Ci sentiamo mentre lui è su un nuovo set top secret e io, con due ore di sonno, esco da una maratona notturna di SKAM Italia 5. La chiacchierata si svolge una settimana prima dell’uscita della nuova stagione (che il 1° settembre arriva finalmente su Netflix), quella dedicata a Elia Santini, con Francesco Centorame a interpretarlo. Quella che è già diventata tante cose, tra cui “la stagione del micropene”, ovvero la stagione della polemica mediatica, ovvero la stagione che ha fatto incazzare le femministe che combattono il patriarcato prima ancora di guardarla. Prima ancora di lasciarsi sorprendere da uno dei personaggi più schierati, intelligenti e funzionali alla causa che sia mai passato al cinema e su piattaforma. Un adolescente che nasconde un segreto faticosissimo: l’ipoplasia peniena, forma patologica riscontrabile in soggetti con micropeni che non superano, da eretti, i sette centimetri. Oltre a questo Elia Santini è, a sorpresa, un antifascista puro e un ragazzo che risponde alla violenza chiedendo aiuto alle istituzioni.
Per me è diventata la miglior stagione di SKAM Italia (ancora una volta prodotta da Cross Productions). La prima originale, pensata e scritta a quattro mani da Ludovico Bessegato (l’uomo che si supera ogni volta, showrunner, regista e sceneggiatore storico della serie) insieme ad Alice Urciuolo (che torna a firmare la sceneggiatura dopo la terza stagione). Quanto è vero che SKAM in norvegese significa “vergogna”, è vero anche che questa quinta stagione affonda definitivamente il coltello nella piaga alla radice della vergogna sociale. Quella del peccato originale, lo stigma degli stigmi: le dimensioni del pene come strumento di affermazione e potere di genere. SKAM 5 ci sta dicendo che se non affrontiamo l’ossessione della penetrazione come unica forma di sesso plausibile, rischiamo di fare solo belle chiacchiere a vuoto. A un passo dall’uscita delle nuove puntate, Francesco Centorame è uno degli attori più emozionati con cui abbia mai parlato: per Elia ha pianto ogni giorno, mi dice, e con Elia è cambiata anche la sua visione del sesso e della società patriarcale e machista in cui siamo obiettivamente immersi.
Io invece, a quell’età, non credevo avrei mai pianto per un uomo a disagio con il proprio pene. Non credevo avrei mai pensato di poterlo amare e desiderare comunque, incondizionatamente. Ci hanno insegnato che si tratta di un limite sessuale e in fondo ci ho creduto per tutta la mia giovinezza femminista, senza accettare che fosse un pregiudizio culturale. Questa è una stagione di rottura e di rivoluzione. Ed è probabilmente quella che potrà farci riflettere di più (soprattutto noi trentenni e quarantenni, sì), perché richiede un “vergognoso” – appunto – esame di coscienza. Francesco Centorame supera qualsiasi prova, e SKAM Italia è ancora una volta la serie che ogni adolescente avrebbe meritato.
Strappiamo subito questo cerotto: arrivare dopo la stagione su Sana forse era anche peggio che arrivare dopo Martino…
(Ride) Dici che m’ha detto male? Be’, sì, la seconda e la quarta stagione hanno avuto una risonanza enorme. Con un tema diverso forse ci avrei pensato due volte, ad accettare il testimone.
Con un tema così, invece…
Non potevo che dire grazie e basta. È stata una scoperta per me, e sarà una scoperta per tutti. Ancora una volta è qualcosa di cui si doveva parlare, andava fatta.
Senti, te lo dico: è la stagione che preferisco. A differenza delle altre, credo che far pace con la storia di Elia sia più dura, è un lieto fine amaro. Perché qui non si tratta di “chi sei” ma di “come sei”. Fisicamente.
Guarda, è lo specchio di tutto quello che stiamo vivendo. Il tema di Elia è qualcosa che ci portiamo dentro dalla nascita, e che nessuno ha mai il coraggio di affrontare. Perché non lo vedi. Fossimo tutti nudi, forse questo problema non ce lo saremmo mai posti. Io lo vedo il velo di Sana, ma il pene di Elia no.
Quindi ne parliamo senza filtri? Ok. Come l’hai presa quando hai scoperto il segreto di Elia?
