«Mi chiedo perché una testata come Rolling Stone si interessi a me, un vecchio signore che canticchia facendosi la barba. Sono onorato. Siete una testata di riferimento per chi, come me, ha fatto la radio ed è appassionato di musica. Da ragazzo non avrei mai pensato di essere intervistato da voi». Gerry Scotti esordisce così. Per tutti è lo zio Gerry, conduttore rassicurante, dalla voce inconfondibile, che ha fatto crescere almeno due generazioni a suon di programmi come Deejay Television, Il gioco dei 9, Passaparola, Festivalbar, Striscia la notizia e chi più ne ha più ne metta. Un vero pilastro di Mediaset che, quest’anno, ha tirato fuori dal cilindro Gerry Christmas, l’album natalizio scaturito dai tantissimi video virali formato social creati grazie all’Intelligenza Artificiale e che hanno trasformato il presentatore di Caduta libera in tantissimi personaggi veri o di fantasia.
Non è la prima volta che canti.
Be’ no, ho interpretato la sigla del programma Smile, su Italia 1. Poi nei varietà ho canticchiato qua e là, in maniera più o meno gradevole. Ho anche diviso il palco con Zucchero a San Siro: abbiamo intonato Per colpa di chi ed è stata una delle grandi emozioni della mia vita.
Ma arriviamo a Gerry Christmas…
Devo dire grazie a chi mi ha fatto interpretare tanti personaggi, da Bombolo a Sylvester Stallone fino a Michael Jackson. Guardando i video, mi sono sempre divertito.
Ok, ma l’idea del disco come l’hai avuta?
Mentre firmavo i bigliettini di Natale.
In che senso?
Invece di scrivere Merry Christmas, ho sempre scritto Gerry Christmas. E lì mi è venuta l’intuizione dell’album di Natale. E visto che nel giro dei miei collaboratori, oltre a mio figlio Edoardo, ci sono i ragazzi di Thousand Gerry, in tempi record ho registrato il progetto delle Feste.
Soddisfatto?
È di uno standard eccellente, ma non perché l’ho fatto io.
Come hai scelto le canzoni?
Alcune tipo Astro del ciel non le ho messe per rispetto e perché volevo un album laico. Alcuni giornalisti mi hanno fatto notare la mancanza di brani italiani. Un po’ mi hanno fatto sentire in difetto. In realtà, con la Warner, ho avuto una lista di pezzi e insieme a Lucio Fabbri – che ha curato il progetto e si è entusiasmato a questo gioco di Natale – abbiamo deciso quali interpretare.
In cosa ti ha aiutato Fabbri?
Ha capito quali erano i brani adatti alla mia tonalità. In alcuni casi l’IA è dovuta intervenire molto poco, come in Driving Home for Christmas di Chris Rea e Feliz Navidad, un grande classico.
Se ti dico All I Want For Christmas Is You di Mariah Carey?
Lì l’Intelligenza Artificiale c’ha avuto il suo bel da fare: tra me e Mariah Carey gh’è una bela diferenza, come dicono a Milano.
Qualche mese fa ti abbiamo visto insieme ad Amadeus. Ma Sanremo lo fai o no?
Se me lo chiede “la Bibbia”, devo dire la verità. Non sarò a Sanremo quest’anno e nemmeno il prossimo. È più facile mi vediate all’Ariston come cantante, ormai ci ho preso gusto.
Quindi nemmeno un avvicinamento al Festival?
In passato c’è stato qualche abboccamento, ma prevedeva anche un passaggio di campo, fare un contratto diverso. Sono molto zen in queste cose: se non mi è mai capitato, vuol dire che non era scritto dovesse capitare. Sognavo di fare un libro e l’ho fatto (Che cosa vi siete persi, nda), sognavo di fare un disco e l’ho fatto. Forse non sogno di fare Sanremo. Tutto lì.
Almeno i cantanti in gara li hai visti?
Mi sembra ci siano quelli che hanno da dire qualcosa di diverso nel panorama attuale. Faccio i complimenti ad Amadeus.
Il programma dei sogni?
Mi piaceva molto Top Gear, vista la mia passione per i motori. Nel frattempo ho scoperto che hanno smesso di farlo. Amo molto le moto: mi sono fatto la Route 66 con la Harley Davidson e mi sono pentito di non aver preso un operatore per riprendere il mio tragitto da Phoenix al molo di Los Angeles. Non escludo mi vediate un po’ in giro.
