutti i contesti.

Parliamo di Elettra Lamborghini: immagino avrai avuto a che fare con diverse persone del suo staff.
La cosa divertente è che a un certo punto, tra i vari intermediari, uno mi ha chiesto di togliere le domande politiche che le avevo fatto.

E tu?
Sono caduta dal pero: la domanda politica non solo non gliel’ho posta, ma non ho mai neanche lontanamente pensato di fargliela. Il tema è che non si ricordava le risposte, forse.

Su cosa si è storta, secondo te?
Per me non si è piaciuta, forse non è abituata a fare interviste diverse, non lo so. Credo non si ricordasse quello che aveva detto. Io l’avrei mandata in onda, avrei potuto tranquillamente.

Cosa ti piacerebbe fare, oltre a Belve?
Mi occupo di criminalità organizzata e vorrei fare quello che ho sempre fatto: inchieste e reportage. Ci sto anche già lavorando. E poi sto conducendo Un giorno da pecora, su Rai Radio 2, un’esperienza molto divertente.

Televisivamente, invece?
Il linguaggio dei reportage mi interessa sempre.

Ti giro la domanda che hai fatto a Roberta Bruzzone. Pensi di tirare fuori il peggio delle persone?
Penso di tirare fuori il meglio. Quando si pensa di tirare fuori il peggio come difetto, si trova il meglio. Perché da casa si empatizza con i difetti, le ombre, le fragilità. Avvicinare e umanizzare il personaggio è un’operazione simpatia attraverso la spontaneità, il mettersi in mostra per quello che si è. Anche se è chiaro che si dà una rappresentazione di sé stessi.

Hai parlato di difetti. Qual è il tuo?
Forse l’egoismo, la prepotenza.

Addirittura.
Forse ho un modo di fare un po’ prepotente.

La critica che ti ha fatto arrabbiare?
Non ho letto critiche che mi hanno fatta soffrire. Lamentarmi sarebbe davvero ingeneroso da parte mia.

Come ti descriveresti, oggi?
Una giornalista fiera di esserlo, e molto fortunata. Perché il lavoro mi ha messo in contatto con cose che difficilmente si conoscono. E non parlo di Belve. Belve mi fa divertire con personaggi interessanti. Poi tutto il resto sono realtà del Paese serie che, se facessi un altro lavoro, non avrei mai l’opportunità di conoscere.

Tipo?
Quando per un programma di Rai 3 ho passato un mese in un carcere minorile, poi si capisce quanto si è fortunati. Sembra tutto banale, finché non vedi chi è tanto diverso da te.

Cosa ti ha sconvolto?
Che nella vita ci vuole fortuna anche a nascere in un quartiere o in un altro. Se si nasce in una strada, un vicolo, un palazzo o una famiglia, a Napoli in alcuni casi – quasi tutti, purtroppo – si ha il destino segnato. Non si ha nulla se non la propria forza di volontà, ma con una madre agli arresti domiciliari, un palazzo, un quartiere dove tutti spacciano. E nessun assistente sociale che riporta a scuola chi non ci va, ma che vuoi fare? Non c’è una vita alternativa: quando questi ragazzi vanno a spacciare dicono “Vado a faticare”. È un’ingiustizia sociale che spesso sta in storie di criminalità, soprattutto per quel che riguarda i ragazzini di cui mi occupo io. Quando ho chiesto, nella puntata dedicata alle donne, cosa avrebbero cambiato, tutte hanno detto: “Sarei andata a scuola”. Perché è l’unico momento in cui sono uguali agli altri. Queste un piano B non ce l’hanno.

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