Sulla probabile quinta stagione di SKAM c’era tanto rumore, la volevano ma non dipendeva dall’Italia, non si doveva fare e poi invece sì. Quando Ludovico mi ha chiamato per dirmelo sono rimasto folgorato, perché è geniale. Ma è anche molto più semplice di quello che pensiamo, non serve andare lontano. La bravura degli sceneggiatori di SKAM è questa: i temi ce li abbiamo intorno, sono i tabù che ci circondano.
Che effetto ha su un uomo di 26 anni interpretare un 19enne con ipoplasia peniena?
Ho iniziato a guardare tutto da un angolo diverso, anche il mio corpo, come viene percepito dalle persone. Nell’ultimo anno e mezzo ne ho parlato continuamente e la verità è che è difficilissimo parlarne, come nel caso di Elia. Non c’è un luogo sicuro. E nessuno, letteralmente nessuno, mi ha risposto che in qualche modo le dimensioni non contassero.
SKAM ha sempre risposto ai tabù costruendo un immaginario più forte dei pregiudizi. Mi riferisco proprio a certe scene diventate iconiche, come è stato con Niccolò e Martino. Però nel caso di Elia non c’è l’immagine, ma solo immaginazione. Il pene che lo tormenta non è sotto i nostri occhi come il velo di Sana. Che ruolo ha avuto il non-visto?
Ne parlavo con un collega, dell’importanza del non-visto al giorno d’oggi. Sapere meno. Elia da quando è nato nasconde qualcosa dentro di sé. L’utilizzo che Tiziano (Russo, regista di questa quinta stagione, nda) ha fatto della macchina da presa è stato molto delicato, mai invasivo. Questo è voluto, per tutelare e trattare con cura una roba così difficile, della quale si parla tanto ma senza parlarne mai davvero. È un controsenso assurdo, no?
Praticamente nell’epoca in cui ogni maschio bianco cisgender etero rappresenta il nemico, voi parlate per la prima volta del tabù del micropene per un giovane uomo bianco, cis ed etero. (Nda: due giorni dopo questa chiacchierata con Francesco, all’annuncio ufficiale del tema di SKAM 5 si solleva un ridicolo polverone. Pietro Turano aka Filippo interviene contro una serie di tweet di questo calibro: “Io che volevo una bella stagione su cui piangere che potesse coinvolgere un tema davvero importante per la società, e invece devo vedere un maschio cis etero piangere perché ha il ca**o piccolo”.)
In una società fallocentrica come la nostra, è vero. Non riesco mai a essere ipocrita, così ti dico che io stesso mi sento più sicuro. Ho avuto rapporti con persone più grandi di me, che altrimenti non avrei mai avuto il coraggio di affrontare. Ho sperimentato il mio corpo in maniera più libera. Ma il contrario, in questa società, diventa un limite fortissimo. Da quando nasci, se piangi, ti rimproverano di “non fare la femminuccia”. Dunque ti stanno comunicando che la donna può piangere, che se ha un disagio può esternarlo, ma l’uomo no. Se io arrivo all’età di Elia con questo schema indotto e questa storia culturale, come posso venirti a parlare del mio disagio? Elia è un caso ed è un tema, ma questo dovrebbe far riflettere su moltissime altre cose.
Per esempio, io che bulla non lo sono stata mai, ho riflettuto sul modo in cui comunque ho partecipato alla retorica sulle dimensioni.
Anche per noi è stato così, ci ha aperto un mondo. Ci metto la faccia anche io, per primo. Solo leggendo la sceneggiatura di SKAM ho capito davvero cosa significa tutto questo, e ne approfitto per dire che è davvero incredibile il lavoro di scrittura di Ludovico Bessegato e Alice Urciuolo. Questa stagione è una roba originale, tutta loro. E mi ha fatto realizzare perché tanti miei compagni facevano la doccia negli spogliatoi con le mutande addosso. Tu osservi passivamente, ma dall’altra parte c’è un mondo.
Ho provato anche un insolito istinto materno verso Elia. È capitato anche a te di volerlo proteggere?
Io ho pianto quasi ogni giorno. Perché sono stato messo nelle condizioni di farlo, perché tutti credevamo nella storia di Elia. Grazie a lui ho scoperto anche tante cose pratiche, come l’importanza del sesso orale che sottovalutavo, che noi uomini spesso diamo per scontato e invece è essenziale per una donna.