Il compagno ideale di questo programma?
Potrei invitare tanti colleghi. Una tappa la farei sicuramente con Fiorello, una con il mio grande amico Carlo Conti. E una tappa con Maria De Filippi. Adesso ti ho già svelato il format però…
A proposito di Maria. Tú sí que vales continua ad essere un successo.
Quella è stata un’alchimia nata durante le prove di Italia’s Got Talent, quando era su Canale 5. Io dovevo essere presentatore e Maria in giuria. Ci siamo seduti al Teatro Carcano e ci siamo messi a commentare le esibizioni. Lì è stato chiaro che, per una volta, dovevo avere un ruolo diverso.
E… ?
È stato molto straniante. Non dovevo dire “Signore e signori, buonasera”, non ero il padrone di casa. Ora facciamo Tú sí que vales, un’esperienza arricchente in termini di professionalità e umanità.
Hai fatto molti quiz, ma ultimamente, a eccezione di Sanremo e Amici, i programmi musicali non funzionano più come prima.
Nasco proprio da una costola della radio in tv e sognavo solo di fare musica sul piccolo schermo. Il Festivalbar l’ho fatto per sette anni, quando era quasi l’alternativa estiva di Sanremo, con la finale all’Arena di Verona. Poi la musica è stata utilizzata come riempitivo. Da protagonista se la cava solo in due-tre circostanze all’anno. Ma ho visto un bel germoglio in Battiti Live: mi hanno fatto venire voglia di tornare sui palchi, ma forse sono troppo vecchio.
Non buttarti giù, ma toglimi una curiosità: perché non si è più fatto il Festivalbar?
Inizialmente, dopo la morte di Vittorio Salvetti, detentore del format, il figlio per due-tre anni si è messo d’accordo con i nostri dirigenti. Poi non è più stato così. Non so cosa sia successo, ma nel frattempo tantissimi sponsor si sono creati, in estate, il loro evento. Quel mondo lì è stato un po’ fatto a pezzettini, smembrato e ricicciato in maniera diversa. Secondo me i buoni ascolti di Battiti Live faranno pensare a qualcosa per il prossimo anno su Canale 5.
Quindi ti piacerebbe rifare il Festivalbar?
Sì, una cosa con quel sapore. Sono amico di tanti cantanti della nuova generazione, come zio Gerry lo potrei fare.
Che ricordi hai di Vittorio Salvetti?
Be’, il suo nome lo sentivo già nominare quando, con i calzoncini corti, andavo a mettere il gettone nel jukebox. Al di là di Mike, Corrado e Vianello, che ho conosciuto, con Salvetti ho avuto l’occasione di lavorare. Lui mi ha scelto nella scuderia di Cecchetto per fare il Festivalbar, ed è stata una delle soddisfazioni più grandi della mia vita professionale. Molto lo devo a lui, un pioniere dello spettacolo: amava la piazza, il live, la gente che batteva le mani e il cantante che canta. Gli piaceva quella roba lì.
Rettore, proprio con noi di Rolling Stone, ha detto che al funerale di Salvetti c’eravate solo tu, Red Canzian, Claudio Cecchetto e Amadeus.
Il mondo della musica ha la memoria corta e, nei suoi confronti, l’ha avuta cortissima. Tantissimi nomi devono un pezzo della loro carriera anche a Salvetti. Poi ci sono altri titoli come Sanremo e Eurovision che fanno più gola e fanno più figo, ma Vittorio ne ha fatti crescere tanti. Mi fa piacere tu me l’abbia chiesto, magari qualche giovane lettore va su Wikipedia a vedere chi era.
Stando ai giornali, a gennaio su La7 dovrebbe sbarcare il format Chi vuol essere milionario? condotto da Fedez. Commenti?
Provo un grande stupore e lo guarderò con lo stesso stupore, ma finché non lo vedo non ci credo.
La cosa più rock che hai fatto?
Il concerto a San Siro con Zucchero. Ho iniziato e finito la serata gridando: “Il blues non morirà mai!”.
Senti, ma oggi chi è Gerry Scotti?
Babbo Natale.