Poi che altro?
Per esempio che accorciando il pelo pubico intervieni anche sull’immagine del pene. Cinque centimetri di erezione sembrano ancora più piccoli con due centimetri di pelo. Prima delle scene più importanti spesso facevo delle docce fredde e poi mi mettevo davanti allo specchio per qualche minuto. Dovevo capire come si passa da Francesco a un Francesco diverso. Togliermi un minimo di sicurezza e farmi sentire più vicino a Elia.
Era complicatissimo lavorare fisicamente su un personaggio del genere. Cosa hai capito?
Andare a comprendere i motivi del comportamento sociale di Elia era l’ostacolo più difficile. Ma per lui è così, ci pensa ogni ora di ogni giorno. Quel calzino che mette nelle mutande glielo ricorda sempre, mentre cammina in mezzo agli altri. Lo rende perennemente consapevole del disagio che sta vivendo. È una cosa logorante. La speranza che ho è che possa essere d’esempio per chiunque, questa serie è di un’importanza vitale.
SKAM Italia 5 per alcuni potrebbe sembrare “una cosuccia” in confronto al fatto che hai lavorato con Favino, Muccino, Morante e molti altri. Aiutami a dire che non lo è, che se fossimo cresciuti con Elia Santini anziché Ryan Atwood saremmo una generazione migliore.
(Ride) Porca miseria! Ma sai quanta consapevolezza avrei avuto io? Ho sofferto di attacchi di panico e depressione fino a 16 anni, e non ne parlavo con nessuno. Mai. Ho iniziato un percorso di psicoterapia perché sono arrivato a perdermi nelle città in preda al panico. Sono stati anni di solitudine, di “vado in bagno a piangere senza dirlo a nessuno”, poi tornavo in classe, trovavo una nota disciplinare e facevo il figo per nascondere un disagio. Io mi sono rivisto molto in Elia, che tornava a casa e piangeva come me in bagno, mentre tutti pensavano che volessi solo saltare una materia. So che questa roba accade davvero nella vita. Il fuoco che mette SKAM è questo: perché devo nascondere un disagio?
Qui parliamo di disagio maschile, è un tema controverso. Che idea ti sei fatto davvero?
Che l’idea che si ha dell’uomo non si sradica, per ora. Io ho un figlio di quasi due anni e purtroppo frequento alcuni genitori che ancora influenzano tutta la vita che sarà. Come ti dicevo, l’idea che pianti in un bambino piccolo quando gli dici “non fare la femminuccia” è difficilissima da decostruire nel tempo. Tutti questi progressi di cui si parla? Io non sono tanto soddisfatto. Altrimenti perché la necessità di una serie come SKAM sarebbe ancora così forte? Senza Ludovico Bessegato non saremmo qui, a dare importanza a temi che non avremmo mai sottolineato.
SKAM ti cambia anche come attore. È vero?
Sai cosa mi piace? Che c’è un protagonista per stagione, e tutti gli altri si mettono a sua disposizione, anche quando smettono di essere protagonisti. È un sistema che per l’ego di un attore potrebbe essere deteriorante. Invece Ludovica Martino aiuta Federico Cesari nella seconda stagione, e poi Federico aiuta Benedetta Gargari nella terza, poi il timone passa a Beatrice Bruschi. E tu, negli anni, cresci come essere umano perché impari a metterti a servizio degli altri colleghi. Spero ci sia una sesta stagione solo per mettermi in un piccolo posto a dare il mio contributo a chi verrà dopo Elia.
Mi stai dicendo che Bessegato ha creato una squadra di attori e attrici con un ego moderato?
(Ride) Diciamo che ha gestito molto bene l’ego di tutti. E ora anche Tiziano Russo, che è alla sua prima sfida grossissima, e c’è da battergli le mani. In SKAM 1 eravamo tutti sconosciuti ma oggi le dinamiche sono cambiate, il cast lo conosci eccome, ognuno ha la sua carriera. Elia, se ci pensi, mi ha accompagnato in tutto il percorso: dal primo SKAM a Muccino (era il giovane Favino negli Anni più belli, nda), poi Archibugi (Il colibrì, in uscita quest’autunno, nda) e i film che sto girando adesso, fino a tornare da lui come protagonista.
Dopo la stagione 4 tutto era di nuovo in ballo, SKAM Italia aveva carta bianca rispetto al format originale. Ti aspettavi che toccasse a te?
In realtà io quando finisco un lavoro stacco davvero. Non voglio stare lì a chiedermi cose, a leggere notizie. Che poi ti perdi anche la magia della sorpresa. Quando Ludovico mi ha chiamato non mi aspettavo nulla.
Be’, detto tra noi, forse Elia non era il personaggio più quotato dal pubblico. Hanno voluto te o lui?
Super domanda. Anche un po’ bastarda. Allora ti dico che Elia è sempre stato un personaggio di cui sapevamo poco. Avevo una gran voglia di scoprire di più, perché per quattro stagioni ho interpretato una facciata senza sapere cosa nascondesse. Poi se piaccio anche al pubblico, non posso negare di esserne contento. Ma io vorrei pure una stagione su Nicholas Zerbini e Martina Lelio (Luchino e Federica, nda), perché sono bravissimi ma anche per capire meglio i loro personaggi. Quindi Francesco o Elia? Se ci pensi, a oggi, molti mi conoscono solo per Elia… Quindi immagino abbiano scelto lui, prima di me.
Mi dicevi che sei bravo a staccare dal lavoro. Ce lo raccontiamo un po’ tutti, pure se non è vero. Invece?
Invece dico sul serio. Viviamo nell’era del “doverci essere per forza”. Io invece non voglio essere da nessuna parte. Per colpa dei social adesso so tutto di ogni attore e faccio fatica a credergli, non credo più alla magia della storia. Ho fatto questo errore solo una volta, pubblicando una foto con la mia compagna incinta. Credo davvero che la vita personale di un attore debba essere il più segreta possibile perché poi il pubblico gli creda sullo schermo. Ma se so tutto di te, perdo interesse. Questo mi spaventa molto in generale, lo noto anche con persone a me care. Le vedo ogni giorno sui social, so dove sono, cosa fanno, e poi a un certo punto non sento più neanche la mancanza. Professionalmente penso che non ne gioveremo.
Infatti, dicevamo: Gli anni più belli e Il colibrì, quindi Favino, Santamaria, Muccino, Archibugi… Sei partito senza mezze misure.
Io ho provato a mettere da parte l’ego e anche i miei interessi economici, per selezionare solo certi progetti. E poi mi è andata bene, perché sono arrivati tutti progettoni. Prima di Elia ho girato due film e una serie che ancora devono uscire, ho avuto la fortuna di lavorare con grandissimi attori e registi… e poi l’onore di tornare da Elia.
Ma nel pratico, questa fortuna di lavorare con i grandi, cos’è?
Con Pierfrancesco, con Kim, con Claudio, con Sergio Albelli, Laura Morante, Alessio Boni… Cos’è per me? Mettersi lì a capire come analizzano e preparano le scene. Negli Anni più belli di Muccino facevo una cosa che proprio non andrebbe fatta.
Sai che adesso dovrò insistere…
Sei la prima persona a cui lo dico. Quando non giravo andavo lo stesso sul set, e mi facevo dare dal fonico delle cuffie per ascoltare le scene. Però a fine ciak rimanevo ad ascoltare gli attori che parlavano col regista… è una roba che non si fa. Però ti faccio un esempio pratico: nella scena che girerò tra un quarto d’ora, appena attaccheremo il telefono io e te, probabilmente porterò alcuni di quei segreti rubati lì. So che sembra banale, ma se sul set rubi davvero dai più grandi, ti può cambiare la vita.
È un momento importante per Elia. Avevate un segreto tutto vostro e ora state per condividerlo col mondo. Che gli diresti, a un passo dal grande salto?
Domandone, cazzo (ci pensa a lungo, finché non ci salutiamo lasciando la questione in sospeso. Poi mi arriva un messaggio, da Francesco per Elia, nda). «Tra poche ore tutti conosceranno la tua storia. Molti avranno le risposte che cercavano, molti rideranno e altri piangeranno, proprio come abbiamo fatto io e te. Grazie per i tuoi insegnamenti, per il tuo coraggio. Sei un esempio per tutti noi. Buon viaggio, amico mio. Per me è stato un onore immenso. Con amore, Francesco. P.S. Less is more».